Forse è un po’ per definizione che il potere non può arrivare a comprendere fino in fondo le esigenze della gente, i problemi sociali più diffusi e che coinvolgono milioni (se non miliardi) di esseri viventi. Raschiando a fondo, all’inizio della nostra era (umana e disumana), l’origine del termine è condizionata sempre da quella radice che proviene dal verbo latino “poteo“, quella “pa-” che si aggancia ad altre desinenze espressive di accudimento, come “pater familias” e che rimanda ad una doppia interpretazione: protezione e autorità.
Il potere è questo: una finzione tutta umana, enormemente reale quando si struttura in organizzazioni che dominano i popoli facendo credere loro di esserne al servizio. Κράτος (Cratos), del resto, è la figura mitologica che incarna il potere e dà il nome al “potere popolare“, la “democrazia“, ma anche a quello di eccellenze umane che si sono attribuite vantaggi e privilegi al di sopra di una miriade di esseri umani sottomessi: “aristrocrazia“, per fare un esempio storicamente ultramillenario.
Il potere popolare almeno, la nostra tanto coccolata e vilipesa democrazia, dovrebbe essere in grado di dimostrare tutta la sua modernità nel rappresentare per l’appunto i cittadini tutti, abbracciando una visione dell’umanità globale tanto quanto lo è il capitalismo liberista. Invece, le declinazioni nazionali di democrazia sono facilmente preda di egoismi protettivi di stabilità economiche conservatrici: ciò accade perché, in quel momento, il potere popolare impropriamente detto viene scaraventato via, viene oltrepassata la sua formalità mentre si impone il vero potere: quello di chi gestisce i conti di uno Stato che, alla fin della tenzone, sono la base su cui fondare la stabilità politica che deve tutelare gli interessi privati.
E’ per questo che l’Europa democratica si ritrae quando, con l’arrivo della bella stagione, riprendono gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane (e non solo). Perché la buona fede dei princìpi, scritti in tante costituzioni e trattati, diventa lettera morta davanti alla concretezza di problematiche che si trascinano impietosamente sulle rotte marine, dove si annega spesso nell’indifferenza generale proprio del potere; in quella vasta di una opinione pubblica sedotta dai richiami alla difesa del “poco che abbiamo“, facendo appello alla protezione culturale di una civiltà che mostra tutta la sua fragilità nel lasciarsi abbindolare da un egoismo microcefaleggiante.
Da un lato, dunque, il potere istituzionale sovranazionale e quelli nazionali, che fanno da garanti della “pace sociale” allontanando qualunque turbamento dell’ordine economico-finanziario stretto nei rispettivi confini (eppure così capace di oltrepassare le lunghe tratte transoceaniche con pochi click per spostare fiumi di denari da un azionariato all’altro); dall’altro lato i sovranisti e le destre che soffiano sul fuoco delle ansiogene esistenze di milioni di disagiati, di indigenti e di sfruttati per proteggere questo nazionalismo pecuniario da possibili sviluppi di carattere progressista.
Questo nazionalismo economico che finge di sposare il grande sogno dell’Europa multietnica, multiculturale, inclusiva, solidale e aperte al mondo intero, è la sintesi peggiore di politiche fatte tanto da governi cosiddetti di centrosinitra come, più logicamente, da quelli di destra. La fase attuale, che spinge il capitalismo euroepo (germanico verrebbe da dire…) a fronteggiare la pandemia con liquidità mai viste prima per mantenere il suo posto nella contesa mondiale tra i diversi poli di espansione liberista, dà grande credito alla freddezza dei numeri di borsa che suggeriscono di voltare le spalle ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che sono i primi approdi delle grandi migrazioni moderne.
L’Italia così viene lasciata da sola nella tenaglia del traffico internazionale di esseri umani tra la rotta balcanica e quella africana: il governo di unità nazionale si destreggia tra l’obbedienza alle leggi del mercato in tutto e per tutto e il frenare gli impulsi sovranisti di una parte della maggioranza parlamentare, mentre PD e Cinquestelle tacciono sui grandi drammi che dal Medio Oriente fino alla Libia investono interi popoli.
Per arrivare in Italia dalle lontane regioni asiatiche, oppure anche soltanto dalla “vicina” Siria, si pagano a testa fino a 20.000 euro. Cifre spaventose, a volte saldate immediatamente, altre volte al 50%, lasciando alla famiglia che rimane il debito da onorare con i trafficanti. Ogni persona viene pesata per quanto può valere. La domanda è sempre la stessa per ogni migrante: «Quanti soldi hai per corrompere le guardie di frontiera?». Solo così si selezionano coloro per cui merita rischiare e magari passare qualche guaio e altri che invece possono essere lasciati al loro destino, a metà strada…
L’Europa delle banche e dei mercati guarda ai decimali dei tassi di interesse sul debito, ai prestiti a fondo perduto ed a quelli che anche l’Italia dovrà rendere a caro prezzo: c’è tempo… Le generazioni che verranno saranno adeguatamente investite da oneri che verranno spacciati per onori: farsi carico della stabilità continentale, di una ripresa dopo la fase pandemica, cercando al contempo il modo migliore per sfruttare a basso costo la manodopera migrante, promuovendo l’espansione di diritti civili al solo scopo di integrare il plusvalore regalato da milioni di esseri umani in differentissimi modi.
Dal traffico dei corpi allo sfruttamento degli stessi, oltre che delle menti. Non cadranno tutti gli stereotipi e i pregiudizi, perché altrimenti verrebbero meno certe minime condizioni di esacerbazione degli animi popolari autoctoni verso le riserve di disperazione disoccupazionale che sono così utili alle forze politiche più beceramente xenofobe e razziste per governare le crisi di coscienza popolari.
Ma non è nemmeno giusto essere troppo pessimisti, mentre non ci si abbandona ad un radioso ottimismo che sarebbe tutto di facciata, celebrativo di una umanità istituzionale e finanziaria che gioca fin troppo un ruolo egemone nell’analfabetismo di ritorno civico e civile di tanti milioni di europei. Tuttavia, riesce difficile vedere un cambiamento sincero nelle relazioni del potere con altri poteri: strutturali e sovrastrutturali, marxianamente parlando. Riesce molto complicato poter avere fiducia in queste rappresentanze democratiche che restano dipendenti dalle oscillazioni degli indici borsistici, da politiche internazionali che fissano i nuovi assi portanti di una economia mondiale che si rinsalda in vista di una governance post-pandemica.
Grande convitato di pietra è la sinistra anticapitalista, quella critica senza se e senza ma che, da qualche lustro a questa parte, è l’irrinunciabile chiosa di ogni analisi su quanto ci accade intorno. Una nota a margine di ragioni che hanno dismesso il loro fascino rivoluzionario, quella voglia di cambiare il mondo veramente, renderlo un posto meno disumano, più solidale, ecologico, rispettoso di ogni forma di vita. L’uguaglianza non seduce, non fa notizia, non va di moda. Si preferiscono finzioni istituzionaleggianti, riformismi antiprogressisti che si fanno chiamare “sinistra” e che sono il suo esatto opposto.
La sinistra, questa sinistra finta e bugiarda, oggi è parte del problema. Non dimentichiamolo.
MARCO SFERINI
12 maggio 2021
foto: screenshot You Tube