L’assemblea de La Sinistra tenutasi il 9 giugno scorso ha provato a fare il punto della sconfitta elettorale con tanti interventi in cui, per forza di cose, alla fine ci si è parlati addosso senza indicare in un documento finale una comune prospettiva, un dettame per indirizzare almeno fino a dopo l’estate il lavoro della formazione politica che intende andare avanti.
E’ un difetto di un assemblearismo che non mi appartiene come modalità di incontro delle opinioni differenti e che, del resto, non può essere sostituito da riunioni di organismi dirigenti di partito o da congressi visto che La Sinistra non è né un movimento e nemmeno un partito: è per ora ciò che deve continuare ad essere, ossia una alleanza elettorale che può conservare la giusta presunzione di proseguire il suo cammino radicandosi nella società e rispettando le autonomie dei soggetti politici organizzati e quelle dei singoli che vi appartengono.
Lo ha detto bene Raffaella Bolini che ha espresso con grande nettezza questa possibilità di mantenere in equilibrio e in armonia tanto la presenza autonoma di Sinistra Italiana, di Rifondazione Comunista e degli altri partiti e movimenti organizzati presenti nella lista, quanto quella di chi è arrivato ed è entrato nel progetto senza altre precedenti appartenenze.
Sfatato il mito dell’incompatibilità tra partiti e singoli, tra molteplice singolo, avendo seguito tutta la diretta in streaming grazie a Radio Radicale, mi permetto di rilevare che non ho riscontrato una critica che ritengo fondamentale se vogliamo ripartire tanto come Rifondazione Comunista quanto come alleanza de La Sinistra alla ricerca di una nuova ricomposizione dell’unità di classe, di riformulazione della coscienza stessa della classe sociale di riferimento (lavoratori, sfruttati, proletari moderni) e, quindi, in estrema sintesi aprire una stagione di utilizzo delle contraddizioni che si fanno avanti nelle politiche di governo per mostrarne tutte le fallaci sembianze di esecutivo popolare e sociale.
Ciò che è mancato all’assemblea romana de La Sinistra è una riflessione su una nuova necessaria origine di una genesi della forma organizzata politica di rappresentanza degli sfruttati di oggi.
In questi anni abbiamo lavorato alla costruzione di alleanze e di proposte politiche che rincorrevano i processi sociali, le dinamiche più sentimentali che economiche di un mondo che si trasformava molto velocemente e che viveva delle crisi cicliche seguite a bolle speculative in lontani continenti, riversatesi in quello europeo.
Abbiamo quindi scelto l’adeguamento alla proposta e la nostra proposta è stata, nonostante questa ricerca di connessione sociale, politica e persino culturale, snobbata e vissuta come residuale, inefficace, persino inopportuna davanti ai tentativi truffaldini di proporre sempre la discriminante del “voto utile” come unica soluzione al pericolo ora delle destre berlusconiane e oggi di quelle sovraniste-neofasciste.
Ci sembrava e ci è sembrato il metodo migliore per attenuare l’improvvisazione cui ci riducevamo ogni volta che dovevamo affrontare una tornata elettorale. Nonostante ciò non abbiamo mancato di produrre programmi in netto e aperto contrasto con tutte le altre opzioni in campo e abbiamo seguito la contrarietà della corrente quando, soprattutto in questi ultimi tempi, il flusso impetuoso dell’odio e della criminalizzazione della povertà altrui rispetto a quella italiana, la xenofobia, il razzismo, la crudeltà sono diventati una nuova forma di etica della politica e hanno soppiantato i valori non tanto della sinistra quanto quelli più generali della Costituzione repubblicana.
Nulla di tutto ciò è servito a convincere i più deboli di questa società a preferire una soluzione umanitaria e una condivisione di classe dei problemi sociali dell’oggi: milioni di lavoratori, precari, pensionati al minimo, casalinghe e di chiunque viva del suo lavoro senza sfruttare nessun altro, hanno preferito la soluzione salviniana, indotti dalla paura di un futuro sempre più incerto, impercettibile e quasi invisibile.
La guerra tra i poveri come elemento di divisione di classe ha prevalso e la sinistra, quindi non il PD, ha ancora una volta rincorso le esigenze popolari magari avendo anche la colpa, sostiene qualcuno, di non aver scimmiottato lo stile di Salvini, provando magari a farsi strada declinando il “problema sicurezza” e quello dei migranti certamente in modo differente rispetto alla Lega ma pur sempre accarezzandolo pelosamente per ingraziarsi parte dell’elettorato, abdicando così alla funzione necessaria di alimentare una spinta critica nei confronti delle menzogne sovraniste in merito.
