La tragedia di Parigi si riversa nelle aule delle scuole nella forma di dibattito per quelle superiori e di commento sotto forma di disegno o “pensierino” per quelle elementari.
E sono proprio le parole e i disegni dei più piccoli a farmi pensare che abbiamo perso un necessario distacco, una utile autonomia di giudizio rispetto a quanto accade intorno a noi e che, senza filtro, viviamo in prima persona anche fatti che sono lontani, almeno materialmente, dalle nostre storie e vite quotidiane.
Essere partecipi degli eventi che succedono nel mondo è necessario, è utile per avere una corretta informazione e potersi fare una opinione sui fatti. Su questo, come si usa dire, “non ci piove”.
Ma quanto è necessario diventare un tutt’uno con i fatti, ad esempio, di Parigi? La solidarietà umana si può spingere fino a che punto senza incontrare quello di non ritorno dell’immedesimazione che sfocia poi nel radicalismo estremo e nella fanatizzazione dei pensieri e dei sentimenti?
E’ probabilmente un tema antico come il mondo, ma i bambini ci mettono davanti a questo dramma quando riescono a vivere ciò che è successo a Parigi con un disincanto che non è menefreghismo, ma anzi è spirito di osservazione acuto, domanda semplice, impellente di risposta, diretta e senza possibilità di replica con giri di parole e bizantinismi di sorta.
Dovremmo recuperare anche noi un po’ dell’autonomia emotiva dei bambini, di quello stupore che per noi ha il sapore dell’ingenuità e che, invece, ci servirebbe per schermare il banale dettato dall’ovvio, dai fiumi di retorica che ho sentito scorrere in televisione con una ripetitività disarmante.
Reti, canali, programmi dei più diversi che fanno a gara, in nome dell’ascolto e di una caccia al denaro degli sponsor che si inseriscono nei palinsesti, a cannibalizzare lo spettatore, a farne mente atrofizzata, cervello ricevente un messaggio uguale molte e molte volte, a senso unico, senza alcuna dialettica possibile.
Almeno, il disegno di un bambino è un transfert emotivo che si lega ad un messaggio e che diventa anche una domanda: una domanda rivolta a noi che, forse, nemmeno sappiamo rispondere con poche, semplici parole.
MARCO SFERINI
18 novembre 2015
foto tratta da Pixabay