Ad ogni Giornata della Memoria che passa c’è sempre meno memoria, c’è sempre più insoddisfazione sociale, c’è sempre maggiore rigurgito di fascismo che con una certa prepotenza vuole imporsi come pessimo maestro di ordine e di presunta uguaglianza sociale.
E’ il rifugio peggiore per una soluzione semplice, immediata dei problemi che vengono resi evidenti dai grandi mezzi di comunicazione con campagne pilotate ad arte per nascondere il problema dei problemi: questo capitalismo che alimenta i privilegi e le ricchezze di pochissimi e i bisogni e le povertà dilaganti di tantissimi.
Dunque, la memoria per essere davvero strumento di evoluzione sociale costante deve poter fare affidamento sul minimo disagio sociale possibile.
C’è, dunque, una contraddizione evidente tra la necessità del non dimenticare le produzioni politiche del capitalismo novecentesco (fascismo italiano, nazismo, fascismo spagnolo, portoghese, autoritarismi di varia natura in mezza Europa, uno spietato colonialismo…) e il riuscire a dimostrare che questi regimi totalitari sono figli di crisi economiche che hanno sfruttato il malessere sociale per governare meglio la “pace sociale”, per limitare l’avanzata dei comunisti e delle sinistre in Italia, Germania, Spagna, Portogallo e, a fine guerra, anche in Grecia.
L’esercizio del recupero e del mantenimento della memoria storica, quindi delle azioni dei nostri simili in precedenti epoche, non può essere un mero esercizio scolastico. Non può essere un semplice costrutto di avvenimenti e date.
Deve prima di tutto essere uno sviluppo delle coscienze in senso critico verso il sistema economico in cui viviamo.
Senza la coscienza di classe anche la coscienza storica e la morale che ne deriva sono avvilenti debolezze.
(m.s.)
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