Il sistema politico italiano si trova nel pieno di una crisi di rappresentanza sistemica che dura ormai da decenni e all’indomani dell’approvazione dell’ennesima legge elettorale.
Una nuova legge elettorale che non solo presenta evidenti profili di incostituzionalità come le due precedenti elaborate nel giro più o meno di un decennio, ma appare misurata semplicemente sugli interessi di alcuni degli attori presenti nell’arena politica.
La conseguenza più diretta sarà quella di un esito elettorale di bassa produttività sia sul piano della rappresentanza (il tema che a chi scrive sta a cuore) sia su quello della governabilità (così celebrata nel corso degli anni dal coro degli angeli dei mezzi di comunicazione di massa).
Sarebbe il caso, allora, di proporre una riflessione più approfondita sullo stato dell’arte: in questo caso, però, mi limito ad alcune considerazioni prendendo spunto da due interventi compresi nel n.2 dei “ Quaderni di scienza politica” edito da Erga: “La polarizzazione quarant’anni dopo Parties and Party sistems (il testo sacro del compianto Giovanni Sartori n.d.r): tra vecchi e nuovi interrogativi) di Orazio Lanza e Vincenzo Memoli e la nota “Tra personalità e arte di governo. Una proposta analitica sulla nozione di leadership” di Furio Stamati.
Questo ragionamento d’occasione si avvia proprio dalla questione della leadership.
“Leadership” che è preferibile denominare come “personalizzazione della politica” per meglio significare come questo fenomeno si eserciti a diversi livelli e non soltanto a quelli apicali del sistema, in forza di un processo imitatorio formidabile indotto in gran parte dai mezzi di comunicazione di massa (fenomeno che non si verifica soltanto in politica, ma anche in altri campi nei quali si ritiene necessaria la figura del “conductor”).
Il ruolo della personalizzazione della politica si è sicuramente rafforzato nel corso degli ultimi anni e, come ha sottolineato Sergio Fabbrini (“Addomesticare il Principe: perché i leader contano e come controllarli, Venezia, Marsilio 2011”) il fenomeno è riconducibile a due elementi di trasformazione strutturale. Da un lato si è verificato il progressivo indebolimento del ruolo d’intermediazione sociale dei partiti. Contemporaneamente si è notevolmente rafforzata la pervasività dei mass media. D’altro canto, il ruolo attuale dei media non è solo un portato delle’evoluzione tecnologica e di costume, ma anche il risultato di precise scelte strategiche: pensiamo alla “discesa in campo” di Berlusconi con Forza Italia nel 1994 e all’ascesa del M5S tra il 2008 e il 2013, fenomeni di grande portata nel riallineamento del sistema italiano incentrati, nel loro divenire, rispettivamente su TV e web.
Il più autorevole punto di partenza per cercare di cogliere nel suo complesso la relazione tra il ruolo dei media e la trasformazione dei partiti rimane sicuramente quello dell’acquisizione del concetto di “democrazia del pubblico” proposto da Bernard Manin ( Principi del governo rappresentativo, Bologna, il Mulino 2010) e a quel testo si può continuare a fare riferimento,ma ciò che ci interessa, a questo punto, è verificarne gli effetti sul sistema politico italiano nel corso di questi anni.
Non è il caso, naturalmente, di tralasciare nell’analisi anche l’elemento della maggiore interdipendenza dei diversi sistemi politici al quadro di relazioni internazionali che hanno causato (in particolare i fenomeni legati all’integrazione europea, almeno nel nostro caso) la scelta degli esecutivi nazionali di distanziare alcune politiche, in particolare quelle economiche, dal ciclo elettorale nazionale (altri fenomeni di interdipendenza, invece, hanno e avranno un grandissimo peso sulla sorte dei governi e dei partiti nelle urne nazionali come nel caso del tema dei migranti).
E’ stato all’interno di questo quadro che nel sistema si sono evidenziati fenomeni di riallineamento anche vistosi (in particolare sul piano della volatilità elettorale) rivolti in due direzioni: una crescita forte dell’astensionismo a tutti i livelli di elezione, europeo, nazionale, locale (in controtendenza, almeno per quel che riguarda il caso italiano, un’occasione di confronto su di una “single issue” come quella Costituzionale, in occasione del referendum del 4 dicembre 2016) e lo svilupparsi dei cosiddetti partiti anti–sistema.
Partiti anti-sistema al riguardo dei quali addirittura in Italia stiamo assistendo al tentativo di trasformazione di un partito regionale come la Lega Nord in partito “Nazionale”, con la grande contraddizione di Presidenti di Regione appartenenti allo stesso partito che promuovono referendum nelle loro realtà (quelle “storiche” del movimento) per accentuare i termini legislativi di autonomia politico – istituzionale ( il tutto in una fase, a livello europeo, di grande sommovimento sotto questo punto di vista come nel caso della vicenda catalana e della probabile esplosione di analogo fenomeno nelle Fiandre).
