Siccome non ho alcuna simpatia per il mondo militare, il termine “coprifuoco“, per definire la chiusura serale e il divieto di circolazione come misure di contenimento della pandemia, mi crea pruriginosità civile, prima ancora che civica. Tant’è viene utilizzato come migliore sintesi possibile per significare appunto quelle restrizioni di spostamento che dovrebbero ancora funzionare nel frenare l’impeto primaverile, del tutto umanamente comprensibile, di rimanere fuori casa a guardare le stelle, a passeggiare sulla riva del mare o per qualche sentiero di montagna ascoltando il fruscio delle frasche.
Il dibattito stanco e davvero tanto noioso sull’inizio dell’orario del coprifuoco si trascina pateticamente in ogni programma televisivo di approfondimento pandemico: chi lo vuole mantenere alle 22.00, chi spostare alle 23.00, chi abolire del tutto. Non serve un telequiz per indovinare e vincere sonanti gettoni d’oro che quest’ultima proposta è di proprietà intellettuale (si fa per dire) dei sovranisti in camicia verde (o tricolore?), che sperano di raccattare qualche punto in percentuale con un consenso che oscilla tra Lega e Fratelli d’Italia: competizioni da destra estrema, dove nessuno perde e nessuno nemmeno vince. Si compensano.
Ma il dibattito sul coprifuoco ormai è anacronistico, nel vero senso del termine: guardate vie e piazze delle città, dalle più grandi alle più piccole. Le regole sono praticamente saltate quasi tutte, ad eccezione di quelle che direttamente viviamo sulla nostra persona e che percepiamo tangibilmente: indossare la mascherina, lavarsi prudentemente le mani e rimanere un po’ distanti dagli altri, ma giusto qualcosa un po’ più del solito, di quando si viveva nella cosiddetta “normalità“.
E nemmeno queste tre fondamentali norme di prevenzione del Covid-19 sono mai state applicate appieno dal popolo italiano: per punto di principio, per un falso ribellismo modaiolo dal retrogusto sovranista, dal marcato sapore negazionista e riduzionista; ed anche per menefreghismo brutto e cattivo.
Nonostante ciò, almeno in questo anno e mezzo di pandemia un po’ tutti, anche i più refrattari alle indicazioni del mondo scientifico, hanno compreso che senza un minimo di protezione si rischiava – e si rischia tutt’ora – di esporsi al contagio e di trasmetterlo alle proprie persone più care. Più che la compenetrazione personale con un dovere civico, con una disposizione anche morale nell’affrontare la pandemia, ha vinto l’istinto di autoconservazione singolare e personale e quello di preservazione della propria progenie e di tutela della propria avità.
Se, dunque, mascherine, gel sanificanti e distanziamento sono un trittico tutto sommato degno di un qualche rispetto, il coprifuoco invece, essendo assolutamente vissuto come norma impositiva generale e generalizzata, del tutto impersonale, è diventato uno dei baluardi principali della propaganda politica sovranista per cavalcare il malumore – anche giustificato – di una larga parte della popolazione verso le chiusure, le restrizioni e tutte le limitazioni che sono state imposte dal marzo del 2020 con una approssimazione che non decresceva mai e che mostrava una sorta di coazione a ripetere.
L’impreparazione governativa ed istituzionale ad affrontare la pandemia può essere soltanto parzialmente addotta a scusante della recrudescenza di errori clamorosi nella gestione emergenziale: il conflitto permanente tra Stato e Regioni, l’autonomia di queste ultime in campo sanitario, il decisionismo protagonistico dei presidenti regionali, gli interessi economici di alcune aree più ricche del Paese rispetto a quelle meno sviluppate, sono soltanto alcuni dei motivi per cui, all’improvvisazione del primo istante in cui è comparso il virus, non è ha fatto seguito una riorganizzazione generale degli equilibri interni ad una politica italiana che affrontasse seriamente il tema della comunicazione.
La conseguenza è stata il pandemonio dei social, delle mezze verità e delle totali falsità che si sono dette innestando delle fantasie di complotto che hanno avuto la meglio sulle ragioni scientifiche. Siamo onesti: l’informazione e il bombardamento mediatico in ogni canale tv, in ogni sito web e su ogni colonna di giornale sono cose ben diverse fra loro. La voracità bulimica del mondo, pure involontario, della disinformazione ha moltiplicato vuoti pneumatici cerebrali già sapientemente coltivati dal populismo antipolitico e dal sovranismo xenofobo e razzista.
Trovarsi da un momento all’altro un grande nemico su cui puntare per alimentare giorno per giorno le peggiori paure, fobie ed ossessioni degli italiani, è stata la fortuna dei sovranisti in questi due anni di pandemia. Sono stati accantonati migranti, rom, conflitti psuedo-storico-ideologici e tutto è ruotato attorno alla strumentalizzazione di nuove problematiche impellenti: perché il virus correva e la politica incespicava su sé stessa, non trovava il bandolo di una matassa enorme, spingendo la palla di sterco delle tante false notizie per allontanarla dal sentire comune, pensando di farcela con dichiarazioni istituzionali e finendo per essere travolta dal tribunale della giustizia sommaria dei cosiddetti “leoni da tastiera“.
A poco a poco, dopo quindici mesi dalla comparsa del Covid-19 sulla scena mondiale e su quella provincialissima dell’Italia, la demagogia ha consumato tutti i veleni che aveva sparso, travestiti da controdeduzioni, da scoperta di verità indicibili, ed è andata alla ricerca di ciò che ancora si poteva utilizzare per fare rumore, per esaltare un poco gli animi e non mancare di esasperarli a puntino: il coprifuoco.
Sarà sembrata ai sovranisti l’ultima frontiera del polemismo a buon mercato per far man bassa di consensi, ma sono arrivati troppo tardi: il coprifuoco, come norma e come traviata finta discussione politica e sociale, se l’è già divorato la calura modesta della primavera che apre le porte all’estate. Il clima vince sulle pretese leghiste di alimentare punti e contrappunti di infinite tiritere di odiatori da social, di diffusori della rivolta di piazza dove pare fantastico ridurre la libertà di dissenso e di protesta all’urlo inflazionato: «Vergogna, vergogna!»; bissato tutte le volte che si vuole, ritmando slogan anche più sintetici, comprensibili al troglodita neonazionalista: «Libertà!».
Nessun problema, se non funzionerà la polemica sul coprifuoco, per la prossima estate gli strateghi del sovranismo ne stanno già preparando altre: all’orizzonte si sente già l’eco lontana di «Discoteche aperte! …erte, …erte …».
MARCO SFERINI
9 maggio 2021
foto: screenshot YouTube