Tutti i commentatori scommettono sulla discesa della “stella” di Luigi Di Maio. E’ difficile dire quale delle stesse del direttorio grillino sia in ascesa e quale in discesa su un piano di lungo periodo. Certo, stando ai fatti romani, quella del vicepresidente della Camera dei Deputati non sembra ormai brillare molto.
Le sue pubbliche scuse sono, comunque, una virtù rara nel panorama politico italiano. Questo non è un elogio, ma una presa d’atto di un comportamento che, personalmente, credo sincero almeno nella seconda fase del groviglio romano che si è aperto per un movimento che continuo a ritenere deleterio per il Paese, perché privo di un asse ideologico che ne cementi la politica, tutto votato ad una concezione di onestà come elemento primo e unico di fondamento della linea di condotta interna ed esterna, come novità ed eccezione che invece dovrebbe non essere tale.
L’onestà non dovrebbe mai far parte di un programma politico: dovrebbe essere una regola, una consuetudine non scritta, un aspetto naturale di vita comune, per il bene comune.
Ma siccome così non è, il varco del successo del Movimento 5 Stelle si è aperto in Italia proprio grazie alla dilagante corruttela che è diventata essa stessa la consuetudine al contrario, la vera, desolante normalità di un Paese abituato allo scambio di favori in nome dell’interesse singolo, personale, esclusivo e privo di qualunque valore sociale.
Così, Luigi Di Maio deve scusarsi per non aver detto che aveva letto una mail e che l’aveva “male interpretata”. Una giustificazione al silenzio bisogna pur darla. Del resto, lo ammette: “Ho commesso un errore: quello di aver sottovalutato la mail giuntami da Paola Taverna in merito a Muraro. Ho pensato che l’iscrizione nel registro degli indagati fosse avvenuta per via delle 14 denunce contro la Muraro presentate in procura“. Vicende poco chiare, che sono a conoscenza dei più stretti addetti ai lavori.
Ma quel che si capisce è che Di Maio ha equivocato il testo di una mail e da lì ne sarebbe nato il pasticciaccio che ha costretto Beppe Grillo a scendere a Roma, per la precisione a Nettuno, ad improvvisare un comizio e a salvare la situazione per quanto fosse salvabile.
Chi conosce le opinioni che ho più volte espresso su “la Sinistra quotidiana” in merito al Movimento 5 Stelle sa che non sono tenero verso questo soggetto politico. L’ho, del resto, ribadito anche poche righe sopra.
Ma penso, del tutto sinceramente, che possiamo solo assistere a questa vicenda romana e non giudicare prima di avere tutto chiaro. Soprattutto non possono permettersi giudizi di sorta coloro che hanno gestito la Capitale della Repubblica fino a pochi mesi fa e lo hanno fatto commettendo errori (evito le virgolette per carità di Patria, per davvero…) molto più ingenti, gravosi, che sono finiti in inchieste ancora oggi al vaglio della Magistratura.
Un conto è il giudizio politico che possiamo dare del Movimento 5 Stelle, un altro è quello che possiamo attribuire ad una vicenda che va verificata con quelle carte alla mano che la sindaca di Roma, giustamente, chiede di poter prima leggere e comprendere appieno.
Questo atteggiamento di condanna aprioristica, da macchina del fango sempre contro tutto e tutti, è una delle peggiori eredità degli scontri politici dell’era berlusconiana, quando le parti contrapposte non cercavano altro che scheletri negli armadi per poter decostruire e depotenziare le reciproche politiche. Di qualunque tipologia si trattasse: per colpire un ministro, un sottosegretario o altre figure di opposizione o di governo si faceva ricorso alla calunnia, al venticello che solleva tantissima polvere e che lascia dietro di sé il niente.
Pochissimo ricordano il valore di una smentita il giorno dopo, su una piccola colonnina di giornale. Ma tutti ricordano il titolo a nove colonne del giorno prima, il crucifige che si esibisce in bella mostra e che crea il mostro. I tempi di Pinelli e di Valpreda non sono affatto passati: un capro espiatorio serve sempre quando fa comodo. E lo si fabbrica, lo si trova, lo si alimenta.
E, ancora una volta, Matteo Renzi crea un circuito vizioso di scontro politico anomalo quando pensa di “logorare” i Cinquestelle fino al referendum costituzionale, la cui data ancora è impossibile da sapere. Il governo logora come può e quando può e vuole. Tutto gli è concesso. E tutto gli sarà concesso se a novembre o dicembre vincerà il SI’.
Per questo, la cautela è amica dello stato di diritto e dei diritti di tutte e tutti noi; la fretta della condanna è sempre e solo amica della feroce lotta per il potere.
I grillini troppe volte hanno usato questa fretta per accelerare la formazione dei consensi intorno al loro progetto populista, privo di valori sociali, fatto di mero trasversalismo e quindi a volte simile ad un ecosocialismo di sinistra, altre volte riconoscibile come un nazionalismo di destra.
Insomma, chi di fretta giustizialista ferisce, prima o poi ne perisce. E non è certo detto che questo giovi alla stanca, stropicciata e mal in arnese democrazia repubblicana.
MARCO SFERINI
8 settembre 2016
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