“Una riunificazione possibile” potrebbe essere un titolo consono. Un altro potrebbe essere di tono shakespeariano… “Molto rumore per nulla”. Un altro ancora, per rimanere a teatro, potrebbe parafrasare Pirandello: “Alcuni personaggi in cerca di…” non si sa bene cosa, ma in realtà si sa.
Si tratta, per farla breve, delle indiscrezioni che su “La Stampa” di oggi trapelano dalle parole chiare che Massimo D’Alema ha pronunciato all’assemblea commemorativa dei vent’anni della sua associazione “ItalianiEuropei”, una fondazione culturale e politica che, ad onor del vero, promuove in questo Paese un po’ di ricerca culturale, così come “Alternative per il Socialismo” di Fausto Bertinotti.
Una certa voglia di studiare i processi economici, politici e sociali a sinistra è rimasta. Poi bisogna sempre, continuamente aggiornarsi sul tipo di sinistra che invece è rimasta nel Paese. E questo è, francamente, tutto un altro discorso.
Sostiene Massimo D’Alema che è giunto il tempo di guardare a processi di riconvergenza a sinistra: la discesa in campo di Nicola Zingaretti alle primarie per la segreteria del Partito democratico ha smosso gli animi di quanti attendevano un segnale per provare l’impossibile sul piano ideologico-politico; per tentare il salvabile su un altro piano: quello della sopravvivenza meramente organizzativa e rappresentativa nel Paese.
Visto che la soglia di sbarramento per le elezioni europee rimane alta (per eleggere dei deputati a Strasburgo occorre prendere circa 1.600.000 voti, cifra variabile a seconda dei voti validamente espressi, comunque siamo intorno al 4%), i conti sono presto fatti: ciò che rimane di Liberi e Uguali prova a ricollocarsi nell’alveo di quella che ostinatamente si vuole chiamare del tutto impropriamente “sinistra” e che farebbe capo ad un PD senza Renzi.
Ma può essere credibile nella sensibilità politica della popolazione una sinistra così logora, consumata e svuotata di ogni anche solo preambolo di valori egualitari che sono stati più e più volte superati dal primato dell’interesse privato, del profitto, delle privatizzazioni e di tutti gli annessi e connessi al sistema svaloriale del capitalismo moderno iperliberista?
La “piazza grande” di Zingaretti dovrebbe dunque radunare scontenti, delusi dal renzismo, pentiti socialdemocratici e quanti del vecchio armamentario moderato e riformista hanno nel corso del tempo accusato la sinistra vera, quella comunista e di alternativa, di essere un ferro vecchio del passato, l’hanno irrisa per le critiche verso il Jobs act, verso le liberalizzazioni, verso le 35 ore di lavoro a parità di salario, ed oggi si mostrano come i soli capaci di salvare il Paese dalle destre xenofobe, razziste e dal crescente sovranismo populista.
Si tratta di una riproposizione di una struttura politico-pseudoideologica priva di qualunque collegamento col malcontento sociale espresso dai lavoratori e dai precari, dai disoccupati e dagli studenti, dai pensionati e da tutte quelle categorie che in questi decenni, anche per errori commessi dalla sinistra comunista nel tentare di condizionare quegli aggregati di pseudo-progressismo chiamati “centrosinistra”, hanno subìto le conseguenze pesanti della trasformazione dei paradigmi storici di difesa dei diritti sociali in paradigmi moderni di protezione dei privilegi della nuova borghesia e di un capitalismo che non risponde più al modello fordista, taylorista e keynesiano, ma semmai si innova proprio grazie alla crisi dell’antagonista storico, per eccellenza, per antonomasia e per naturale esistenza nel sistema medesimo: il movimento operaio, il movimento dei lavoratori e degli sfruttati tutti.
Una sinistra degna di questo nome, quindi che voglia rappresentare una nuova lotta di classe, che pure esiste anche se pare invisibile ai più, non può certamente partire dal mantra che Zingaretti va ripetendo da agosto: “Ridurre la forbice tra chi ha e chi non ha”. Come slogan evoca la compressione delle diseguaglianze ma nella traduzione pratica rievoca anche un riformismo che tollera chi ha di più di altri perché il sistema non viene messo in discussione.
Per versi differenti, le forze cosiddette di “antisistema”, quelle che governano il Paese, sono anch’esse egualitarie e invocano una distribuzione del reddito differente, niente aggiunte di tasse sui redditi minori, una più equa ripartizione delle ricchezze e, quindi, finiscono con l’apparire paradossalmente “di sinistra” in determinati ambiti di intervento politico nella vita quotidiana dei moderni proletari.
Per attuare la riduzione della forbice tra ricchi e poveri, Zingaretti non parla di fenomeno di classe, non si riferisce a sfruttati e sfruttatori in un contesto sistemico ben preciso: nessuno usa la parola “capitalismo”. O grande terrore! Evocarla significa essere tacciati di comunismo, di essere una sinistra che D’Alema per primo ha allontanato da sé dalla svolta della Bolognina.
