La vita di Lorenzo stroncata dalla “modernità” del capitalismo

Riferirsi all’attuale struttura economica come ad un “moderno stile di vita“, oppure più sinteticamente definirla “la modernità” per antonomasia nel corso dell’evoluzione (dis)umana sul pianeta, è un modo per...

Riferirsi all’attuale struttura economica come ad un “moderno stile di vita“, oppure più sinteticamente definirla “la modernità” per antonomasia nel corso dell’evoluzione (dis)umana sul pianeta, è un modo per ingannare ed ingannarsi su ciò che realmente ci circonda e su quello che siamo costretti a sopportare fingendo che sia “la normalità“, poiché permea tutte le esistenze, il nostro limitrofo, il quotidiano in cui ci riconosciamo davvero molto poco se abbiamo un po’ di coscienza socialmente critica.

Economia e sviluppo scientifico – tecnologico, se davvero avessero dovuto e potuto rappresentare una evoluzione anche civile, morale e sociale per la popolazione, li troveremmo oggi equiparabili allo stato dei diritti umani o di quelli che riguardano le condizioni del mondo del lavoro.

Ed invece, alla straordinarietà delle immagini in 4K, ai televisori ultrapiatti e panoramici, ai telefonini di ultimissima generazioni e alla sonorità pura di impianti stereo sempre più precisi nella diffusione delle note non corrisponde una uguale tutela per chi produce tutte queste merci, per chi viene sfruttato e sottopagato (come il capitalismo esige da sempre per poter sopravvivere esso stesso) e magari muore mentre sta arricchendo il padrone, appellato più elegantemente come “imprenditore“.

La maggior parte delle morti sul lavoro è, secondo i dati ISTAT, INAIL e pure secondo il Procuratore capo della Corte di Cassazione che ha ripreso il tema all’inaugurazione dell’anno giudiziario, un dramma attribuibile nel 95% dei casi al mancato adeguamento degli impianti e delle strutture alle condizioni di una normale e legale sicurezza.

Esiste una percentuale minima di infortuni e di decessi ascrivibile alla disattenzione, all’imprudenza del lavoratore, ma dei 100 morti al mese registrati nel 2021, 95 almeno sono dovuti a controlli mancati, ad implementazioni delle minime garanzie di tutela della salute e dell’incolumità degli operai, degli edili e di chiunque si trovi a dover fare i conti con una situazione potenzialmente pericolosa.

Soltanto un mese fa, a Torino, crollava l’enorme gru che si trascinava appresso le vite di tre lavoratori. Una sequela di giovanissimi morti in cantieri e fabbriche, vittime di uno sfruttamento della forza-lavoro che passa sempre per un normale rapporto tra imprenditore e maestranze, laddove ogni tanto capita qualche incidente, qualche imprevisto.

La trascuratezza dell’informazione in merito è diventata ormai endemica: non fanno più scalpore le notizie troppo simili e le lavoratrici e i lavoratori che muoiono in fabbrica o in cantiere, schiacciati da una pressa e stritolati tra le braccia di una gru. L’assuefazione è un pericolo che si somma alla già ampia disattenzione generale che riguarda, indirettamente o meno, l’elenco infinito di quelle che impropriamente vengono definite “morti bianche”. Sono nere, nere come la cronaca che le riguarda e che non è meno efferata di una sparatoria, di un omicidio, di uno stupro, di una violenza di qualunque genere.

Siamo in presenza di coscienze che vengono piegate ai ricatti padronali, di corpi che vengono mutilati o resi esanimi dalla durezza del liberismo, dalla spietata logica concorrenziale di un mercato immerso una finanziarizzazione dell’economia che non conosce confini e che detta i bisogni di ognuno di noi e ci vincola come variabili dipendenti dagli indici di borsa, dalle contrattazioni da un oceano all’altro, da un titolo ad un altro titolo.

Così, anche la morte di Lorenzo, che aveva appena compiuto 18 anni e che lavorava nel regime della cosiddetta “alternanza scuola-lavoro“, ha avuto l’onore delle cronache per pochi istanti, la prima pagina di qualche quotidiano nazionale e locale oggi.

