La sinistra di Veltroni ha fallito venti anni fa

Non so se preoccuparmi o se essere lieto di ciò: Veltroni sostiene, oggi, che esiste un paragone possibile tra l’attuale situazione che viviamo e l’ambito di crescita e sviluppo...

Non so se preoccuparmi o se essere lieto di ciò: Veltroni sostiene, oggi, che esiste un paragone possibile tra l’attuale situazione che viviamo e l’ambito di crescita e sviluppo delle condizioni socio-economico-politiche della Repubblica di Weimar.
Per chi legge “la Sinistra quotidiana”, è noto che lo vado ripetendo da mesi e mesi, forse anche da più di un anno… Nemmeno io ricordo quando ho iniziato a fare questo paragone storico.
Ora non so se mi inquieta di più che ciò divenga un “comune sentire”, perché significa che non è solo più un mio vaneggiamento personale e solitario, oppure se mi crea disagio il fatto che Veltroni lo abbia percepito e lo abbia esternato dalle pagine di un grande quotidiano nazionale.
Naturalmente concordo con il sentimento di inquietudine veltroniano. Ma mi fermo lì: l’appello a ricostruire un fronte di centrosinistra, magari a guida PD, per fronteggiare il pericolo di un nuovo viatico weimariano ad un nuovo autoritarismo plebiscitario di massa è quanto di più sbagliato si possa immaginare di creare per fermare Orbàn, Salvini, Kurz, Le Pen e via discorrendo…
Dalla storia si deve imparare, onorevole Veltroni: soprattutto da quella più recente. Quella più recente ci dice che proprio il PD con le sue politiche di disfacimento della socialità e della “comunità”, tanto citata attraverso il richiamo agli studi del professor Gallino, ha determinato le ultime condizioni per il successo dei populismi e delle estreme destre che Veltroni non vuole chiamare come tali.
Veltroni si ostina a chiamare “sinistra” ciò che non può essere “sinistra”: né il PD, né le forze che puntano alla ricomposizione di un nuovo schema “ulivista” o di qualcosa di simile e affine.
La sinistra che deve rinascere non può assomigliare ad una socialdemocrazia di centro che determina le sue azioni di governo in base agli standard di mercato.
La sinistra che deve rinascere non può rinnegare oggi il Jobs act e la Legge Fornero, la Buona scuola e le privatizzazioni tutte (cosa peraltro che non ha assolutamente fatto), per poi sedere a Palazzo Chigi e rimettere in auge la peggiore delle concertazioni con il padronato e i poteri economici più forti, per fare loro da schermo e protezione rispetto alle proteste sociali, agli scioperi e al montare della coscienza di classe in base al grado di sfruttamento della forza-lavoro.
La sinistra deve, secondo Veltroni, smetterla di “rimpiangere un passato che non tornerà”. Mi era parso che con l’operazione PD il passato fosse stato definitivamente archiviato in quanto a valori di sinistra e si fosse cercata una simbiosi con un cattolicesimo progressista per creare una forza politica di centro moderato sul piano dei valori civili e sociali e di destra liberale sul piano economico.
Il liberismo e la svolta renziana hanno stravolto questo originario determinismo veltroniano. Ma ora Veltroni suona nuovamente la carica e richiama tutti a dare vita ad una sinistra che ritrovi “la radicalità dell’innovazione”.
Concetti vuoti, privi di significato se stiamo alla verifica pratica di quanto fatto tanto dal PD delle origini per arrivare a quello che rischia di cambiare simbolo, nome e struttura per consunzione elettorale e per inedia di consenso generale di popolo.
Essere “radicali” e “innovativi” può voler dire esserlo anche dal punto di vista del liberismo più sfrenato: la radicalità è una aggettivazione che si associa ad una impostazione politica e sociale già determinata. L’innovazione esiste sempre, è semplicemente un cambiamento che non si porta dietro necessariamente un miglioramento anche se il concetto primigenio dovrebbe poter conservare quella specifica propensione.
