La scissione nell’urna secondo il copione di Renzi

Legge elettorale. È già aperta la rincorsa alla soglia del 40% per l’attribuzione del megapremio di maggioranza. Ad oggi, al 40% arriva solo una coalizione. Questo rende probabile l’abolizione del divieto di coalizioni e apparentamenti sopravvissuto nel Consultellum Camera. Una modifica gradita al Pd e parte dell’arcipelago della sinistra da un lato, Fi, Lega e frammenti di destra dall’altro)

Un ex segretario che fa il turista della modernità mentre in direzione Pd si certifica il disastro del partito. È l’ultimo insulto agli oppositori.

Invece, quel che accade ha solide ragioni politiche. Matteo Renzi si è impadronito del Pd e delle istituzioni, e ha condotto il paese e il partito in una fallimentare svolta a destra. È stato cacciato a furor di popolo dal voto del 4 dicembre. In paesi più seri, questo porrebbe fine a una carriera politica. Ad esempio, Cameron con Brexit. Invece, Renzi va a casa, cambia camicia e torna tal quale. In piena corsa per sfasciare un altro governo, andare al voto anticipato, e tornare al più presto a Palazzo Chigi. Non è affatto una querelle sulle date, e il copione è in buona parte già scritto.

La prima parte riguarda il congresso Pd e l’elezione del segretario. Apparentemente, è questione di regole. Ma il trucco è che saranno scritte da una commissione in cui siederanno i rappresentanti dei candidati alla segreteria. Allo stato, le scriveranno Renzi ed Emiliano. Entrambi hanno interesse a primarie aperte. Renzi, per cancellare l’immagine del perdente nel voto popolare che il 4 dicembre gli ha consegnato. Emiliano, che ben sa di perdere, per conquistare attraverso il voto dei non iscritti un peso che oggi nel partito non ha, e fare il salto da ras locale a indiscusso leader nazionale. Che le primarie aperte possano solo aggravare la decomposizione in atto del Pd non preoccupa nessuno.

La seconda parte riguarda la legge elettorale. La deludente sentenza 35/2017 della Corte costituzionale ha alzato argini né dato risposte conclusive. È già aperta la rincorsa alla soglia del 40% per l’attribuzione del megapremio di maggioranza (90 seggi aggiunti a chi vince e tolti a chi perde). Ad oggi, al 40% arriva solo una coalizione. Questo rende probabile l’abolizione del divieto di coalizioni e apparentamenti sopravvissuto nel Consultellum Camera. Tale modifica sarebbe gradita ad alcuni dei maggiori players (Pd e parte dell’arcipelago della sinistra da un lato, Fi, Lega e frammenti di destra dall’altro). Ed è altresì probabile che si aggiunga il premio al Senato, piuttosto che cancellarlo alla Camera. Un interesse opposto dovrebbe coerentemente avere M5S, che rimane più lontano degli altri – per la indisponibilità a coalizzarsi – dalla fatidica soglia.

Sopravvivono anche i capilista bloccati, primario strumento di Renzi per garantirsi la fedeltà dei parlamentari eletti. Lo stesso vale per tutti i leader dei soggetti politici in campo. Quanto alle candidature plurime, si può sostituire un criterio automatico al sorteggio derivante dalla sentenza 35/2017 per la scelta della sede per il candidato eletto in più collegi. Ma potremmo anche vederne poche, dal momento che sminuiscono l’utilità del voto bloccato per chi fa le liste, aprendo la via a eletti con la preferenza.

C’è anche uno scenario di totale inerzia del legislatore, imperniato sulla autoapplicabilità della normativa di risulta certificata dalla Corte costituzionale. Il non fare lascerebbe in piedi le soglie oggi previste per il senato (3%, 8%, 20%), che potrebbero far scomparire dal Senato tutto l’arcipelago di sinistra.

È ben vero che il sistema elettorale sarebbe sbilenco quant’altri mai (basta pensare al premio e ai collegi). Ma a chi importa? La sinistra sarebbe ridotta a una pattuglia di deputati. Il disegno di Renzi: riprendere il controllo del partito con il congresso; poi quanto prima al voto, con una alla legge elettorale che non impedisca il controllo delle candidature e degli eletti; nel frattempo, logorare il governo.

In questo contesto, la sinistra fuori del Pd ha un interesse vitale nell’abbassare le soglie al Senato, e battersi per un sistema proporzionale. Il resto deve trarlo dalla politica, costruendo in tempi brevi un quarto polo capace di autonomia e competitività sul piano elettorale. Non un rifugio di combattenti e reduci.

Solo così potrà puntare a incidere sul futuro, e dunque avere ragione di esistere. È quel che vorremmo noi. In direzione Teresa Bellanova ha detto che il Pd è il partito degli ultimi. Ma se è così, in questo paese molti milioni sono proprio fuori classifica. Tamquam non essent.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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