Domani sarà già inclusa nell’indistinzione della somma che fa il totale, del grande numero crescente di una strage che non ha termine perché è una delle condizioni imprescindibili per un mondo imprenditoriale che pretende di fare profitti a scapito di costi che, invece, sarebbero necessari per tutelare, prima di tutto, non i dividendi aziendali ma le persone impiegate al servizio di una produzione complessa dove i rischi materiali sono tutti dei lavoratori: dall’incolumità fisica alla sopravvivenza economica nel mondo fuori dalla fabbrica.

Lorenzo ero al suo ultimo giorno di stage in una azienda meccanica, produttrice tra l’altro di bilance stradali. Una putrella si è sganciata da sopra la sua testa e lo ha colpito violentemente. Non c’è stato nulla da fare. In un attimo, la vita del giovane è stata spezzata e tranciata di netto.

Un ragazzo, quasi uomo, che invece di potersi dedicare completamente a quello straordinario periodo della vita che è la formazione scolastica, l’acquisizione della conoscenza e del sapere slegata dal bisogno materiale del sostentamento quotidiano, svolgeva un lavoro che avrebbe dovuto essere formativo e che, invece di regalargli un futuro, gli ha reciso brutalmente la linea della vita con un presente tutto da scrivere e inventare.

Quanti giovani sono stati sedotti, indotti, a volte costretti a scegliere l’alternanza scuola-lavoro per garantirsi un qualche minimo orizzonte occupazionale dopo l’adempimento degli studi? Quanto è stata stravolta la funzione essenziale, primaria e naturale della scuola da questo legame perverso con un lavoro non retribuito, di cui le aziende si sono avvantaggiate incamerando profitti a tutto scapito della crescita intellettiva e anche morale delle ragazze e dei ragazzi?

Fare di uno studente un dipendente era, è e sarà prima di tutto una violenza al ruolo pubblico della scuola, al suo essere centro della formazione cosciente del cittadino che, solo successivamente, sceglierà quale strada intraprendere nella sua vita. Ma costringerlo ad un apprendistato ante litteram, prima ancora che abbia avuto i mezzi per potersi formare e far parte del mondo produttivo al servizio del capitale, è la dimostrazione davvero lampante della vittoria del liberismo in quella che chiamiamo ostinatamente “la modernità” di una società priva di scrupoli da un lato e priva di coscienza di classe dall’altro.

Il mercato non guarda in faccia niente e nessuno, muove per la sua strada e dispone che la politica adegui le leggi alle sue necessità, privando in questo modo i giovani di diritti fondamentali, riconosciuti, prima ancora che dalla Costituzione, da una morale comune, da una percezione quasi naturale dei tempi di maturazione e di inserimento nel mondo della conoscenza e del lavoro, dei rapporti civili e sociali.

A Lorenzo, così come a tanti altri ragazzi, è stata rubata la vita, letteralmente. Gli è stato portato via il presente e l’immediato lungo futuro che avevano davanti, nonostante le prospettive di questo nostro Paese, dell’Europa e del mondo non fossero rosee. Il valore morale della perdita di un’esistenza supera di gran lunga la quantificazione monetaria di un danno per una famiglia che, comprensibilmente, è ammutolita e chiusa in un dolore inimmaginabile.

La risposta più adeguata che si può dare è la fine dell’alternanza scuola-lavoro, la cessazione del regalo della manodopera giovanile e gratuita ad un mondo dell’impresa che è costretto dalla natura del sistema di cui si nutre e che alimenta, a scegliere di privilegiare i profitti rispetto alle vite, di tutelare prima i dividendi aziendali rispetto alle norme di sicurezza e alla prevenzione degli infortuni e delle morti.

L’amoralità del capitalismo non può essere un alibi per i padroni: tutto questo non accade perché è inevitabile, ma perché vengono fatte delle scelte. Dalla classe dirigente economica e finanziaria fino a quella politica, accondiscendente e remissiva nei confronti del potere che davvero conta e dal quale non può divincolarsi senza perdere quei privilegi che, nel mezzo della retorica sul “bene del Paese“, le stanno davvero a cuore.

MARCO SFERINI

22 gennaio 2022

foto: screenshot

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