Prendo atto che quanto ha scritto Veltroni “è solo amore per la propria comunità”. Per il Paese. Penso in tutta sincerità che sia in buona fede. Ma la sua visione di una sinistra moderata, nuovamente aderente ai disvalori del mercato e unita al centro per contrastare le destre è veramente non solo una minestra riscaldata e nauseabonda, che rimanda sempre al peggioramento delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori in Italia, al fallimento della più grande anomalia politica europea: il PD. Socialdemocrazia e cattolicesimo liberale di sinistra hanno provato a creare una nuova cultura ma hanno fallito perché invece di porre alla loro base un fondamento di socialismo gobettiano, hanno preferito sedere sulle rassicuranti pietre miliari del capitalismo temperato prima e del liberismo sfrenato poi, contraddicendo l’originario progetto per cui era nata una forza che si ispirava all’area democratica obamiana. Non certo per alcun riferimento a Sanders o a sentori di neosocialismo a stelle e strisce.
L’appello di Veltroni è, dunque, una voce importante e un contributo utile per stimolare, come si può vedere, altri interventi. Credo anzi che sia giusto rispondergli anche non direttamente, ma rimettendo all’ordine del giorno la costruzione della sinistra su un solo asse portante e importante: l’uguaglianza.
Ho chiesto alcuni giorni fa ad un giovanissimo compagno, un dodicenne: “Se dovessi definire la parola ‘comunismo’, se dovessi dire a cosa ti fa pensare, così, sull’istante, cosa diresti?”.
Mi ha risposto: “All’uguaglianza”.
Ecco, da qui si deve ripartire: il programma della sinistra comunista, di alternativa, del Quarto polo che dobbiamo costruire è un programma di uguaglianza sociale, civile, morale, civica. Un riappropriarsi dei valori resistenziali che sono valori egualitari e che uniti a quelli di una giustizia sociale fatta di riappropriazione da parte dello Stato dei settori strategici dell’economia può sgomberare la strada dell’intaccamento prima e del logoramento poi della democrazia da queste destre xenofobe e razziste che non fanno altro che indicarci quale sia la persona da odiare quotidianamente, facendoci perdere di vista i reali avversari di classe che abbiamo noi che non deteniamo la proprietà dei mezzi di produzione.
Parole antiche, lo so… concetti desueti per chi applaude a Veltroni e alla sua idea di sinistra moderna, europeista, atlantista e inserita nel contesto della protezione dei mercati e della conservazione del privilegio padronale e del profitto.
Parole che richiamano quel passato e quei valori che Veltroni non reputa “innovativi”, ma semmai conservativi (forse non “conservatori”).
Parole che invece per noi comunisti richiamano l’unico asse portante su cui la sinistra di alternativa può svilupparsi e ridarsi dignità e, con questa, riconoscibilità nella assoluta differenza da tutte le altre forze politiche.
La sinistra di Veltroni è la sinistra che finisce per fare politiche di destra. La sinistra nostra, mai messa veramente alla prova, può fare molto per i più deboli nella scala sociale, ma deve ricompattarsi attorno ad un minimo comun denominatore egualitario, puntando a ridefinire non solo i programmi di giornata ma quelli di più lungo termine, comprendendo in ciò nuove relazioni sindacali nette, precise, senza più diaspore politiche nella linea da tenere con le forze che rappresentano i lavoratori.
In sostanza, Rifondazione Comunista, l’unica forza dichiaratamente comunista e minimamente ancora organizzata a poter svolgere questo ruolo insieme ad altre formazioni come il movimentismo di Potere al Popolo, come l’istituzional-progressismo di Sinistra Italiana, il progressismo di Possibile, il neotogliattismo del PCI, il libertarismo di Sinistra Anticapitalista, l’esperienza partenopea (e non solo) di De Magistris, eccetera, eccetera…, deve mettersi in gioco proprio in un momento cruciale per il Paese, per la democrazia, per la tenuta sociale già così duramente compromessa.
La costruzione del Quarto polo non può essere fatta con chi sogna nuovamente il “centrosinistra” ma solamente con chi vuole essere alternativo alle tre destre, di cui due al governo e una all’opposizione, e anche all’idea soltanto di riqualificazione dei valori della sinistra nella società attraverso l’idea veltroniana di un ennesimo “svecchiamento” del passato per abbracciare un futuro che è già stato tante, troppe volte un eterno presente. Una sinistra moderna e modernista che ha fallito venti e più anni fa. Irricevibile, irriproponibile.

MARCO SFERINI

30 agosto 2018

foto tratta da Wikipedia

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