La rivolta dei migranti a Cona, dopo la morte per cause naturali di una giovane donna che aveva attraversato il Mediterraneo su un barcone insieme al suo compagno e per di più con un bimbo nel grembo, è l’ennesimo segnale preoccupante per una impossibilità di gestione dello storico fenomeno delle fughe di massa dai paesi poveri, in stato di guerra o coinvolti nei frequenti colpi di stato che si verificano quando i poteri diventano instabili a causa di interessi economici imperialistici.
Le cosiddette politiche di integrazione, ma prima ancora di accoglienza, non producono effetti che mettano nell’angolo la malapianta dell’intolleranza e del razzismo per motivazioni molto semplici ed evidentissime: la rete di assistenza predisposta dal governo non tutela i migranti e nemmeno i cittadini italiani nel complesso processo di confronto, conoscenza e rispetto che si dovrebbe creare da entrambe le parti. CIE, CARA e altre strutture volte non solo al passaggio ma anche alla lenta identificazione e successiva espulsione dei migranti, sono sempre stati più che altro parcheggi di persone, stalli di deposito di gente che avrebbe invece potuto trovare una distribuzione sul territorio italiano che impedisse sovraffollamenti in zone critiche e ad alto tasso di leghismo: Lombardia e Veneto sono diventate le regioni che ospitano (se così si può dire…) il 23% complessivo degli oltre 160.000 migranti arrivati vivi sulle nostre coste.
Perché il governo ha permesso questa ineguale distribuzione dei migranti sul territorio nazionale? Forse perché gli enti che si devono accordare in merito all’accoglienza sono diversi: comuni, province, regioni è Stato centrale. Ammettiamo che tutto dipenda da una questione più burocratica che politica, cosa cambia? Sempre di cattiva gestione amministrativa, se non altro, si tratta. E quindi si arriva sempre ad una improvvida applicazione delle norme, ad un cattivo dialogo con le regioni e ad un cedimento da parte di queste a voleri governativi che hanno disposto precisi intenti politici alla base della valutazione più tecnica sulla distribuzione dell’emergenza di un presunto sovraffollamento che, se curato in diverso modo, avrebbe evitato anche le più banali e stupide effervescenze razziste di piccoli paesini che, oggettivamente, se contano appena qualche centinaio di anime non possono accettare di buon grado l’arrivo di una qual si voglia popolazione non autoctona pari al triplo di quella residente.
Siamo davanti a minime, basilari condizioni di sopravvivenza per tutte e tutti: il razzismo nasce e cresce non solo nelle anime brutte e cattive, in quelle dedite all’odio quotidiano perché volutamente ignoranti, nel senso che spontaneamente ignorano le cause recondite ma non così nascoste e nascondibili delle migrazioni. Il razzismo peggiore è quello dell’esasperaziome dei deboli non contro istituzioni che tutelano i ricchi e lasciano i poveri nella disperazione di mille problemi economici e sociali, ma contro i poveri, i deboli tali e quali sono loro stessi.
Le trasmissioni televisive serali soffiano sul fuoco: dalla provocazione del rapper che canta “Io no pago affitto” e sembra voler a tratti sbeffeggiare il razzismo che emerge dal qualunquismo imperante e, a tratti, invece sembra decantare la stessa rabbia popolare per aumentarla in esponenziale potenza, fino al confronto sempre uguale e stancamente ripetitivo di politici di destra contro presunti rappresentanti dei migranti.
Ma una domanda non viene mai fatta dai conduttori e nemmeno viene fuori dal furore della gente intervistata: può un povero, un migrante, un disperato che fugge dalla sua casa, dalla sua terra, dai suoi affetti, essere una minaccia per un altro povero?
Può esserlo perché il migrante ti ruba la casa e avanza nelle graduatorie prima degli italiani? Può esserlo perché ti ruba il lavoro? Ma quale casa ruba se la distribuzione degli alloggi avviene in base a criteri di necessità? Dobbiamo forse dare le case a chi non ne ha bisogno perché è italiano? Dobbiamo forse obbligare gli italiani a fare i lavori che non vogliono per scelta fare?
Queste obiezioni sono le migliori vecchie nenie razziste sulla presenza dei migranti in Italia e continueranno ad esserlo finché le politiche liberiste dei governi aumenteranno il divario tra domanda e offerta, accrescendo quindi le tante povertà che esistono e che si formano in sempre più vasti strati della popolazione; continueranno ad esserlo finché una vera politica di accoglienza non sarà creata e la smetterà di considerare le persone dei “problemi”.
Singolarmente tutti abbiamo dei diritti. Ma nella grandezza dei numeri diventiamo dei “problemi” perché ci trasformiamo in forza, in elemento destabilizzante per quella pace sociale che si vorrebbe sempre imporre con rassicurazioni economiche una tantum senza poter affrontare i veri drammi sociali del Paese e dei moderni proletari.
Non lo possono fare dei governi liberisti. La loro “mission” (si usa dire così oggi, vero?) è un’altra e, a quanto si vede, la svolgono molto bene nel creare maggiori condizioni di instabilità, insicurezza, paura e rabbia… La cara vecchia idea di “pace sociale” è un ferrovecchio di romantici liberali e socialdemocratici di vecchio stampo riformatore… Non serve a fare più tutela dei profitti.
Si creano più barriere di sicurezza per gli accumulatori di capitale dove c’è lotta tra i poveri: lì si può ottenere più sfruttamento in una spregevole concorrenza tra cercatori di briciole, tra ammassi di esseri umani in moderni lager dove, dopo essere scampati alle onde del mare, si muore per ironia o per chissà quale altra causa in una doccia… in quell’acqua che finisce così per somigliare tanto al mare ormai lontano…
MARCO SFERINI
redazionale
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