Le scissioni, come forma di protesta e di distinzione politica verso una determinata linea intrapresa da un congresso di partito, ormai sono superate. Il nuovo livello cui siamo giunti a sinistra, per esercitare un diritto di dissenso, legittimo e naturalmente costituzionalmente democratico, è il comunismo della durezza da un lato e il moderatismo della durezza dall’altro.
Leggere “il manifesto” oggi è, oggettivamente, farsi del male se si è deciso che, nonostante la batosta elettorale che ha visto solamente 460.000 elettori preferire La Sinistra rispetto ad altre formazioni politiche per il Parlamento europeo, si deve continuare la costruzione di una aggregazione che unisca sensibilità, culture e analisi anche differenti ma evitando il cupio dissolvi che sempre in passato si è autogenerato al termine dello spoglio delle schede.
Da un lato la “capa” di Potere al popolo! dichiara, adoperando un linguaggio da basso populismo, che la “somma dei ceti politici” non paga e che lo si è visto proprio perché di semplice addizione si sarebbe trattato con contraddizioni politiche sul piano delle alleanze regionali che riguardavano Sinistra Italiana e che, oggettivamente, esistono ma che fortunatamente sono questioni lontane mille miglia dal pensiero della cosiddetta “gente comune”, ossia di tutti quei milioni e milioni di italiani che non vivono la politica alla nostra stregua, ossia quotidianamente e seguendo tutti i percorsi carsici che nascono e i terremoti nascosti sempre nelle viscere di una terra mai troppo tranquilla.
Dall’altro lato è Paolo Cento a riproporre una polemica sulla collocazione del suo partito (parliamo sempre di Sinistra Italiana): «E’ stato un errore sottovalutare la portata innovativa della vittoria di Zingaretti e del fatto che c’è bisogno di alleanze unitarie e non di settarismo».
Tradotto, significa che una riflessione su possibili convergenze con il “nuovo” corso del PD, quello che avrebbe inaugurato Zingaretti nonostante l’ottima affermazione elettorale di un liberista come Calenda (che rappresentava ben metà del simbolo costruito appositamente per la tornata europea), è da fare e probabilmente la fase dialettica si è aperta in Sinistra Italiana.
Rifondazione Comunista invece è compatta sul dopo-voto nel descriverlo come un “disastro” ma nel proporre anche una unica via di prosecuzione dell’esperienza appena inaugurata: il consolidamento sociale e politico de La Sinistra.
La stagione del centrosinistra che Paolo Cento rivede come possibile prospettiva di recupero magari di un bipolarismo (citato da Zingaretti in conferenza stampa notturna) è francamente una velleità, una concreta utopia non fosse altro per la presenza sempre in campo dei Cinquestelle che non si rassegnano di certo a fare da ruota di scorta tanto alla Lega quanto al PD.
Nemmeno questo sarebbe l’intento di eventuali alleati di un Di Maio azzoppato e più che dimezzato nei consensi: la perdita di ben sei milioni di elettori è una delle emorragie di voti più celebri nel corso della vita repubblicana d’Italia. Degna quindi della necessaria sottolineatura e di una riflessione in merito alla mobilità del consenso che si esprime ormai su parole d’ordine sempre più semplificate, estremamente rivolte alla pancia dei cittadini, strettamente collegate ad un sentimento popolare percepito e trasformato in slogan e programmi di governo poi irrealizzabili perché, alla fine della fiera, fatti e conti hanno la testa dura.
Ma il nove giugno La Sinistra si riunisce: la volontà è di andare avanti con lo stesso simbolo, creando un condominio dove possano stare in piedi le varie case che ne fanno parte, stabilendo una interazione tra loro. Se le domande del cosiddetto “popolo di sinistra” sono da seguire, piuttosto che da rincorrere, e vanno ascoltate, quell’unità, ridicolizzata da chi festeggiava alle politiche per l’1% raccolto definendo le elezioni quasi un incidente o accidente di percorso, deve essere salvaguardata stando bene attenti all’obiettivo da definire insieme.
Rimanere insieme ha senso se ciò significa provare ad allargare i confini culturali, sociali e politici di una sinistra di alternativa convintamente anticapitalista e antiliberista.
Se rimanere insieme invece dovesse significare tentare di egemonizzarsi a vicenda, dare vita ad una contesa continua in merito ai punti di sviluppo di un nuovo programma per una distinzione sempre più marcata dei valori di sinistra da quelli delle tre destre che si contendono il governo del Paese, allora saremmo davanti ad esperimenti già tentati, magari riproponendo l’illusione ottico-politica di frenare l’avanzata delle destre sostenendo proprio quelle finte sinistre che hanno distrutto i diritti sociali, la scuola pubblica, la sanità e il sistema di stato-sociale che residualmente restava in Italia.
Ha ragione Michela Murgia: “La destra fa la destra. La sinistra faccia la sinistra“. E’ un appello, spero, rivolto proprio a La Sinistra, a Rifondazione Comunista, a Sinistra Italiana e non al PD perché finché ci sarà anche il minimo dubbio sull’essere “di sinistra” del PD, ciò vorrà dire che una nettezza distintiva ancora non esiste e che, grazie al supporto dell’utile idiozia comunicativa dei grandi mass-media, sarà vero ciò che è falso e falso ciò che vero.
Se preferite una metafora cromatica: sarà rosso ciò che è blu (liberal-liberista…) e, più classicamente, bianco ciò che nero. Nerissimo…
MARCO SFERINI
29 maggio 2019
foto tratta da Pixabay