La sinistra comunista impari dalla lotta degli operai GKN

La magistratura deve rimediare ai guasti di un cortocircuito che si verifica spesso e volentieri: quello del mancato rispetto delle norme contrattuali tra padrone e operai (questa volta addirittura...

La magistratura deve rimediare ai guasti di un cortocircuito che si verifica spesso e volentieri: quello del mancato rispetto delle norme contrattuali tra padrone e operai (questa volta addirittura di un contratto collettivo nazionale). Ma la lotta, come ritmicamente ripete lo slogan delle manifestazioni sindacali, alla fine paga. Perché, seppure non esplicitamente scritto nelle sentenze, il movimento che si è fatto fitto attorno ai 422 operai dell GKN, ha prodotto un sentire comune che ha aumentato l’attenzione verso una decisione scandalosa della proprietà, una tipica insensibilità di una parte di un sistema che non ha (e non può avere) un’etica.

Gli operai, pertanto, portano a casa una vittoria non solo di principio, ma veramente di sostanza: un primo punto fermo da cui ripartire nella contrattazione con la proprietà di GKN che, comunque, rimane ferma nel suo proposito: liquidare lo stabilimento di Campi Bisenzio e lasciare a casa i lavoratori, ma questa volta non più con la freddezza glaciale di una e-mail.

E’ importante sottolineare come la sentenza del Tribunale del Lavoro di Firenze poggi il suo epicentro sul comportamento antisindacale dell’azienda: si parla, infatti, di una mancata interlocuzione con le organizzazioni dei lavoratori e di un trasferimento del rapporto da legale a meramente formale, con una deresponsabilizzazione esplicita, una ricerca di una soluzione frettolosa per evitare quelle che dai padroni vengono considerate delle mere pastoie burocratiche. Il rispetto degli accordi, quindi dei diritti sociali di ogni singolo operaio, diventa inesorabilmente una variabile dipendente dalle grane che ha l’azienda in giro per il mondo, dal tipo di tenuta sui mercati, dall’assetto economico della proprietà.

Può apparire, ad una prima occhiata, molto strano che un imprenditore scelga coscientemente di eludere la legge, di cercare di risolvere il suo contratto con le maestranze beffandosi di qualunque minima tutela dei lavoratori: ci si domanda davvero come non possa mettere in conto una reazione contraria forte, una protesta operaia di massa, che catalizza la solidarietà veramente di classe di tanti altri settori sociali.

Pare strano solamente se non si mette in conto che questa non è l’eccezione che conferma la regola, ma la prassi di una prepotenza padronale che pensa di poter far sempre leva sulla ricattabilità data dalle condizioni di precarietà del mondo del lavoro: più aumenta il disagio, più cresce il numero di precari e di senza lavoro, più la leva della minaccia del licenziamento rischia di funzionare.

E rischia di funzionare in qualunque modo, facendo leva su tutte le debolezze di una parte produttiva che è proprietà momentanea di quel cosiddetto “datore di lavoro“. La sentenza del Tribunale del Lavoro di Firenze è veramente importantissima: spezza questa prosopopea di prepotenza, di arroganza e di vigliaccheria esplicita che viene fatta passare come necessità economica, come formazione di una decisione sul futuro della fabbrica che si risolve al di fuori del normale e legale iter: mettendo da parte il sindacato, provando a mostrare i muscoli con gli operai, tentando una lotta tra nani e giganti.

Ma si può anche sbagliare il calcolo, ritenendosi dei giganti ed essendo invece dei nani da giardino: in questo caso, i proprietari di GKN hanno sbagliato la somma che fa il totale.