Il punto da dirimere mi sembra oggi questo: dobbiamo rigenerare la sinistra di alternativa seguendo gli istinti delle masse o dobbiamo invece, un po’ leninisticamente e un po’ luxemburghianamente allo stesso tempo, assumere una direzione delle lotte ed esserne parte integrante senza avere la presunzione di essere noi, da soli, ad avere la chiave di volta che apre uno scenario nuovo per il progressismo italiano?
Ruolo di guida e condivisione delle battaglie dei lavoratori sono sempre stati assi portanti del Partito Comunista Italiano ma anche di formazioni minori come la cara vecchia Democrazia Proletaria: fiumi e fiumi di parole sono stati spesi per cercare di capire se fosse più utile un partito di avanguardisti o un partito di massa.
Nell’assemblea romana de La Sinistra di tutto ciò non è stato fatto minimamente cenno perché l’attenzione era tutta su una retrospettiva del voto che ci ha consegnato l’incertezza di un futuro a breve termine determinato anche dal traballare del governo dopo il rovesciamento dei rapporti di forza tra Lega e Movimento 5 Stelle.
Heiner Müller, nei suoi “Appunti per il Filottete”, sosteneva che “…il comunismo è un negativo da sviluppare”. Come se fosse già presente nella società e dovesse essere solo coscienziosamente condiviso, appreso, formulato dopo essere stato scoperto quasi magicamente levando tutti quei veli che ne paravano la vista proprio a chi ne aveva e tutt’oggi ne ha più bisogno.
Anche il solo parlare del “comunismo” è divenuto in questi “tempi moderni” elemento di divisione, di contraddittorietà in quella sinistra che noi richiamiamo al ruolo di rappresentante di una alternativa di società, di capovolgimento dell’esistente e che, invece, spesso si ferma sul limitare del peggiore dei riformismi: quello che pretende di mantenere un aspetto rivoluzionario e anticapitalista ma che al contempo strizza l’occhiolino alle forze moderate e dicharatamente liberali (un tempo) e liberiste (oggi) per frenare l’avanzata delle destre più becere.
Per questo è complicato ricostruire la sinistra e anche il movimento e un partito comunista degno di questo nome, perché non esiste una condivisione di linea tattica dentro ad una più complessa e complessiva strategia che derivi da una analisi proprio della società mondiale cui faccia coerentemente seguito una sua declinazione in tutti gli aspetti più microsociali del nostro pianeta, scendendo piano piano nelle quotidianità in cui tutte e tutti sopravviviamo.
In sintesi: se prima di tutto dobbiamo vivere, quindi esistere, dobbiamo farlo riassegnandoci un ruolo che discenda da una interpretazione del sociale e che non oscilli tra tentazioni governiste e “voto utile“, ma semmai introduca elementi innovativi nella critica sociale mettendo ad esempio lavoro ed ambiente su piani vicini.
Abbiamo chiaramente assistito ad una presa di coscienza in merito da parte di grandi masse in tutti i continenti circa la questione ambientale e non esiste rivoluzione sociale senza rivoluzione ecologista: una sinistra rosso-verde è il minimo sindacale per poter ridefinire i confini della rappresentanza tanto del mondo del lavoro e dello sfruttamento dei salariati quanto dello sfruttamento della fonte di ogni ricchezza: la natura.
Se il dibattito settembrino de La Sinistra verterà soltanto sul posizionamento elettorale in vista delle politiche e sulla scelta del “meno peggio“, allora non avremo fatto altro che ripartire da una ennesima casella del “via” del gioco dell’oca. Un’oca anche abbastanza stupida…
Se invece il dibattito comprenderà anche la questione elettorale ma metterà prima di tutto al centro una questione culturale e politica che, quindi, abbracci il sociale, allora, proprio nella ricostruzione di una ideologia necessaria al cambiamento, potremo sperare di incontrarci tra diversi, mantenendo le nostre autonomie, ma siglando un patto che ci veda veramente uniti su proposizioni effettive, che dobbiamo poter sentire come comuni, come legami di una alleanza ritrovata.
Non possiamo lasciare al PD lo spazio di una sinistra che non può rappresentare per il ruolo che si è dato nel tempo e che una pennellata di finto progressismo zingarettiano non cancella, soprattutto se accanto spunta sempre Calenda con il suo teorema europeista.
Zingaretti potrà anche proporsi come l’innovatore, come colui che anela ricostruire il “centrosinistra”, ma poi la tara la mette Calenda e la metterebbero anche gli alleati di contorno tutti protesi verso una difesa strenue del liberismo merceologico di stampo ultraconfindustriale, con gli occhi ben fissi su Bruxelles e su Francoforte.
La Sinistra, ancora una volta, o è anticapitalista o non è: senza se e senza ma.
MARCO SFERINI
12 giugno 2019
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