Spesso i documenti politici di una direzione nazionale, soprattutto se di un partito che si definisce comunista, sono lunghe ripetizioni di concetti precedentemente espressi e che sono figli del proprio tempo: si finisce così con estinguere l’analisi in una sterile riproposizione di evidenze che non hanno poi bisogno di molti concetti per essere chiaramente definite.
Sovente ho scritto che l’unità, esasperata come elemento unico ed unicista di una sinistra disperata, non è un valore di per sé: anzi, diventa una nostra nemica perché ci fa perdere di vista gli obiettivi concreti, reali, quotidiani in nome di un raggiungimento d’orizzonte che non vedremo mai nei termini in cui lo pensiamo.
Troppe volte, infatti, pensiamo troppo e agiamo poco; altre volte, invece, agiamo frettolosamente sulla base sempre di una disperazione dettata dalla velocità dei tempi della politica che, si dice, sono impellentissimi, arrivano prima di subito e non ci lasciano tregua.
In questi anni, infatti, abbiamo siglato esperienze di collaborazione politica e sociale con forze che si sono dimostrate inadeguate a volte, improprie altre a ricoprire ruoli di sinistra di alternativa. La stessa Rifondazione Comunista ha responsabilità che abbiamo più volte indagato in merito a quella che potremmo definire una “decrescita” della sinistra in Italia. Ma, ad onor del vero, ha anche subìto la legge storica secondo cui una nuova formulazione di una tattica progressista necessita di una scissione dalla “casa madre” perché viene ad essere immediatamente strategica in una visione apparentemente più ampia ma, se si guarda la via italiana al riformismo moderato di centro-sinistra, relegata in una sovrapposizione di piani impossibili.
Ridurre l’orizzonte socialista (tralasciamo quello comunista che ha una sua dignità per fortuna non alterata fino a questo punto) ad un mero tecnicismo di governo, ad una politica volta alla gestione del potere in seno al sistema capitalistico piuttosto che alla presa del potere per rovesciare i rapporti di classe, è il frutto più genuinamente ipocrita del riformismo che viene avanti dagli anni ’80 del secolo scorso fino ai giorni nostri.
Dunque cosa conta nell’evoluzione di una nuova sinistra comunista e di alternativa? Cosa può determinare una rinascita dei valori condivisi da partiti, sindacati, associazioni culturali che un tempo operavano una critica “senza se e senza ma” al sistema e che oggi sono frammentati su visioni di piccola tattica, di mera sopravvivenza dentro un contesto antivaloriale come quello del mercato?
Ciò che conta è riuscire a valorizzare i contenuti che portiamo avanti: l’idea alternativa di società che non può morire e non deve morire sotto il peso di uno sragionamento collettivo fatto di banalità devastanti.
Rifondazione Comunista deve conservare la sua missione politica e sociale: continuare a rinnovare il movimento comunista in Italia partendo praticamente da zero. Oggi non esiste più una cultura di massa che si fondi sul “socialismo” come concetto di condivisione, di libertà, di ribellione allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Certo che sarebbe importante potersi riproporre come forza comunista anche sulle schede elettorali: ma prima di tutto noi abbiamo il dovere di partecipare ad un processo di coesione di una sinistra che è diasporizzata, priva di un punto di riferimento sociale e priva di un punto di riferimento nei cosiddetti “corpi intermedi”.
Si intrecciano questioni sociologiche, culturali, economiche e quindi politiche. L’Italia di oggi non sente il bisogno di sinistra perché non cerca uguaglianza ma solo valorizzazione di una differenza egoistica fondata sull’affermazione singolare.
E’ la peggiore delle espressioni anti-sociali del privatismo e della logica del successo a spese, sovente, del più debole rispetto a chi raggiunge quel successo.
Per questo, penso che Rifondazione debba riflettere unitariamente, come comunità che – mi piace ripeterlo perché a mio avviso dovrebbe essere un trittico da piantare nei nostri crani – resiste, esiste e insiste. Deve resistere per esistere e deve esistere per insistere, quindi determinare nuove condizioni di incidenza in uno spazio di sinistra che va completamente ripensato, riconfigurato.
Mi sono augurato anche io, come Fausto Bertinotti, ultimamente, una “palingenesi” a sinistra: un azzeramento non nichilista ma tuttavia totale come catarsi necessaria per far risorgere una “fenice rossa” che già altre volte s’è incenerita ed è rinata.
Credo si possa ancora evitare questo augurio palingenetico: penso che sia indispensabile molta umiltà, a cominciare da noi comuniste e comunisti. Ma è necessario anche riprendere in mano il nostro tempo e fermarci un attimo a studiare, a capire, a riflettere senza usare le parole e i pensieri così come li usano coloro che governano.
Ha ragione Nichi Vendola quando sostiene (nell’intervista che ho visto su La7) che la forza della comunicazione di Salvini e Di Maio è situata tutta nell’immediatezza, nell’oggi e niente ha la prospettiva di un progetto a lungo termine. Ha ragione quando afferma che la velocità ci ha sconfitto: noi che eravamo abituati a fare lunghi congressi, a pratiche anche un po’ onanistiche (direbbe l’amico e compagno Danilo Maramotti) che però, oggettivamente, almeno ci davano una certa soddisfazione nel poterci dire “differenti” da tutti gli altri.
Oggi la differenza la incarnano soprattutto quelle forze di governo che invece sono le più omologate al sistema liberista e che ora si fregiano di aver retto all’urto delle pretese di Bruxelles sulla manovra finanziaria.
L’ho fatta troppo lunga: ma prendetelo come un segno di rimpianto per quelle belle discussioni che facevamo nei nostri circoli e in mille volantinaggi, feste, cortei, presìdi con i lavoratori, quando non esistevano Twitter, Facebook e Instagram e la politica era “di piazza”, “in piazza” e “per la piazza”. Non virtuale…
MARCO SFERINI
20 dicembre 2018
foto tratta da Pixabay