Esecuzioni sommarie come riti di iniziazione, omicidi gratuiti, uomini e ragazzi innocenti uccisi a sangue freddo e poi presentati come pericolosi militanti, vere e proprie gare a chi uccideva più «nemici combattenti», o presunti tali.
Sono alcuni dei fatti che emergono da un rapporto di 465 pagine reso pubblico ieri e redatto dal giudice militare Paul Brereton, nominato nel 2016 dall’Ispettore generale del ministero della Difesa australiano per investigare su presunti crimini di guerra in Afghanistan.
Dopo quattro anni di inchiesta, più di 400 interviste, 25.000 documenti analizzati e 20.000 immagini raccolte, Brereton ha tirato le conclusioni, descrivendo quella che il capo di Stato maggiore Angus Campbell ha presentato come la pagina «forse più vergognosa della storia militare australiana».
Sarebbero 39 infatti i civili afghani uccisi senza ragione da 25 membri delle forze speciali australiane, le «SAS» (Special Air Service), in 23 episodi differenti, i cui dettagli sono perlopiù omessi dal rapporto pubblico.
Il rapporto rivela una pratica ricorrente. I comandanti di pattuglia chiedevano ai nuovi membri di superare una sorta di rito di iniziazione: esecuzioni degli afghani sotto loro custodia. Sporcarsi le mani di sangue, uccidere, per spirito di corpo e di affiliazione. Inoltre, ci sarebbero state vere e proprie gare per ottenere il più alto numero di «nemici combattenti» uccisi. Si trattava di innocenti, sui cui corpi venivano lasciate armi, granate, riviste di armamenti, così da legittimarne l’uccisione. Un modo «per nascondere uccisioni illegali deliberate», recita il rapporto. I resoconti venivano manipolati, scritti e riscritti, in modo da trasformare gli innocenti in obiettivi legittimi: secondo quanto dichiarato dallo stesso Campbell, tutti i casi riguardano omicidi avvenuti fuori dal fronte di battaglia, quando gli afghani erano detenuti o sotto custodia dei soldati australiani. Contadini, civili, cittadini senza colpe.
Secondo il giudice Brereton, autore dell’inchiesta che copre gli anni dal 2005 al 2016, gli elementi raccolti rappresentano «un tradimento vergognoso e profondo» di tutti quei valori per cui combattono le forze armate australiane. Di vergogna ha parlato anche il primo ministro australiano, Scott Morrison, il quale prima della pubblicazione del rapporto ha chiamato il presidente afghano Ashraf Ghani per scusarsi e per assicurare che giustizia verrà fatta. Qualcuno ne dubita. Gli elementi raccolti non sono definitivi. Andranno valutati nel corso di processi penali veri e propri.
Una strada lunga e in salita, anche se le autorità australiane assicurano trasparenza e già alcuni giorni fa il governo ha istituito un Ufficio speciale per accertare potenziali casi penali emersi dal rapporto Brereton. Mentre nel 2015 era stato proprio il generale Angus Campbell, che ieri ha voluto rivolgersi alla nazione per presentare i risultati dell’inchiesta, a commissionare alla sociologa e ricercatrice Samantha Crompvoets un rapporto segreto che avrebbe poi anticipato alcune conclusioni del rapporto Brereton, dai riti di iniziazione alla copertura di omicidi extragiudiziali.
Per ora sotto inchiesta c’è soltanto David McBride. Ufficiale e avvocato dell’esercito, due missioni in Afghanistan, ha cercato inutilmente di denunciare ai superiori i comportamenti dei membri delle forze speciali. Inascoltato, è diventato un whistleblower, fornendo documenti classificati all’Australian Broadcasting Corp. Nel luglio 2017 la Abc ha pubblicato gli Afghan Files e McBride è finito sotto inchiesta. Rischia una condanna a vita per aver spezzato il muro di omertà e complicità nell’esercito. Il generale Campbell, che ha accolto tutte le 134 raccomandazioni del rapporto, ha denunciato «la cultura guerriera egocentrica» e la «competitività tossica» tra i reparti speciali. Alcuni soldati «hanno deciso di farsi le proprie leggi, abbandonare le regole, contraffare le storie, uccidere i detenuti».
I comandanti sul campo venivano percepiti come «semi-dei», si sentivano parte di una élite, superiori alle regole di ingaggio. E «quanti avrebbero voluto parlare sono stati scoraggiati, intimiditi, discreditati». Per questo c’è chi chiede al governo australiano di ritirare le imputazioni contro il whistleblower McBride.
GIULIANO BATTISTON
foto tratta da Wikimedia Commons