La storia infinita dei colpi di Stato in America Latina

Facciamo bene attenzione a non ridimensionare quanto avvenuto in Bolivia nelle ultime quarantotto ore. Il tentativo di colpo di Stato da parte di un settore delle forze armate guidate...

Facciamo bene attenzione a non ridimensionare quanto avvenuto in Bolivia nelle ultime quarantotto ore. Il tentativo di colpo di Stato da parte di un settore delle forze armate guidate dall’ex comandante in capo dell’esercito, il generale Juan José Zuñiga, non è, come qualcuno ha scritto su eminenti giornali nazionali ed internazionali, un regolamento di conti interno al paese andino, alla politica dello Stato plurinazionale, al rapporto tra il governo del socialista Luis Arce e le forze armate.

C’è anche questo nel racconto dell’occupazione della plaza Murillo e del tentativo di circondare la sede del governo, Palacio Quemado: le immagini di TeleSur parlano chiarissimo e, se è stato un tentato golpe oppure un tentativo di disarcionare l’esecutivo a guida MAS (Movimiento al Socialismo) e far poi ritornare nei ranghi le forze armate ribelli, rimane molto difficile da stabilire. Ma questo non può essere un alibi per ridurre le tre ore di rivolta militare ad un colpo di testa di un ex comandante in capo dell’esercito estromesso dal suo ruolo per le dichiarazioni fatte nei confronti di Evo Morales.

Le minacce contro l’ex presidente boliviano paiono, al momento, le uniche motivazioni all’origine della destituzione di Zuñiga che, adesso, dopo essere stato arrestato insieme ad un ex viceammiraglio della marina, Juan Arnez Salvador, rischia più di venti anni di carcere per sovvertimento della Repubblica, per attentato alla Costituzione dello Stato. Fin qui i fatti di cronaca interna che potrebbero, in effetti, indurre a considerare la faccenda una questione di carattere regionale.

Ma l’America Latina – e non solo lei – ci ha abituato a resoconti di rivolte militari e di regimi che ne sono nati dopo un periodo di gestazione del malcontento popolare dovuto alle peggiori crisi economiche globali che si sono riversate ovviamente sui paesi meno sviluppati e che hanno colpito i ceti popolari e il sottoproletariato moderno di tante favelas, di tanti quartieri dove la povertà è uno stato di disagio endemico a dir poco allarmante.

Trent’anni fa le cronache estere raccontavano dei terribili commerci di organi umani, dalle cornee ai polmoni, da pezzi di fegato alle reni, asportati per pochi soldi a gente che, colta dalla disperazione più nera, altro non aveva più da dare per procurarsi un po’ di sussistenza se non i pezzi del proprio corpo.

Ovviamente, come sempre accade là dove si sviluppa un commercio illegale, ma legalizzato da un sistema criminale come quello capitalistico globale, questi traffici erano supportati proprio dai governi locali che, con le loro milizie armate irrompevano nelle favelas e depredavano i derelitti che le abitavano dei loro miseri guadagni, rapivano i bambini e ne facevano scempio facendoli diventare oggetti da cui prendere quello che sul mercato era vendibile.

Gli Stati Uniti, che hanno sempre sostenuto i peggiori regimi dittatoriali del “cortile di casa“, dall’alto dei loro princìpi democratici si sono resi responsabili di una serie di tragedie che hanno percorso l’America Latina unita in una ininterrotta scia di sangue dalla repressione congiunta nella famigerata “Operazione Condor“. Nel triennio 1976 – 1978 la CIA aveva installato nella zona del Canale di Panama una base dove transitava ogni tipo di materiale utile al coordinamento dei rapimenti, delle uccisioni tanto singole quanto dei rastrellamenti degli oppositori politici.

Dal Cile di Pinochet all’Argentina di Videla, quasi tutti i desaparecidos sono stati il prodotto della criminale operazione continentale messa in essere per fare piazza pulita di ogni forza politica, sindacale e sociale che avesse tentato di riportare la democrazia negli Stati che avevano visto rovesciati i legittimi governi eletti, incarcerati e torturati i loro membri, nonché giornalisti, volontari di opere di carità tanto laiche quanto ecclesiali.

