Il 7 dicembre in un ospedale di Bolzano è morta Lidia Menapace: è morta la compagna Lidia Menapace (senatrice per Rifondazione Comunista dal 2006 al 2008 e iscritta al nostro partito), la partigiana Lidia, la femminista. Gli occhi delle comuniste e dei comunisti, ma anche di tutte le persone democratiche e amanti della pace, si velano di lacrime, in questa stagione infernale in cui altre lacrime stanno scendendo per le morti per covid-19 e per le tremende ingiustizie e guerre che regnano nel pianeta.
La “partigiana” Lidia ha sempre interpretato il suo ruolo con gentilezza mista a fermezza e ironia. In un incontro tenutosi presso la Casa del popolo di Ponziana nel 2017 ci disse che essere partigiane e partigiani significa essere “di parte”: dalla parte degli uomini e delle donne sfruttate e oppresse, e questo è tutto il contrario della “faziosità”. Essere “di parte” significava, per lei, essere dalla parte dell’interesse generale. Dalla parte di un popolo e dentro un popolo che spesso sfugge al ritratto idealizzato che ne abbiamo in testa.
Partigiana prima, poi democristiana (prima donna eletta nel Consiglio provinciale di Bolzano nel 1964) e infine, dal 1968, comunista, Lidia Menapace ha tenuto sempre viva la fiamma dell’intelligenza critica, anche rispetto al proprio “campo”, a volte restio a sentir parlare di lotta al patriarcato, battaglia centrale della sua esistenza e che riassume il suo essere pacifista e comunista.
Afferma in un’intervista a “Noi donne” del 9 aprile 2009: “…appoggio pienamente l’idea dell’UDI, ‘50 e 50 ovunque si decida’, cioè la presenza di metà uomini e metà donne per ogni assemblea elettiva, poi credo che si debbano coinvolgere gruppi di donne numerosi e significativi, anche senza una eccessiva preparazione. Intendo dire che il livello medio dei candidati politici è davvero basso, quindi le donne potrebbero già essere inserite in politica senza una formazione completa, quella si può acquisire dopo, dall’interno.
È importante che si muovano gruppi di donne, che poi possano ampliarsi e dai quali emergano numeri elevati di donne attive e si costruiscano vere e proprie carriere politiche. Io ho iniziato facendo la staffetta partigiana e trovo giusta l’idea dell’ANPI che oggi chiede, come unico requisito per i suoi associati, quello di essere ‘antifascisti’: da qui si può partire, come base politica, per costruire anche altro…”.
Da qui possiamo ripartire con il suo insegnamento e nel nome suo e delle troppe e troppi che ci stanno lasciando in questa fase così buia. Ci lasciano un’eredità splendida e pesante, di cui provare a essere degne e degni.
GIANLUCA PACIUCCI
8 dicembre 2020