Ho sempre contestato l’opinione che il sistema scolastico italiano non fosse mai stato riformato dai tempi di Gentile.
In realtà dagli anni settanta in poi, grazie alle lotte studentesche e al protagonismo operaio che hanno favorito un progresso generale della società italiana, vi sono stati diversi provvedimenti di legge, che facendo riferimento alla Costituzione della Repubblica hanno prodotto cambiamenti profondi nella cultura e nelle pratiche della scuola italiana.
Il raccordo con i principi costituzionali è andato avanti anche indipendentemente dai governi e dai ministri della pubblica istruzione, fino ad un certo punto tutti rigorosamente democristiani, che non hanno mai osato toccare l’articolo 33, ad esempio, quello del finanziamento pubblico, messo in mora invece dalla legge di parità prodotta dal ministro “laico” Luigi Berlinguer, che ha trovato il modo di aggirare la Costituzione, attraverso l’equiparazione tra scuole statali e private.
Per quella marcia di avvicinamento al dettato costituzionale, basta ricordare alcune tappe importanti, come la scuola a tempo pieno (1971), che non ha solo risposto ai bisogni delle famiglie, ma ha modificato i ritmi dell’apprendimento in tempi distesi (questione che andrebbe ripresa nel dibattito attuale sui compiti a casa), i decreti delegati (1974), che hanno introdotto organi collegiali eletti democraticamente da genitori, docenti, personale ATA con sistema rigorosamente proporzionale, la meravigliosa legge 517 del 1977, che prevedeva l’integrazione con il sostegno ai disabili e scuole aperte al territorio, i programmi della scuola media (1979) e di quella elementare (1985), alcune sperimentazioni nella scuola superiore; una serie di provvedimenti che sono andati nella direzione di una progressiva attuazione della Costituzione, che nell’articolo 3 pone il problema della rimozione degli ostacoli per il pieno sviluppo della persona.
In nome di un progresso non meglio definito, ci troviamo oggi nella “buona scuola”, ultima tappa di una serie di controriforme avviate negli anni 2000 dal ministro Luigi Berlinguer “ispirato” dagli uffici studi di Confindustria.
La scuola della Costituzione ha subito così un’amputazione nella sua natura inclusiva, democratica e culturalmente critica, con una gerarchizzazione che rompe quella collegialità nella gestione di grande valore civile e culturale, ma può subire altre amputazioni, a partire proprio da quegli organi collegiali che ancora limitano il potere dei dirigenti manager.
E’ evidente lo stretto legame tra la mortificazione delle assemblee legislative, prevista dalla deforma costituzionale di Renzi e la sorte della democrazia nella scuola, se passasse il SI al referendum costituzionale la scuola della Costituzione riceverebbe un colpo mortale, sarebbe dato il via libera alla cancellazione degli organi collegiali già intaccati e ridimensionati dalla controriforma renziana. Probabilmente tempi lunghi e difficili ci aspettano per riprendere un percorso riformatore “per il pieno sviluppo della persona umana”, ma il NO alla deforma costituzionale ne è una condizione indispensabile.
LOREDANA FRALEONE
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