Per questo, proprio ricordando la recentissima storia novecentesca del sud del Nuovo Mondo, è davvero molto difficile scindere quello che accade anche in uno soltanto dei paesi che furono coinvolti nel “Plan Condor” (il Paraguay di Stroessner, il Cile di Pinochet, l’Argentina di Videla, la Bolivia di Banzer, le sollevazioni militari in Brasile…) e affermare che si tratta di un fenomeno tutto interno a quello Stato, che non solo non ha interconnessioni naturali e ricadute sulle politiche estere vicendevoli, ma che di più ancora è un “episodio” facilmente decontestualizzabile da ciò che accade nel mondo.

Ce lo dirà la Storia se quello di Zuñiga è stato soltanto un passo più lungo della sua gamba o se, invece, questo tentativo di sollevazione militare contro il governo democratico e socialista di Arce può aver avuto la connotazione della prova generale per sondare l’adesione della popolazione alla rivolta, alla messa in discussione delle politiche di riforma che vanno in chiara, evidente direzione antitetica rispetto a quelli che sono i dettami dell’imperialismo nordamericano e del liberismo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.

L’antisocialismo e l’anticomunismo, per quanto siano oggi diversamente declinati dalle forze reazionarie e conservatrici sempre al soldo capitalismo yankee, sono un ottimo collante per la propaganda populista che intende riportare la bilancia commerciale su un livello di import-export in cui l’economia nazionale sia adeguata agli standard internazionali che, ovviamente, privilegiano i mercati del Nordamerica, dell’Europa e del cosiddetto “Occidente” moderno e sviluppato.

Un esempio di questo protocollo di intesa non scritta tra forze e governi anche politicamente lontani sul terreno ideologico è l’Argentina di Javier Milei. La patetica retorica populista dell’invenzione di un “anarco-capitalismo” vendicatore delle ingiustizie sociali è la bislacca e seducente stravaganza per chi come il presidente con la motosega cerca un posto nel continente in mezzo al trumpismo di ritorno e ai disegni neoimperiali di una Repubblica stellata che ha visto tramontare il suo sogno di unipolarismo mondiale.

Le liberalizzazioni totali di Milei sono la destrutturazione completa dello Stato democratico, sociale e popolare. L’Argentina rischia di essere svuotata dal suo interno non solo dell’apparato istituzionale che dovrebbe gestire ciò che non avrà più alcuna ragione d’essere perché sarà stato spazzato via, ma di tutta una serie di diritti fondamentali anche civili ed umani che faranno riemergere lo spettro di una dittatura. Questa volta non dalla fisionomia smunta e scarna della tirannia militare ma da quella infingardamente paciosa della ricchezza capital-liberista.

Tutto questo, dalla Bolivia all’Argentina, dal Cile al Brasile, dall’Urugay al Venezuela, ci parla di una serie di tentativi da parte delle forze progressiste di resistere ad una espansione del capitale che dipende sempre e comunque dall’accumulazione primitiva che – come ne scrivono con grande oculatezza sia Karl Marx sia Rosa Luxemburg – si invera e trova la sua sostanziazione ai margini della società e, geograficamente parlando, nelle lande più desolate di un mondo dove la povertà è strutturale e dipende dalle economie di altri paesi invece sviluppati.

Proprio Rosa Luxemburg descrive questa caratteristica dell’accumulazione primitiva come una un fenomeno che non appartiene solamente alla fase di espansione globale del capitale stesso. L’imperialismo, di cui tanto si è fatto cenno, è un elemento imprescindibile del sistema delle merci e dei profitti, della proprietà privata dei mezzi di produzione e dello sfruttamento della forza-lavoro umana (e animale).

Anzi, la sopravvivenza del capitalismo, nei momenti di crisi (come le guerre mondiali o anche quelle regionali cui è toccato assiste quasi impotenti dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso ad oggi) si affida allo sfruttamento sempre maggiore delle risorse di terre non ancora colonizzate o non propriamente sfruttate secondo i nuovi standard di produzione e di commercializzazione delle merci.

In America Latina la prima, vera, grande ondata liberista la si ha con la fine di Salvador Allende e l’usurpazione del potere in Cile da parte del generale Augusto Pinochet. Sono i “Chicago boys” con la loro scuola di economia ipercapitalista ad ispirare (ed a dirigere) quelle che saranno le mosse di intervento del governo del dittatore fascista per eliminare qualunque parvenza di riformismo sociale e instaurare, nella pratica, un solido regime di privatizzazioni.