Appaiono evidenti, in questi semplici esempi, i dati di stridente contraddizione che percorrono il sistema e che rendono complessivamente l’azione politica, sia quella di governo sia quella di rappresentanza, fragile, confusa, del tutto insoddisfacente.
La domanda che si pone a questo punto è questa: il sistema, di fronte all’emergere di fenomeni di questo tipo, assume una struttura di maggior polarizzazione (secondo lo schema proposto proprio a suo tempo da Sartori, quello del “pluralismo polarizzato”) oppure siamo di fronte ad un processo di riallineamento posto sul piano dell’accentuazione di meccanismi di similitudine tra i partiti accomunati dalla logica della personalizzazione e dell’utilizzo della “democrazia del pubblico” attraverso i mezzi di comunicazione di massa e del web?
La riposta sembrerebbe favorevole alla seconda opzione e un punto del testo di Lanza e Memoli tenderebbe a confermarlo “ in molte democrazie contemporanee, soprattutto quando la competizione riguarda quella parte del mercato affollato da elettori non identificati (i cosiddetti “orfani” dei partiti rappresentativi: n.d.r) , i programmi tendono a diventare sempre più mutevoli e indistinti e la radicalizzazione/polarizzazione assume spesso una veste relazionale, anche per costituire, soprattutto per i nuovi imprenditori politici che vogliono ritagliarsi un proprio spazio competitivo ( magari all’insegna del né di destra, né di sinistra, n.d.r.) una redditizia strategia per farsi riconoscere e mobilitare elettori”.
Un chiaro esempio, da questo punto di vista, sempre restando alle vicende italiane riguarda il discorso sul lavoro: dove tutti si tuffano sul reddito di cittadinanza, i bonus, gli sgravi, gli incentivi e nessuno – o quasi – si muove nell’intento di allargare il mercato del lavoro attraverso l’intervento pubblico in economia da realizzarsi con la programmazione e la gestione diretta dei grandi asset strategici.
La non polarizzazione tra i diversi soggetti quelli eredi del precedente sistema e quelli nuovi, poi, la si evidenzia ancor meglio nella conduzione degli Enti Locali : laddove la somiglianza nelle gestioni (scadenti) delle grandi emergenze urbane appare impressionante, nonostante gli Enti Locali ( e le Regioni) costituiscano il luogo politico della maggiore esaltazione della personalizzazione della politica attraverso l’elezione diretta ,meccanismo che, tra l’altro, concedendo a Sindaci e Presidenti di Regione la nomina diretta di assessori e collaboratori di vertice non contribuisce minimamente a far crescere una nuova classe politica adeguata alla realtà.
Proseguono Lanza e Memoli su di un punto – chiave : “in realtà l’obiettivo di molti partiti etichettati come populisti che affollano la parte centrale dell’asse (quello destra/sinistra n.d.r), si pensi al M5S italiano e al PS finnico, consiste, in modo del tutto simile ai partiti politici tradizionali, nell’ottenere la maggioranza dei seggi parlamentari per, una volta ottenuta, cessare di contestare – ove mai lo avessero contestato – il sistema in quanto tale”.
In questa affermazione si rileva una chiara e precisa identificazione del meccanismo in atto, soltanto illusoriamente improntato ad una nuova polarizzazione di sistema e di radicalizzazione di strategie e contenuti.
In questo modo diventa egualmente del tutto illusorio proclamare a suon di “boutade” una presunta “vocazione maggioritaria” che alla fine, si rivelerà semplicemente l’anticamera di formule di governo tratte semplicemente dall’antico armamentario del “connubio italiano (l’antenato del “trasformismo, per intenderci).
Questo discorso, ridotto all’osso per evidenti motivi di economia del testo, riguarda direttamente quelle forze di sinistra che intendono ancora misurarsi nell’arena politico–istituzionale sia come soggetti portatori di valori provenienti dalla storia del movimento operaio, sia come soggetti proponenti di un nuovo intreccio tra le contraddizioni e quindi misurati sulle prospettive di mutamento complessivo in atto nella società e nell’insieme del sistema globale di relazioni sociali, economiche, politiche.
Il punto appare quello di inserirsi come soggetto effettivamente polarizzante, determinato sul tema dell’identità politica e in grado di riallinearsi sull’asse principale che rimane quello destra/sinistra.
Asse destra/sinistra nel quale, come abbiamo visto, l’affollamento si determina al centro, ma non per una ricerca di moderatismo (il quadro è pieno di “estremisti di centro”) ma per una ricerca affannosa di elettorato in via di smarrimento da imbonire con facili promesse, comparsate televisive e tweet graffianti.
Sia ben chiaro che le ragioni di apparente radicalizzazione di vecchi e nuovi attori politici sono derivanti esclusivamente da esigenze di sopravvivenza elettorale: dal nostro punto di vista l’entrata in campo di una nuova soggettività polarizzante deve essere realizzata soprattutto attraverso una proposta di radicamento dell’espressione politica.
Il tema, per capirci, non è semplicemente quello delle caratteristiche di una lista elettorale ma quello del “Partito”.
FRANCO ASTENGO
foto tratta da Pixabay