La politica istituzionale, il governo, deve ora assumere il ruolo che gli spetta e che gli tocca: onori ed oneri. Deve mettersi dalla parte dei lavoratori e fare, insieme a loro, l’interesse pubblico che ha qualunque struttura di produzione, qualunque impianto e fabbrica. Come per mille altri problemi di natura sociale e collettiva, può sembrare ingenuo – questa volta da parte di chi scrive – rifarsi all’adempimento della volontà di un esecutivo liberale (nella più ottimista interpretazione delle politiche economiche viste fino ad oggi) e liberista (nella più veritiera dicitura adoperabile per definire compiutamente gli intendimenti di Draghi e della sua ampia maggioranza…). E probabilmente è vero.

Per questo, proprio sulla scorta di quanto avvenuto in queste settimane e nelle ultime ore, si deve trarre come conclusione quasi ideologica, quasi “costituente” di una nuova dimensione riedificatrice tanto del ruolo sindacale quanto di quello dei partiti della sinistra di alternativa, che l’attesa tutta riformista di fare del progressismo un fratello gemello del governismo è una mortificazione in nuce della rifondazione del conflitto di classe declinato sul piano politico, soprattutto istituzionale.

Se non si può sfuggire alle peculiarità intrinseche di una rappresentanza del mondo del lavoro sul terreno delle formalità parlamentari e governative, si deve ristabilire il doppio ruolo di una sinistra comunista e di alternativa che sappia agire nella società e tradursi nelle istituzioni senza tradirsi, senza obliterare le proprie lotte al fianco dei lavoratori, del sindacato e di tutte quelle fasce di popolazione che oggi sono prive di punti di riferimento e che si affidano ai facilitatori di un consenso variegato che ondeggia dal non-voto alla destra con una impressionate rapidità.

E’ per questo che non si può avere alcuna fiducia nell’unità tra forze che si dicono di sinistra e che sanno (nel senso che hanno la sfacciataggine di riuscire a…) stare al governo con partiti il cui scopo è il consolidamento dell’attuale modello liberista e nemmeno lontanamente la critica, seppur timida, in chiave riformatrice (e riformista, con tante scuse all’antico concetto novecentesco che profumava ancora di una certa vena socialisteggiante).

Ed è per questo motivo, principalmente, che l’opposizione al governo Draghi non va intesa come preludio alla riedizione di un centrosinistra 3 o 4.0 (andando indietro nella storia del Paese, è sempre più complicato contare tutte le tipologie di centro e di sinistra che si sono avvicinate. Con o senza trattino…), ma come palestra di aggiornamento sociale, politico e civile per un anticapitalismo da riproporre a più livelli, senza legarlo a schemi del passato (soprattutto recente…) e senza pensarlo come l’unica matrice possibile, tralasciando la questione ecologica, quella antispecista e quella di una saldatura profonda tra tutti i diritti che mancano e che non vanno classificati a seconda della loro ipotizzata vicinanza ad una ortodossia marxista che avrebbe fatto orrore primariamente a Marx stesso.

La lotta dei lavoratori della GKN, l’allargamento del conflitto di classe e la presa di coscienza della conflittualità evidente tra proprietà padronale e forza lavoro operaia, sono più importanti di tutte le tesi congressuali e di tutti i ragionamenti cui non ci dobbiamo comunque sottrarre: analisi e tesi vanno elaborate e discusse per eviscerare i problemi, per connaturarci ai tempi, per ricomporre la critica sociale e farne un tutt’uno con quella politica. Ma l’esempio è eclatante e ne va fatto tesoro. Continuando a sostenere quei lavoratori, tutti i lavoratori e le lavoratrici che, oltre allo sfruttamento quotidiano che subiscono, verranno messi sotto attacco dalle “necessità” del capitale, dalle ristrutturazioni pensate per proteggere l’eventuale caduta dei profitti.

Una sinistra che in tutto questo veda e dica che si tratta di tutela del privato e non esigenza e necessità anche per la collettività e per il pubblico, ecco una sinistra di questo tipo è quella cui come comunisti dovremmo pensare di appartenere. Sempre.

MARCO SFERINI

21 settembre 2021

foto: screenshot

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