Ho visto un re. Lo dicono in molti dopo il risultato delle urne spagnole e pensano che Felipe possa essere quel punto di mediazione per la formazione di un governo che permetta ad un parlamento privo di maggioranza assoluta di produrre una maggioranza di coalizione.
Altri commentatori si indirizzano sulle ipotesi di grande coalizione tra Partito Popolare e Partito Socialista. Altri ancora immaginano un governo formato dalle sinistre soltanto: Psoe, Podemos e Izquierda Unida.
Insomma, nella penisola iberica ci troviamo davanti ad uno scenario insolito per una Spagna abituata ad un dualismo e ad una alternanza che, come giustamente viene sottolineato da Pablo Iglesias, è stata incrinata (se definitivamente o meno lo sapremo nei prossimi anni) dalla rimonta di Podemos più che dall’ingresso sulla scena di quel Partito dei Cittadini che non basta a Rajoy per formare un governo di centrodestra.
Il risultato di Podemos, in effetti, è sorprendente perché la formazione viola era data in calo da molto tempo, in una crisi quasi verticale; invece ha ripreso vigore con oltre tre milioni e mezzo di voti e ha conquistato poco meno di settanta seggi.
Izquierda Unida dimezza i voti, elegge due deputati, e si ferma sul 3,7%: un dato che conferma la tendenza europea a ridurre la sinistra caratterizzata come tale, ben identificabile come marginale, mentre quella che si propone senza schemi e senza simboli o nomi che possano ricondurre ad una identità precisa viene premiata ampiamente da tutti coloro che, probabilmente, non vogliono sentirsi identificati e identificabili con una precisa appartenenza politica e sociale.
Podemos, tuttavia, ha scelto in Europa di sedere tra i banchi del Gruppo della Sinistra Unitaria (il Gue-Ngl) e di assumere su di sé valori e rappresentanza di una parte precisa della società, dopo un periodo di gestazione trascorso come forza di protesta, antisistemica, di cui i grillini italiani si innamorarono perdutamente salvo abbandonarla nel momento in cui scelse il profilo che sotto il viola portava tinte rosse.
Ora la Spagna si trova in una situazione tipicamente “italiana”: i blocchi di centrosinistra e centrodestra sono stati messi in condizione di non poter governare singolarmente e di poter esprimere un esecutivo solo con una alleanza e un abbraccio politico-parlamentare che, alla prossima tornata, non farebbe altro se non rafforzare le posizioni di Podemos.
E’ un enigma che forse neppure la maestà del re può risolvere: l’altezza di un rinnovamento di sinistra nello scenario nazionale è qualcosa cui nemmeno un sovrano può far fronte se non con semplici consultazioni in cui si registrano le tendenze alleantiste di questa o quella forza.
Ma il messaggio più evidente che viene dalle elezioni spagnole non riguarda soltanto la disarticolazione dello schema della consolidata alternanza tra Partito Popolare e Partito Socialista. Il messaggio più evidente è il rifiuto delle politiche di conservazione di un rapporto tra politica e regime economico che ha proposto fino ad oggi ricette liberiste e che una parte della società spagnola si rifiuta di approvare ancora col voto ai socialisti che perdono meno consensi dei popolari, ma che si trovano nella condizione di retrocedere in quanto a rappresentanza sociale, in quanto a dinamiche di interazione tra problemi del lavoro e delega politica.
Il fatto è dunque questo: come Syriza ha rappresentato un elemento di critica radicale e di rottura con la precedente struttura di governo del Pasok, salvo poi arrivare ad approvare misure che non sarebbero dovute essere approvate sull’onda del famoso “oxi” espresso dal popolo greco senza possibilità di interpretazione alcuna, così oggi Podemos rappresenta in parallelo quella funzione in Spagna.
E tuttavia il ruolo di Izquierda Unida non è residuale o identitario come qualcuno vorrebbe far apparire: la sinistra di Alberto Garzòn ha un vasto seguito che non si traduce direttamente in consenso elettorale e difende posizioni che possono integrarsi e ampliare il quadro non semplicemente di difesa ma di aperta azione offensiva nei confronti dei mantenitori dello status-quo presente sul piano della gestione politica dei privilegi di una economia selvaggia.
In sostanza, Podemos e Izquierda Unida possono lavorare insieme per dare una spallata definitiva al vecchio duopolio che, più conservatore una volta e meno un’altra, dirigeva il governo di Madrid.
Farlo significa aprire delle contraddizioni così incontrovertibili da archiviare per sempre un logoro sistema di potere di ambasciatori delle banche e dei poteri economici forti che hanno trovato ovunque in democristiani e socialisti, uniti a seconda dei casi, il perfetto equilibrio per la pace sociale, per la messa a tacere delle opposizioni, per una iniezione anestetizzante che inibisse tutte le critiche ad un sistema in crisi dall’America all’Asia.
La crisi economica non è senza fine. Vanno superati i meccanismi che la creano e i burattinai che la mantengono in piedi col volto di un pupazzo sorridente e divertente.
MARCO SFERINI
22 dicembre 2015
foto tratta da Flikr