Ricorre spesso nelle cronache sia italiane sia estere (basta scorrere i siti dei giornali francesi e inglesi) la “solitudine dell’Italia” nel contesto europeo in tema di soccorso dei migranti.
La solitudine, comunque la si voglia vedere, è frutto o di una spontaneità che deriva dalla volontà del soggetto o determinata, invece, dai casi che ci si presentano innanzi.
Si può voler essere soli ed essere costretti ad essere soli. La condizione di beata solitudo del nostro Paese che, del resto, è abbastanza evidente già dalla conformazione geofisica, con questo stivale che si protende nel centro del Mediterraneo e che non tocca altre coste, ma che arriva quasi a lambire l’Africa, è diventata manifesta in tema di migrazioni perché hanno prevalso politiche economiche europee che hanno privilegiato lo sfruttamento della mano d’opera straniera e migrante che verrebbe da definire “qualificata”, lasciando ai paesi di frontiera un esercito di sottoproletariato che è persino improprio definire tale, ma che ha una certa fisionomia con la disperazione incosciente delle riserve di forza-lavoro pronte per essere sfruttate.
Si tratta sempre di questioni economiche, soprattutto se in ballo ci sono i diritti universali dell’essere umano, di chiunque abbia un po’ di vita e di sopravvivenza.
L’Europa delle sinistre moderate e socialdemocratiche, quella dei centrosinistra allargati più al centro che a sinistra, ha prodotto l’insofferenza economica, l’asse franco-tedesco e la penalizzazione del resto dell’Unione: la crisi della Grecia è lì a dimostrarlo.
La differenza con l’Italia sta nel tipo di risposta che proprio la sinistra ha saputo dare al popolo: non la costruzione di alleanze posticce in virtù di una scalata governativa fine a sé stessa, bensì un progetto di alternativa economica di breve termine, fatta di mille contraddizioni e anche di cadute come quella del famoso mandato sull’ “OXI” nei confronti della Troika per la rinegoziazione del debito, ma che nel lungo periodo è riuscita ad evitare la saldatura tra depressione dello stato economico del paese di Platone e Aristotele e avanzata delle rivendicazioni autoriarie, sovraniste, apertamente di stampo neonazista proposte da alcune forze politiche che promettevano “albe dorate”.
Invece, in Italia la sinistra di alternativa, una volta separatasi dal moderatismo filo-governista, da qualunque idea di centrosinistra ormai scivolante verso destra, non ha avuto la capacità di rinnovarsi, di reinventarsi e di mettere in discussione gruppi dirigenti e anche programmi che avevano già fallito in precedenza.
Il popolo italiano di sinistra, quello che un tempo votata PCI, DP e forze affini, è stato abituato anche da una sapiente propaganda massmediatica ad individuare nel PD quello che non era: una sinistra di governo, una sinistra moderna, capace di proteggere lavoratori e disoccupati, precari e interinali e, al contempo, fare gli interessi dei padroni e dei finanzieri.
Siccome una simile mostruosità politica bifronte era in contraddizione oltre che con sé stessa anche con i princìpi del cosiddetto “libero mercato”, ne è venuto fuori un ridimensionamento della socialdemocrazia, subalternizzata al centro liberale mutato poi in liberista.
Una nuova classe dirigente, quella renziana, ha soppiantato i residui di socialismo che ancora esistevano in un parte fondatrice del PD e ha messo la barra a dritta sulla protezione degli interessi del profitto senza se e senza ma. L’apparenza era di sinistra, perché viveva di una rendita storica derivante dalla continuità con lo scioglimento dei tanti passaggi successivi alla fine del PCI, ma la sostanza era il liberismo più spietato. Peggio ancora della discesa in campo berlusconiana e del ventennio, a fasi alterne, che si era creato.
Ecco che, in questo modo, la “solitudine” dell’Italia si è venuta formando, strutturando lentamente ma inesorabile è cresciuta, si è fatta spazio e non c’è stato più alcuna possibilità per la sinistra vera, esterna ed estranea al PD, di potersi accreditare ancora come rappresentante dei ceti popolari, del disagio sociale, dell’affanno economico di un moderno proletariato incosciente di sé stesso.
In realtà, come si può evincere, sono tante le solitudini dell’Italia: immersa in una fase esclusivamente fatta di protezione dei confini, di esaltazione di ogni italianità, di ogni tradizione, cultura (si fa per dire…) e dinamica che metta al primo posto non chi ha bisogno ma chi è nato in Italia, chi è autoctono, non c’è posto nello Stivale per una sinistra di alternativa. Almeno fino a quando non cesserà il sortilegio dell’apparenza, dello scambio dei ruoli tra liberisti e sinistra e viceversa e le parole torneranno ad avere il loro senso primigenio: per cui chiameremo di nuovo “libertà” la libertà e “padrone” il padrone, invece di confonderli con il liberismo berlusconiano prima e quello renziano poi, invece di vedere negli “imprenditori” dei benefattori del genere umano e non invece degli sfruttatori per natura, per esigenza di sistema.
La solitudine non è solo quella dei numeri primi. Non è solo quella dell’Italia in mezzo all’Europa della prepotenza economica capitalista e finanziaria. La solitudine è soprattutto, per noi, quella della sinistra, quella dei comunisti che avrebbero ragione – come sempre – ma non possono farsene nulla della ragione se non riescono a dimostrare di essere ancora una volta utili all’avanzamento dei diritti sociali, delle rivendicazioni dei lavoratori e di chiunque è sfruttato.
MARCO SFERINI
29 giugno 2018
foto tratta da Pixabay