La spasmodica voglia di modificare l’Italicum

Sembra che ora i sostenitori della prima ora e i proponitori dell’Italicum stiano cambiando idea e strategia politica: la legge elettorale non va più bene così come era stata...

Sembra che ora i sostenitori della prima ora e i proponitori dell’Italicum stiano cambiando idea e strategia politica: la legge elettorale non va più bene così come era stata concepita. I sondaggi sfavorirebbero il Partito democratico in un confronto con il Movimento 5 Stelle. Qualche possibilità in più Renzi la avrebbe in un ballottaggio con il listone di centrodestra magari guidato da Salvini.
Ma il rischio esiste, resta, permane in ogni rilevazione di qualunque istituto e, quindi, le regole non ancora definitivamente approvate, si cambiano in corso d’opera.
Soprattutto si cambiano prima della riforma costituzionale che verrà sottoposta al giudizio popolare mediante il referendum la cui data di svolgimento non si può ancora sapere: la discrezionalità del governo è tutta volta a favorire la migliore non delle condizioni democratiche di partecipazione, ma quella che può determinare un risultato il più vicino possibile alle aspettative dei “riformatori”.
Che vinca il SI’, dice oggi Pierferdinando Casini in una intervista a “La Stampa”, è quasi un imperativo morale, una necessità storica per il Paese. Perché da questo e dalla riforma della legge elettorale passerebbero tutte le risoluzioni dei problemi quasi, questi sì, storici che l’Italia patisce da Nord a Sud, con tutte le differenze dei casi.
Come possiamo definire questa indisturbata mobilità nel cambiamento delle regole del gioco? Modernità democratica? Piacerebbe molto all’esecutivo una classificazione di questa natura: in fondo, tutto ciò che è cambiamento deve per forza corrispondere con il concetto di “moderno” e tutto ciò che invece, come il NO al referendum, protegge la democrazia repubblicana, il Parlamento e l’equilibrio dei poteri, passa per essere un conservatorismo anche moderno, ma pur sempre conservazione e, quindi, volontà di non innovare.
Ma l’equazione tra cambiamento e innovazione non quasi mai così meccanicistica, anzi, il più delle volte avviene proprio il contrario: si cambia, ma in peggio, perché le conquiste degli spazi di libertà non sono una garanzia di imperitura stabilità di una società immutabile.
Del resto, l’immutabilità è conservatorismo se la si concepisce come determinazione ad impedire un adeguamento di ciò che settanta anni fa era stato stabilito nella Carta e che oggi, magari, ha la necessità di prendere la forma dell’acqua, quindi rimanere sempre acqua ma in un contenitore diverso, dalla forma differente.
Purtroppo, la controriforma renziana vuole cambiare forma e sostanza: a partire dalla regola elettorale e proseguendo con la modificazione di 44 articoli della Costituzione. Un pasticcio che comprimerà i diritti sociali, civili, le libertà individuali e collettive e assegnerà, come più volte abbiamo detto, al governo un ruolo di preminenza rispetto a tutti gli altri organi dello Stato.
Il timore che gli attuali rapporti di forza politici rendano vano questo disegno oggi, è la migliore delle dimostrazioni di quanto diciamo da tempo e continueremo a dire per impedire che il Paese cada in una deriva, se non apertamente autoritaria, almeno fortemente a-democratica, priva ossia di un sistema di equilibrio dei poteri, delle tutele tra organo e organo dello Stato, tali da garantire ancora la delega dei cittadini espressa nella volontà del voto e della vera rappresentanza parlamentare ormai negata da troppi anni da leggi elettorali che trasformano le minoranze in maggioranze e negano l’assoluta uguaglianza di questo diritto per tutte e tutti.
Per questo, oggi, Napolitano e Renzi cambiano campo e vogliono modificare l’Italicum: caso mai si perdesse il referendum, sarà poi la Corte Costituzionale a valutare una legge elettorale forse meno incostituzionale di quella che oggi ancora è sul tavolo del Consiglio dei Ministri.
La democrazia ha bisogno di protezione proprio da chi si definisce “democratico”. Il tempo dei paradossi non è affatto finito con l’era berlusconiana ma, come si scriveva nei romanzi pubblicati sui quotidiani d’un tempo: “continua…”.

MARCO SFERINI

11 settembre 2016

foto tratta da Pixabay

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