Non è solo questione di impoverimento culturale medio o di una sempre più vasta diffusione di una morale fondata sull’individualismo esasperato dal liberismo economico, magari di ispirazione nordamericana.
Ogni giorno che passa assistiamo ad atti, gesti e parole che vanno nella esatta opposta direzione rispetto alla costruzione settantennale di una democrazia lacunosa, talvolta apparente, ma pur sempre democrazia per quanto imperfetta e claudicante la si possa dipingere e mostrare in tutte le sue manchevolezze.
La linea di demarcazione descritta e tracciata in queste settimane, durante la ricerca di una maggioranza parlamentare che potesse sostenere un governo, si fonda sullo scardinamento non solo delle regole scritte, costituzionali, ma su tante piccole, medie e grandi rotture di formalità che erano espressione di un tratto distintivo di rispetto proprio della sostanza delle cose, dell’agire politico, dell’interpretazione per l’appunto “democratica” della Costituzione.
Dalle consultazioni al Quirinale dove si tace il nome del Presidente del Consiglio indicato al Capo dello Stato per poi spifferarlo ai giornalisti non appena varcata la soglia del Colle, fino alle dirette Facebook sul tetto della Camera dei Deputati mentre la convulsione dei giorni delle trattative per la formazione dell’esecutivo era al massimo.
Dal rispetto del comportamento politico all’aspetto più allettante di far marciare, parallelamente alle scelte fatte di ora in ora, il consenso popolare prendendolo per mano, conducendolo ciceronianamente in un percorso conoscitivo permanente: far sentire, quindi, partecipe il popolo di una vicinanza illusoria ma comunque tale.
Poi, il continuo agire come ministro dell’Interno e capo politico della Lega, una campagna elettorale che, giustamente, è stata definita come “permanente”, fatta non dell’antico silenzio degli inquilini del Viminale che dovevano gestire la complessità del cosiddetto “ordine pubblico”, quindi tutelare l’intera popolazione nei suoi diritti e mantenerla attiva nei suoi doveri.
Il caso della nave Aquarius, divenuto e fatto divenire eclatante, ha aperto ancora di più le porte ad una interruzione del formalismo, abbandonato nell’angolo dei ferri vecchi del passato, di una democrazia divenuta nel tempo il ventre molle di un dirigismo politico imperativo, privo di alternative, che non accetta le critiche, che mette alla berlina ovunque i suoi detrattori.
La denigrazione dell’avversario è un passo in avanti (o indietro, a seconda di come si vede la questione) verso la rottura di nuovi tabù dal sapore antico, novecentesco: si può impedire l’esercizio di cronaca, di critica, di contestazione legittima della politica di un governo anche semplicemente ridicolizzando i “buonisti”, creando categorie inventate di persone che altro non fanno se non difendere laicamente (e cristianamente) un senso di umanità che viene sempre meno.
La crudeltà e la volgarità diventano sui “social network” lo standard su cui si scrivono invettive e si abolisce il dialogo, il confronto. Non c’è più disposizione all’ascolto, all’approfondimento: c’è solo rabbia, odio, disprezzo per chi difende l’umanità, quel “rimanere umani” che dovrebbe riguardare tutte e tutti e che invece sembra essere privilegio virtuoso di pochi a sinistra.
Si respira questa aria in Italia, ovunque si vada nel corso di una giornata: sull’autobus, in un bar a prendere un cappuccino, nella sala d’attesa del dentista o del medico di famiglia, dal macellaio o nel supermercato se si incontrano alcuni amici e formano un improvvisato capannello di discussione.
L’imbarazzo sui e dei concetti non più del razzista, che si vanta d’essere tale supportato dal “comune sentire” in merito ai migranti e garantito dalla formula “prima gli italiani”. L’imbarazzo, per quanto vogliano farcelo sentire, dovrebbe essere nostro, di chi non si rassegna a calarsi nella parte dell’energico difensore del sovranismo nazionale, della Patria, dei sacri confini minacciati dai disperati della terra.
Per far parte della presunta pensante Italia di oggi bisogna essere pieni di paura, di odio conseguente e quindi di pregiudizi.
Per far parte della presunta pensante Italia di oggi è lecito non stupirsi troppo se in Comune a Roma i Cinquestelle votano una mozione di Fratelli d’Italia per intitolare una via della capitale ad Almirante.
Per far parte della presunta pensante Italia di oggi è consentito tutto il contrario dell’umanità, della solidarietà e, naturalmente, della coscienza di classe. Di lavoro, sfruttamento e conflitto tra padroni e moderni proletari chi volete che ne parli!?
Le parole sono pietre. Le formalità sono essenziali se non si è capaci di difendere la sostanza dei fatti. Le opinioni sono lecite non per diritto divino ma per coscienza ed etica umana che deriva da un patto costituzionale. Che pochi sembrano aver letto, approfondito, conosciuto.
La superficiale banalità del male torna ogni volta in cui le si lascia spazio accettando ciò che avviene senza ribellarsi, senza provare indignazione.
E’ lì che inizia la progressiva accettazione della sottovalutazione del pericolo autoritario. Non ci sono alibi questa volta: il Novecento può fare da maestro a tutte e tutti. Non ci sono alibi e, per questo, il clima incivile che l’Italia respira e vive in questi giorni fa ancora più male…
MARCO SFERINI
15 giugno 2018
foto tratta da Pixabay