Il presidente Lula guarda all’Africa, lo definisce «il continente del futuro», insiste sulla lotta alle diseguaglianze razziali, di genere, di educazione, di salute e di salario come tema principale, pensa al prossimo G20 e alla presidenza dei Brics in Brasile del 2025 per mettere questi temi al centro dell’agenda politica del vertice in Sudafrica.

La distribuzione di ricchezza è la grande questione, così come quella di superare meccanismi post-coloniali che non permettano una piena indipendenza dei paesi africani. Lo strumento che propone è di carattere economico ed è rendersi autonomi dal dollaro.

Per questo insiste sull’importanza di creare un sistema bancario forte che abbia criteri diversi dal Fondo monetario internazionale e pensi a criteri di prestito e di investimento che non soffochino i paesi poveri, anzi creino le condizioni per uno sviluppo sostenibile. In questo senso – secondo il presidente brasiliano – va coniata una valuta che sia di riferimento per il commercio internazionale senza rinunciare però alle monete nazionali.

Di «de-dollarizzazione» parla anche il presidente russo Putin. In videoconferenza: il Sudafrica non si è assunto la responsabilità di invitarlo visto il mandato d’arresto che gli pesa addosso. Dopo gli strali sulle sanzioni internazionali («Illegittime»), definisce «irreversibile» il passaggio a un mondo multilaterale dove il dollaro non sarà più la principale moneta di scambio.

Una posizione simile a quella della Cina, nel discorso di Xi Jinping letto dal suo ministro del Commercio, Wang Wentao: il punto di caduta, «la democratizzazione delle relazioni internazionali e la multipolarità». È in questa chiave che viene letta anche la guerra in Ucraina, per la quale c’è una sola «opzione praticabile», ovvero i colloqui di pace, ai quali Pechino, si legge nella dichiarazione congiunta di Xi Jinping e il presidente sudafricano Ramaphosa, la Cina vuole dare il suo contributo.

Perché il mondo, dicono i Brics, non è più a due poli. Lo dice Lula, che rivendica che gli altri paesi Brics, oltre alla Cina, entrino nel Consiglio di Sicurezza permanente dell’Onu. Non si tratta di competere con i G7 (che definisce «club dei ricchi»), ma organizzarsi come sud globale: «Noi siamo stati sempre trattati come la parte povera del pianeta, come paesi di seconda categoria, adesso possiamo trasformarci in paesi importanti».

E incalza: «Abbiamo superato il G7, abbiamo il 32% del Pil mondiale. È prevista una crescita del 4% per il prossimo periodo mentre i cosiddetti paesi industrializzati decrescono. Questo mostra il dinamismo dell’economia mondiale sta nel sud globale e i Brics sono la forza motrice».

Anche la questione climatica dipende dal sud globale, così come le possibilità di sviluppo: «Vogliamo trattare intorno a un tavolo alle stesse condizioni dell’Ue e degli Usa. Dare vita a nuovi meccanismi che creino un mondo più equo senza togliere niente a nessuno», sostenendo l’Onu per un percorso di pace e per la lotta ai cambiamenti climatici.

Bisogna cessare il fuoco, non far parlare le armi, ma oltre all’invasione della Russia in Ucraina, non dimenticare la guerra degli Stati uniti in Iraq, o quella di Francia e Inghilterra in Libia. «Bisogna creare un mondo più giusto, democratico, solidale pensando che la cosa più importante è la guerra alla fame».

Sulla possibilità di ampliare i Brics: bisogna stabilire procedimenti e norme. Fa il nome dell’Indonesia – la popolazione di circa 200 milioni permetterebbe ai Brics di superare metà della popolazione mondiale – e dell’Argentina in profonda crisi economica e a cui pensa per un nuovo meccanismo di aiuto economico. «L’Argentina non può permettersi di comprare i dollari… come può dipendere dal dollaro se non ha soldi per comprarlo? Possiamo aiutare l’Argentina, solo se non dipendiamo da questo sistema finanziario. Voglio l’Argentina nei Brics anche perché lo sviluppo industriale non può essere fatto senza che stia in salute economica. Il benessere economico garantisce la pace nel mondo».

Insomma, è un Lula fortemente umanista, per un mondo di pace, un’integrazione intercontinentale e nuovi strumenti multilaterali di una politica finanziaria che rendano possibile questo «altro mondo possibile». Tuttavia, a differenza dei forum mondiali dove questi principi potrebbero fiorire, nei Brics non c’è costruzione dal basso, meccanismi di imperialismo e controllo di potere interno di paesi partner come Cina e Russia non sono poi meno violenti di quella dei paesi colonizzatori del secolo XXI.

Oltre a ciò, quando il neoliberismo è la filosofia economica prevalente all’interno dei Brics, le forze conservatrici potrebbero prevalere in funzione di una competizione sul mercato globale e – come spesso accade – la prospettiva sarebbe un discorso che va a sinistra, mentre le gambe camminano a destra: le conseguenze sarebbero travolgenti.

PAOLO VITTORIA

da il manifesto.it

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