L’affermazione più risibile che ho ascoltato è: “Siamo garantisti“. Votare contro una relazione che richiede di non concedere l’autorizzazione a procedere per un senatore della Repubblica non vuol dire mettere in discussione, sul piano personale o su quello istituzionale, i sacrosanti princìpi del migliore garantismo del nostro diritto. L’ultima parola, come è noto, spetta comunque alla Camera alta del nostro Parlamento e non è affatto detto che gli indirizzi dati dalle commissioni trovino conversione effettiva col voto dell’Aula.
Per cui, archiviata la smargiassata tutta tesa a dimostrare la bontà della scelta di non partecipare al voto della Giunta per l’autorizzazione a procedere che valutava il caso “Open Arms“, non resta che cercare di entrare negli anfratti della comprensione di un comportamento ampiamente impolitico per differenti motivi: primo fra tutti il non trovarsi innanzi ad un presunto “reato di opinione” commesso da un deputato o da un senatore.
La magistratura palermitana chiede di mandare a processo l’ex ministro dell’Interno per una volontà politica che avrebbe oltrepassato i confini della legalità, del rispetto dei fondamentali diritti dell’essere umano, lasciando per giorni bloccati sulla nave della Ong spagnola oltre 140 migranti provenienti dalla Libia. Una aperta violazione di norme del diritto internazionale marittimo a cui si aggiunse il contrasto con la Presidenza del Consiglio, con Conte in persona, che voleva invece che i migranti venissero sbarcati su territorio italiano.
A questo proposito i magistrati hanno sottolineato: “Il 16 agosto [Giuseppe Conte] rispondeva a una missiva del ministro Salvini, ribadendo con forza la necessità di autorizzare lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms, anche alla luce della presenza della nave al limite delle acque territoriali (in effetti vi aveva già fatto ingresso) e potendo, dunque, configurare l’eventuale rifiuto un’ipotesi di illegittimo respingimento aggiungeva di aver già ricevuto conferma dalla Commissione europea della disponibilità di una pluralità di stati a condividere gli oneri dell’ospitalità dei migranti della Open Arms, indipendentemente dalla loro età. Invitava, dunque, il ministro dell’Interno ad attivare le procedure, già attuate in altri casi consimili, finalizzate a rendere operativa la redistribuzione“.
Fin qui la ricostruzione dei fatti avvenuti nella Giunta senatoriale e gli antefatti riguardanti il caso “Open Arms“. Perché, dunque, potendo avere tutti i ragionevoli dubbi del caso, i senatori di Italia Viva hanno disertato il voto? La spiegazione che chiama in causa la fede garantista non è sufficiente, perché non fa da contrappeso alle contraddizioni politiche che innesca un comportamento di questo tipo, tutti i riflessi che rimanda sulla maggioranza di governo e, soprattutto, non è un fatto che può dirsi “isolato“, uno scivolone del momento, una disattenzione riguardo alle conseguenze.
C’è chi definisce il tutto “strategia di logoramento“, chi “strategia della tensione” tutta interna all’esecutivo, mediante la quale Italia Viva (quindi Renzi) ad altro non mirerebbe se non a rimanere sulla scena massmediatica per qualche settimana ancora, rosolando il governo alla canicola estiva e logorandone la pazienza, l’unità di intenti e generando in tal senso le condizioni per un cambiamento, per arrivare magari al governo di unità nazionale guidato magari da Mario Draghi, che pare piaccia molto anche alla Lega.
Francamente, davvero, faccio molta fatica a capire lo stupore (lo dico anche ironicamente, lo preciso, prima che qualcuno fraintenda…) di chi si meraviglia platealmente e si mostra allibito per quanto è avvenuto. Mi sembra naturale che una forza politica di centro voglia ricostruire quel luogo di azione mediatrice per mantenere intatto il suo potere istituzionale che sempre di più stride, in quanto a rappresentanza dentro e fuori il governo, con un presumibile consenso popolare degno di noi poveri comunisti: un 1,5% secondo le ultime stime.
Non vanno meglio i tentativi di Calenda da un lato e di Toti dall’altro di rimescolare le carte proprio in quella “terra di nessuno“, quella sottile linea di confine tra i blocchi che oggi è fuorviante definire di “centrosinistra” o “centrodestra“: maggioranza ed opposizione gareggiano per innovarsi, per scrollarsi da addosso più etichette possibili e sembrare nuove, rigenerate anche grazie alla pandemia, ad una crisi economica che ne consegue e che fa saltare il banco del casinò europeo e consegna all’Italia un ruolo non secondario nella gestione politica, economica e sociale del Coronavirus.
Poi accade che in Lombardia, quasi nelle stesse ore in cui la Giunta viveva le defezioni grilline e l’assenza di Italia Viva durante il voto, un altro unisca la maggioranza a trazione leghista con il partito renziano per eleggere una propria esponente alla guida della Commissione di inchiesta sulla gestione della pandemia in Lombardia.
M5S e PD lanciano accuse, volano altri stracci, ma rimane sul tappeto la questione fondamentale, fin troppo evidente: si tratta di una serie di scosse telluriche che rimettono in moto il gioco della conquista della rappresentanza politica delle crisi economica e, più in generale, della classe padronale che si sta riorganizzando per oltrepassare, con abbondanti aiuti di Stato, la “difficoltà” del momento.
Niente di più e niente di meno. Per questo stupirsi della condotta tenuta nella Giunta per le autorizzazioni a procedere da parte di questo o quel senatore transfugo o dissidente oppure di un partito piccolo dalle mediocri ragioni, è soltanto un gioco per sciocchi: per non accorgersi del contesto in cui tutto questo evolve (ed involve sul piano democratico e sociale) bisogna essere davvero tonti oppure apertamente in malafede.
Scegliete voi…
MARCO SFERINI
27 maggio 2020
foto: screenshot