Molto simili a quelle che Milei sta portando avanti in Argentina ed altrettanto simili a quella politica che piaceva tanto alle borse ed ai mercati brasiliani (americani e mondiali) messa su da Jair Bolsonaro unitamente alla tanta retorica di odio nei confronti delle minoranze, dei “diversi“, dei marxisti, del socialismo e di quei poveri che non hanno mai smesso di essere marginalizzati nei quartieri più degradati delle grandi metropoli sudamericane.

Perché mai personaggi così rozzi, volgari e apertamente autoritari piacciono al grande capitale? Perché non esiste più una classe borghese di riferimento che riesca a mettere insieme i princìpi del liberalismo moderato con quelli del liberismo spinto di nuova e ormai neomillenaria generazione. Gli esperimenti di centrosinistra che si sono dati alcuni Stati del subcontinente andino, altro non hanno fatto se non ripetere errori su errori nel tentare un compromesso tra interessi pubblici e privati.

Del resto, la via al socialismo cilena era finita male e non lasciava presagire nulla di buono qualunque altro tentativo in questa direzione. Hugo Chavez è riuscito, a differenza di altri, a consolidare un rapporto tra sviluppo economico non separato dal resto del mondo e riforme sociali. La definizione data dalla narrazione occidentale-nordatlantica è stata, naturalmente, quella della “dittatura comunista“, di un regime a trazione socialista dove le libertà civili erano sacrificate a favore dei diritti sociali.

Questo a detta di chi non aveva mai smesso di promuovere sollevazioni e colpi di Stato sanguinosi finiti in enormi tragedie che avevano coinvolto interi popoli. Quando Allende viene rovesciato dal golpe targato CIA, l’importanza della scuola economica dei Chicago boys si mostra in tutta la sua evidenza: rappresentano i teorizzatori e gli analisti di una nuova fase del capitalismo che ha bisogno di regimi addomesticabili per potersi espandere anche nel sud del mondo.

E siccome le risorse primarie e naturali scarseggiano, tocca andarle a cercare là dove si è già provato, in decenni passati, di creare degli Stati fantoccio degli USA, anche con l’istruzione di milizie armate che si rivolteranno poi contro l’ex amico americano e diventeranno quel pericolo terrorista che piacerà a Washington descrivere come la madre di tutte le lotte per la fine della disumanità e l’inizio dell’esportazione della democrazia nel mondo.

Sarà l’ultimo (forse) tentativo di restaurazione dell’unipolarismo a stelle e strisce. Terminate le Guerre del Golfo, l’esplosione dei conflitti mediorientali, africani e arabi non farà che mostrare e dimostrare il completo fallimento della politica neoimperialista americana.

Per questo e per molte altre considerazioni similari, il tentativo di colpo di Stato in Bolivia segue un filone storico e attualistico di rivolte contro i governi democraticamente eletti là dove c’è la parvenza di un recupero di rapporti di forza favorevoli da parte delle sinistre, del progressismo, dell’idea di una alternativa concreta al regime liberista, al capitale nella sua interezza.

Non c’è dubbio che le tensioni interne tra Arce e Morales non abbiano giovato alla causa della stabilità del governo di stampo socialista e, alimentando una debolezza che è andata crescendo, sono state un viatico per la manifesta arroganza di un settore delle forze armate infedele nei confronti del presidente attuale e apertamente ostile a quello precendente.

Non è facile fare delle previsioni su ciò che potrebbe avvenire tanto in Bolivia quanto nel resto dell’America Latina. Le tensioni sono uguali e contrarie: basta mettere a confronto il Brasile di Lula e l’Argentina di Milei. La dicotomia tra due antitetiche idee di sviluppo sociale e civile è molto più che evidente. Quale delle due possa prevalere e influenzare il corso della Storia è un quesito affidato ai sommovimenti del capitalismo liberista su scala ovviamente continentale americana, ma anche sul piano più genericamente globale.

Il golpe contro Arce è, questo sì, un campanello d’allarme che non va sottovalutato e che deve far tenere alta la guardia democratica e costituzionale a tutte le sinistre, a tutti i progressisti, ai socialisti come ai comunisti ed agli antifascisti ed antiautoritari di qualunque colore.

MARCO SFERINI

28 giugno 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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