È tutta una questione di tempistica ad aver caricato la manifestazione della Cgil di «tante responsabilità»: «Italia-Europa, ascoltate il lavoro» è stata prevista nel primo anniversario dell’assalto fascista alla Cgil, arriva nel giorno di una possibile escalation nucleare e poco prima dell’insediamento del primo governo guidato da una post fascista.
L’aver riempito piazza del Popolo dopo un corteo partecipatissimo è un successo non scontato e un avvertimento preciso a Giorgia Meloni. Il maggior sindacato italiano sarà argine a qualsiasi tentativo di cambiare la costituzione «come fatto con Berlusconi e Renzi» e vuole «contare nelle decisioni da prendere per affrontare un periodo senza precedenti».
Nel comizio più difficile da quando è segretario della Cgil Maurizio Landini – «sinceramente ho pensato molto a cosa dire oggi» – decide una personale par condicio: non ci cita per nome né il presidente del consiglio attuale – quel Draghi che non ha mantenuto la promessa di sciogliere Forza nuova fatta visitando la sede della Cgil – né la prossima premier – quella Giorgia Meloni che in mattinata aveva accusato «la sinistra» «di scendere in piazza» senza che il suo governo ci sia ancora.
Per loro però i messaggi del segretario della Cgil «pro tempore» sono chiari e dettagliati. Landini in qualche modo li unisce: «Se posso dare un consiglio a chi si appresta a formare il governo è di non utilizzare il metodo che è stato usato negli ultimi mesi da chi c’era: chiamarci alle 11 per informarci di quello che sarà deciso nel consiglio dei ministri delle 15. Eviti di chiamarci, non siamo servi sciocchi».
Landini ribadisce quel «non abbiamo pregiudiziali» che ha creato malumori dentro la Cgil e dentro il Pd – paradossalmente presente con tutti gli esponenti della sedicente sinistra del partito (Provenzano, Orlando in testa) – ma che ha avuto il merito di lasciare il sindacato fuori dalla contesa elettorale (perdente per la sinistra) e di essere il primo a scendere in piazza dopo le elezioni.
«Una scelta fatta a luglio assieme a tutti voi che ci rappresentate sui luoghi di lavoro», sottolinea il segretario prima di mandare il secondo messaggio a Meloni facendo due rapidi conti: «Gli italiani che non hanno votato o hanno votato scheda bianca o nulla sono 18 milioni; quelli del centro destra unito che ha vinto le elezioni 12,3 milioni; quelli delle altre forze di centro sinistra che hanno scelto di non coalizzarsi sono 15,8 milioni: l’astensionismo è il primo partito e non c’è nessuno che può dire di avere la maggioranza di questo paese.
Non vogliamo delegittimare qualcuno, chiediamo di non dividere ulteriormente questo paese, ma di unirlo e l’unico modo è ripartire dai lavoratori e dai loro bisogni».
E i lavoratori e i pensionati in corteo fin da mezzogiorno da piazza della Repubblica hanno le idee fin troppo chiare. La bandiera più grande è quella della pace: deve essere piegata per passare la strettoia per «lavori in corso» all’ingresso di Villa Medici, prima di iniziare la discesa in piazza del Popolo.
Il coro più efficace e rivelatore della pancia della Cgil, cantato a squarciagola dalla Fiom Molise, è: «Salvini in miniera, Meloni in fonderia: è questa la nostra democrazia».
La piazza è piena, attenta. Si distrae solo in due occasioni: per un malanno di un manifestante con Landini che ferma il comizio e per l’arrivo del furbo Giuseppe Conte. Mentre gli esponenti del Pd sono nel retropalco, il leader del M5s appare a metà comizio e decide di ascoltare in mezzo alla folla: un capolavoro mediatico.
Enrico Letta invece non c’è: arriverà solo a sera (come Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia) alla sede della Cgil, «aperta perché chi ci ha assaltato voleva impaurirci e invece non ha capito niente – spiega Landini – noi apriamo la nostra casa e tutte le Camere del lavoro alle persone che hanno dei problemi e ci impegniamo ad ascoltarli di più: diversamente da quanto fanno i governi con noi».
A fine comizio si avvera infatti quel «corteo al contrario» evocato da Landini: «Un anno fa da questa piazza partì l’invocazione ad assaltare la nostra sede». Un assalto inequivocabilmente fascista, aggettivo usato per una definizione e un «parallelo»: «Si usò la rabbia e il malessere sociale che c’è per assaltare il lavoro: il fascismo è un regime reazionario ma di massa fondato sulla violenza, la stessa con cui Putin ha attaccato l’Ucraina».
Il messaggio del sindacato ucraino era stato il prodromo per spiegare la posizione della Cgil sull’inizio della guerra e l’impegno per farla finire: «L’escalation nucleare mette a rischio l’esistenza stessa di tutti», «ha ragione papa Francesco, dobbiamo essere tutti “costruttori di pace” e per questo saremo in piazza con “Europa per la pace” per tre giorni dal 20», annuncia Landini assieme alla piazza con Cisl e Uil del 22 per la sicurezza del lavoro e del 29 ottobre sulla sanità pubblica «perché non pensino di usare i fondi del Pnrr per costruire ospedali di prossimità senza assumere personale e dandoli in appalto ai privati».
Le proposte della Cgil però si concentrano sulle due emergenze: caro energie e precarietà. «Da aprile proponiamo di tassare gli extraprofitti al 100% per dare 800 euro ai più deboli e creare un Fondo in cui mettere anche gli extraprofitti di aziende farmaceutiche e banche per lasciare inalterate le bollette dell’anno scorso: solo così si combattono le disuguaglianze». Sulla precarietà l’invito è «a scioperare per i precari e dare loro contratti a tempo indeterminato» perché, ricordando Sebastian, il rider morto e licenziato, «gli algoritmi trasformano il lavoro in merce».
MASSIMO FRANCHI
Foto di Kateryna Babaieva