La sinistra che tutt’al più si può pensare oggi – nell’interpretazione dalemiana – come forma di aggregazione sociale si ferma alla riduzione delle ingiustizie cristalizzatesi nella violenza di un capitalismo che depreda senza lasciare spazio nemmeno alle briciole. Il titolo del convegno di “ItalianiEuropei” era, infatti, proprio “Un nuovo patto tra i cittadini e l’Europa”: che sia necessario è evidente persino ai moderati ex presidenti del Consiglio che ritengono probabile, se non possibile, una riesumazione di una qualche forma di “centrosinistra” per ribaltare l’asse di destra del Paese che certamente è un Paese, da sempre, più voltato al conservatorismo, alla difesa degli interessi borghesi legati a quelli di un complesso culturale intriso di superstizioni, clericalismo e quanto altro di tale risma.www.piazzagrande
Però, la rinascita della sinistra non può più avvenire sul terreno del riformismo come doppio inserimento politico nel contesto sociale ed economico attraverso la coniugazione della “pace” tra le classi in lotta mediante l’unione tra culture popolari (cattolicamente intese) e socialdemocratiche di vecchia generazione.
Non esiste nemmeno un socialismo di nuova generazione. Non esiste perché anche in nazioni come la Francia, dove la tradizione riformista era ben più consolidata rispetto all’Italia, il socialismo è crollato davanti al liberismo macroniano, alla promessa di un capovolgimento del sistema non sociale ma politico.
Essere “anti-politici” paga. Essere “anti-sistema” paga soltanto se sei all’opposizione: la straordinaria esperienza grillina in merito ce lo dimostra. Nel momento dell’atto di governo, le contraddizioni emergono e si deve scendere a patti non solo con la burocrazia che va osservata in quanto legge dello Stato per mantenere tutto “funzionante” (si fa per dire…), ma prima di tutto si deve venire a più miti consigli con i veri padroni del vapore globale, continentale e italiano: i detentori delle grandi ricchezze, le banche e, nel nostro caso, la BCE.
La nuova sinistra che dovrebbe nascere dalla “Piazza grande” di Zingaretti e dall’appello di D’Alema ad una convergenza già in vista delle primarie per la segreteria nazionale del PD sul nome del presidente della Regione Lazio, non farà altro se non riproporre il già visto e non offrirà nessuno stimolo di innovazione emotiva, nessuna passione ritrovata, nessuna forza ideologica nel ricalibrare i sentimenti degli sfruttati con i loro bisogni e viceversa.
Del resto, chi come noi fa parte della sinistra comunista, affronta una sconfitta storica: ma parliamo pur sempre di un movimento giovane, che ha meno di duecento anni di vita e che, a far data da “Il manifesto del Partito Comunista”, ha condizionato profondamente la vita del mondo intero e ha offerto una prospettiva di cambiamento che la sinistra di Zingaretti e D’Alema, che pure ne è figlia (ormai molto alla lontana), non propongono: il sovvertimento del capitalismo non è all’ordine del giorno.
Senza quell’orizzonte anche lontano, nessuna politica sociale vera, di rivendicazione dei diritti sociali per i lavoratori e i precari, per i disoccupati e i senza futuro è veramente possibile.
Per questo non dalla “riduzione della forbice tra chi ha e chi non ha” si scrive un nuovo “manifesto” contro gli sfruttatori moderni, ma dalla constatazione che non c’è convivenza tollerabile tra “chi ha e chi non ha”: l’obiettivo è eliminare l'”avere” come condizione di vita. L’obiettivo è l'”essere”, quindi la realizzazione delle condizioni della liberazione dell’uomo dallo sfruttamento da parte di altri uomini.
Mitigare lo sfruttamento è un risultato accettabile ragionevolmente se inserito nel contesto capitalistico. Forse sarebbe il caso di allargare lo schema mentale in cui ci muoviamo: non capire il mondo ma cambiarlo. Capirlo solamente ci riporta a prima di Marx. Ci relega di nuovo in quella “interpretazione” dei filosofi che, poverelli almeno loro, non avevano intenzione di mantenere in schiavitù milioni di persone, ma involontariamente non facevano altro che cercare di elevare gli esseri umani oltre i bisogni che non potevano essere soddisfatti.
Come ci ha insegnato Marx, in questa società prima si devono soddisfare i bisogni materiali e poi si può scrivere, parlare, discutere di tutto il resto.
La sinistra comunista ha questo compito: abbandonare la velleità del governismo e lavorare con calma ad una coalizione che escluda qualunque riformismo di sorta, qualunque tentativo di adattamento alla forma mentale e politica voluta dal sistema economico dominante.
Non esiste una via tracciata. Come sostiene Fausto Bertinotti in una intervista a Radio Radicale di alcuni giorni fa, vale sempre il motto zapatista: “Camminare domandando”. E’ simbiotizzare la mobilità, quindi l’accorgersi di ciò che ci circonda, con il pensiero, quindi l’elaborare ciò che vediamo camminando.
Il cammino rimane lungo e, per questo, forse rimane tremendamente affascinante.
MARCO SFERINI
16 dicembre 2018
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