Nel suo libro Utopia per realisti (Feltrinelli) lo storico Rutger Bregman propone un’idea semplice: un reddito di base universale per sradicare la povertà e sganciare i bisogni dell’essere umano dalla schiavitù del lavoro. Il cibo, la casa, l’istruzione dovrebbero essere garantiti a tutti, in maniera incondizionata. Non un favore, ma un diritto fondamentale. A ben vedere però l’idea non sembra essere di così facile applicazione: il lavorismo che pervade le culture di sinistra e di destra, e quella di coloro che pensano che entrambe siano superate; lo Stato sociale trasformato in un «workfare» e, al fondo, il rischio che si parli di reddito per liquidare uno Stato sociale non proprio in forma smagliante. Bregman, in Italia ospite a Pordenonelegge (oggi il suo intervento) non si scompone e si fa forte di quello che Ernst Bloch ha definito lo «spirito dell’utopia».
Lei sostiene la creazione di un reddito di base universale per coprire le spese vive di ciascuno – 12 mila euro all’anno, all’incirca. Come intende realizzarlo?
Esistono molte strade che portano all’utopia, ma tutte partono con nuove idee che vengono spesso liquidate come folli o irrealistiche. Solo cinque anni fa, l’idea di un reddito di base era completamente dimenticata. Ora sta conquistando il mondo. Già nel 1974 fu sperimentato a Dauphin in Canada. è stato l’esperimento più lungo di reddito ed è stato dimostrato che la povertà crollò tra gli abitanti, come il tasso di ospedalizzazione e le violenze domestiche. Le persone non lasciarono il lavoro, ma si impegnavano diversamente. Le uniche che lavoravano di meno erano le giovani madri e gli studenti che restavano a scuola di più. La Finlandia ha iniziato e lo sta sperimentando. In Olanda si sta pensando di procedere in diverse città. Potrebbe essere applicato anche in Italia. Se vuoi viaggiare su una lunga distanza, hai bisogno di fare un mucchio di piccoli passi.
Si può immaginare che lei stia pensando di tassare i ricchi, e non il ceto medio impoverito o le classi lavoratrici. E combattere anche l’evasione delle multinazionali. Ma i ricchi sono molto bravi a difendere i loro soldi. Ci può spiegare come pensa di convincerli?
Un reddito di base è un investimento che si paga da solo. Esiste un’enorme quantità di ricerche scientifiche che mostra come i costi per la protezione della salute scendano, come i crimini, mentre i bambini godrebbero di condizioni migliori per incrementare il loro rendimento scolastico. È una soluzione «win-win». Anche i ricchi otterrebbero dei benefici. Sradicare la povertà è un investimento che paga.
Tra le sue proposte, c’è anche la riduzione della settimana lavorativa a quindici ore. Come intende realizzare questo obiettivo?
È una proposta intrecciata con quella del reddito. Abbiamo la capacità di tagliare un grande pezzo dalla nostra settimana di lavoro. Renderebbe le nostre società molto più salutari e, oltre tutt, metterebbe fine alle attività inutili e ai compiti dannosi che costellano gli impieghi contemporanei. Un sondaggio ha dimostrato che il 37% dei lavoratori britannici pensa di svolgere mestieri-spazzatura. La riduzione della settimana e un reddito di base potrebbero essere gli strumenti per offrire a ciascuno l’opportunità di dedicarsi alla cura dei bambini e degli anziani. Molti studi dimostrano che chi lavora meno è più soddisfatto della propria esistenza.
Un sondaggio condotto tra le donne tedesche ha definito il «giorno perfetto»: 106 minuti dedicati alle relazioni personali, 36 al lavoro e 33 agli spostamenti. La redistribuzione delle ore lavorate potrebbe seguire due assi: quello della parità tra i sessi e un patto tra le generazioni.
Per la sinistra il reddito di base è l’opposto del lavoro. Com’è nato il pregiudizio lavorista nelle culture socialdemocratiche e marxiste e cosa risponde alle loro obiezioni moralistiche e pessimistiche su questo tema?
Credo che il reddito di base sia la politica più favorevole alla creazione di lavoro che esista oggi sul pianeta. Per la prima volta nella storia tutti, e non solo i ricchi, potranno avere il privilegio di dire «no» a quello che non vogliono fare. Tutti potranno avere la libertà di decidere da soli sul modo in cui intendono contribuire al bene comune – sia che si tratti di lavoro retribuito che di attività volontaria. Il problema con la vecchia sinistra è che, troppo spesso, non si fida delle persone e della loro libera capacità di fare delle scelte. Esiste un’incredibile quantità di paternalismo a sinistra. Credo invece che i veri esperti sulla vita delle persone siano le persone stesse.
Al reddito di base hanno pensato anche i conservatori. Nel suo libro ricostruisce la storia sconosciuta di Richard Nixon che decise di introdurlo negli Stati Uniti. Che cosa accadde poi?
Non sono in molti oggi a ricordare che alla fine degli anni Sessanta quasi tutti credevano che gli Stati Uniti avrebbero dovuto sviluppare una qualche forma di reddito di base universale. Sia la destra che la sinistra erano favorevoli. Così Nixon pensò: se tutti lo vogliono, allora facciamolo. La sua legge sul reddito di base andò due volte in parlamento, ma fu abbattuta dai democratici. Non perché fossero contrari, ma perché lo ritenevano troppo basso! È una storia abbastanza bizzarra, piena di strane contingenze. Avrebbe potuto andare in maniera opposta.
La sinistra crede anche che la proposta di reddito di base coincida con quella di Milton Friedman che la definì un’imposta personale che, al di sotto di un minimo imponibile, si trasforma in un sussidio. L’effetto di questo strumento fiscale potrebbe essere quello di sostituire il welfare universale. Qual è, invece, la sua definizione?
Alcuni liberisti statunitensi vogliono abolire lo Stato sociale in cambio di una piccola mancia agli individui. Ma questo non è affatto quello che sostengo. È evidente che il Welfare esistente sia incredibilmente dispendioso e in più inefficiente, oltre che umiliante per le persone. È necessario sperimentare qualcosa di nuovo. L’idea di reddito di base supera la distinzione tra destra e sinistra. Nel senso che è di sinistra l’idea di sradicare la povertà, ed è di destra il fatto che promuove la libertà individuale. In realtà, sono convinto che il reddito possa essere davvero il coronamento della socialdemocrazia. O, come l’ha definito un filosofo, la «via capitalistica al comunismo».
Che cosa risponde a chi, tra i lettori della nostra intervista, pensasse che le sue posizioni sono troppo utopistiche e poco realistiche?
Ogni pietra miliare della civiltà – la fine della schiavitù, la democrazia, lo Stato sociale – è stata concepita inizialmente come una fantasia utopica. Oscar Wilde ha scritto una volta: «Il progresso è la realizzazione dell’Utopia».
ROBERTO CICCARELLI
foto tratta da Wikimedia Commons