Il lettino dello psichiatra, suggerito da Eugenio Scalfari, non basta per portare allo scoperto le ferite inferte da Matteo Renzi alla sinistra e alla democrazia. Con l’uomo di Rignano il Pd ha compiuto la sua parabola ed è diventato il partito di un uomo solo al comando: un altro partito padronale schierato sfacciatamente sul fronte del capitale, che usando l’etichetta del socialismo tenta di coprire con la demagogia una politica di destra. Dannosa soprattutto per tutti coloro, uomini e donne, i quali per vivere devono lavorare, ma anche per l’intero Paese.
È una realtà che la comunicazione dominante edulcora o nasconde. D’altra parte, scissa dal sociale, la politica è stata pressoché privatizzata, con il risultato che il mondo del lavoro e i ceti subalterni si sono ritrovati senza un partito che li rappresentasse e li organizzasse. Rigettati nel recinto della prepolitica, oggi vivono in uno stato di sofferenza, di precarietà e di paura, che opportunamente eccitato finirà per favorire Berlusconi e le destre più estreme. Se non si prende atto di questo stato delle cose, a sinistra non si farà alcun reale passo avanti.
Dopo la clamorosa sconfitta nel referendum costituzionale subita dal segretario del Pd, dovrebbe essere chiaro che serve una svolta radicale di prospettiva e di contenuti, facendo piazza pulita del tatticismo elettoralistico. Per costruire la sinistra che non c’è sono necessarie almeno due condizioni. In primo luogo, un progetto di nuova società, che alimenti la speranza di un effettivo cambiamento. E al riguardo noi abbiamo con la Costituzione una bussola preziosa che illumina il cammino, se si bandisce ogni forma di sottovalutazione diffusa anche a sinistra. In secondo luogo, un programma concreto che su tale base affronti le questioni più urgenti e drammatiche del nostro tempo, muovendo dalla condizione di disagio e di sfruttamento in cui milioni di persone, donne e uomini, giovani e anziani, sono costretti a vivere.
Proprio sul programma credo sia necessario concentrarsi in questo momento, spostando l’attenzione dall’inutile e stucchevole chiacchiericcio sui leader o presunti tali, sui personalismi, tatticismi e politicismi, che sono il contrario della politica intesa come impegno e lotta di massa per cambiare la società. Prima i contenuti, poi gli schieramenti: questa dovrebbe essere la regola per dare vita a una lista unitaria come primo passo per la costruzione di una sinistra nuova.
Prioritario in proposito è il tema del lavoro, fattore imprescindibile per assicurare agli esseri umani una vita dignitosa, sul quale la Costituzione del 1948 fonda l’intero edificio della Repubblica democratica ridefinendo i principi di libertà e uguaglianza. E ponendo il problema di un ordinamento sociale diverso da quello dominato dal capitale, in cui l’economia sia posta al servizio degli esseri umani e non viceversa. Se, come recita l’articolo 4, «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo tale diritto», affermando con ciò l’obiettivo della piena occupazione, allora, di fronte al degrado dei lavoratori retrocessi allo stato di pura merce e alle politiche di “flessibilità” condotte in Italia e promosse dall’Europa, forte si deve alzare la protesta diffondendo la consapevolezza che tutto ciò è anticostituzionale. Fuori dal patto che ci lega come italiani, cittadini della Repubblica democratica.
Ma in pari tempo è urgente definire un piano per il lavoro che metta in sicurezza il Paese dal punto di vista umano e ambientale, da porre a fondamento del programma su cui imbastire la lista unitaria della sinistra. Non si può rinunciare all’obiettivo della piena occupazione, né a un’occupazione stabile e sicura con una«retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro» di pari entità tra uomini e donne, e comunque sufficiente ad assicurare un’esistenza «libera e dignitosa», secondo il principio che «la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni» (artt. 35, 36, 37). Un obiettivo che va posto con chiarezza su un duplice versante.
Da un lato, di fronte alle drammatiche emergenze con le quali siamo costretti a misurarci ogni giorno, finalizzando l’occupazione a un piano rivolto alla tutela del territorio, al riassetto idrogeologico della penisola, al rinnovamento e alla manutenzione degli edifici scolastici e di tutte le infrastrutture indispensabili al buon vivere della società, puntando sul risparmio energetico e sulla riduzione delle emissioni inquinanti. Dall’altro, promuovendo decisamente la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, ciò che comporta una riduzione progressiva dei tempi di lavoro per tutti e per tutte, e una qualificazione culturale sempre più elevata degli addetti al ciclo della produzione materiale e immateriale. Quindi, la disponibilità per tutti e per tutte dei saperi, nonché dei mezzi di produzione e di comunicazione, come la Costituzione prevede (artt. 42 e 43).
All’obiezione secondo cui, di fronte alla dimensione europea e ai problemi dell’Europa, la Costituzione non incide e non ha rilievo, faccio notare che oggi in tutto il Vecchio Continente come in Italia una domanda non si può più evitare: da che parte stai? Se vuoi stare dalla parte del lavoro e non del capitale, allora la nostra Carta fondamentale è un punto di riferimento ineludibile. E noi italiani dovremmo impugnarla come una tavola di valori da portare in Europa per aprire le porte a una civiltà più avanzata.
Non solo perché è sempre più urgente costruire l’unità dei lavoratori di tutto il continente intorno a obiettivi comuni, come un salario unico europeo e uno standard europeo di welfare. Pena un’ulteriore disgregazione e la moltiplicazione delle guerre tra poveri dagli esiti imprevedibili. Ma anche perché la presenza in Costituzione di principi universali come la pace, l’uguaglianza sostanziale, i diritti sociali va nella direzione di un’altra Europa: non l’Europa delle oligarchie finanziarie, bensì quella dei popoli e dei lavoratori.
PAOLO CIOFI
Associazione Futura Umanità
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