Non c’è periodo migliore o peggiore: non c’è miglioramento e nemmeno peggioramento del quadro politico – istituzionale attuale. Viviamo in una altalena di incertezze aggravate da una risposta sorprendente che il Presidente della Repubblica ha dato con la costituzione delle due commissioni di saggi che entro una settimana dovranno mettere sul tavolo del Quirinale le proposte politiche che potrebbero far nascere un governo in questa disgraziata XVII Legislatura.
Con una lenta elaborazione del contesto appena descritto, un po’ tutte le forze politiche hanno stigmatizzato l’operato di Napolitano. L’interpretazione abbastanza condivisa è quella che vede nella prassi presidenziale appena inaugurata (del tutto, in effetti, estranea alla comune e consolidata formazione dei governi in tutto il corso di vita della Repubblica) una esautorazione dei compiti parlamentari e anche di quelli di un presidente incaricato del Consiglio che oggi non esiste.
Dopo la breve avventura di Bersani, invece di affidare un incarico ulteriore, ed affidarlo al movimento grillino (come sarebbe stato giusto e opportuno per mettere alla prova la prosopopea del duo Grillo – Casaleggio e la proclamata salvificità del movimento espressa da tutti i suoi esponenti), Napolitano ha interrotto il corso di formazione del governo.
Pensavo di aver fatto della dietrologia quando, la notte antecedente la formazione delle commissioni dei saggi, mi chiedevo se sarebbe arrivata una telefonata da Mario Draghi, dal cuore economico dell’Unione Europea, al Quirinale per esprimere una linea condivisa nella gestione attuale della crisi economica e dei suoi riflessi politici, certamente di non secondario e poco conto.
Pensavo di aver fatto della dietrologia, ed invece quella telefonata è realmente stata fatta. E proprio nei tempi più tempestivi e opportuni: Napolitano, ancora una volta, ha dialogato con la BCE e si è fatto interprete della sua linea costituente in politica nazionale e sul più ampio contesto europeo.
Diventa così facile comprendere la dichiarazione successiva del Presidente della Repubblica quando afferma: “Un governo esiste ed è incarica”. Monti può, quindi, continuare a lavorare come se fosse stato legittimato da questo nuovo Parlamento che, ancora, non ha avuto il beneficio di esprimersi sulla fiducia per la formazione e la messa in operatività di un esecutivo.
Il difficilissimo equilibrio numerico espresso dalla composizione del Senato della Repubblica ha giocato a favore sia delle forze centriste che hanno ondivagato tra un nuovo governo di larghe intese e la prorogatio dell’attuale governo di Monti, sia delle forze – come il movimento 5 stelle – che hanno messo avanti l’attività del Parlamento per la formazione di una nuova legge elettorale, perché iniziasse a lavorare anche su provvedimenti che, senza dover aprire alcun manuale di diritto costituzionale, spetterebbero in prima stesura oltre che alle commissioni parlamentari anche al governo.
Senza un equilibrio tra i poteri dello Stato, ogni ruolo viene dismesso, diventa vuoto e il Parlamento di oggi è tutto tranne che il luogo di formazione delle leggi. Quale governo legittimato dallo stesso Parlamento le potrebbe mettere in applicazione? E’ evidente che, formalmente, un governo esiste. Ma è anche evidente che la situazione è viziata da una profonda anomalia strutturale che tradisce la Costituzione e che ne inficia la già precaria armonia che regna tra i poteri della Repubblica.
Per questo possiamo dire che un Parlamento chiamato tale, in Italia, non esiste: non ha più legittimità a legiferare di quanta non ne abbia Mario Monti nel far eseguire le leggi su tutto il territorio nazionale.
La sospensione della democrazia avviene anche così: quando magari non si assiste ai pestaggi e alle mattanze al G8 di Genova del 2001, ma si assiste invece alla contraddizione dei princìpi costituzionali sull’onda dell’emergenza e della crisi economica, sulla necessità di gestire le necessità del mercato europeo e internazionale e i suoi riflessi nel contesto italiano prolungando la disonorevole vita di un governo che ha accentuato le differenze sociali, ha impoverito i ceti più deboli e ha certamente gestito alla perfezione i dettami di Bruxelles.
E il rilancio di Bersani verso un governissimo dalle larghissime intese è un tentativo ormai tardo, mentre le commissioni inventate dal Quirinale cercano di individuare gli assi portanti su cui dovrà muoversi il nuovo esecutivo. Ecco, questo è il vero atto eversivo: il suggerimento da parte della Presidenza della Repubblica al governo (come del resto era già stato fatto oltre un anno fa in occasione della nascita del governo dei cosiddetti “tecnici”) di una linea politica che spetterebbe tracciare alla maggioranza uscita dalle urne.
Obiettiamo subito: ma una maggioranza esiste? Per via della legge elettorale esiste solo alla Camera e impropriamente.
Il bicameralismo perfetto voluto dai Padri Costituenti è stato stravolto dalle varie leggi elettorali che sono state varate per fare della politica italiana il migliore terreno possibile della deregolamentazione, adeguando lo Stato e le sue istituzioni ai particolarismi politici che, di volta in volta, si venivano formando dopo le tornate di voto.
Così non è stato il Paese, la popolazione a plasmare lo Stato sulla base della sua volontà, ma la delegazione politica uscita dalle urne a fare della Repubblica non una “cosa pubblica”, ma un insieme di apparati piegati all’interesse privato di questa o quella parte, di questo o quel partito o coalizione, mettendo così fine alla natura rappresentativa del voto e degradandolo a misera espressione di ripetizione di una volontà ormai vuota di significato. Si è trattato più volte di una ratifica di un precedente consenso, piuttosto che di una nuova espressione di delega.
Così facendo, è stato facile per Beppe Grillo mostrare le squalificanti sembianze di un regime politico e istituzionale destrutturato, annichilito e privo di credibilità.
Tuttavia la peggiore democrazia è preferibile al migliore dei qualunquismi. E Grillo potrà anche giocare con le parole e provare a sminuirne il significato facendole ripetere ed urlare alle folle che lo applaudono anche con qualche fiducia che risiede nella buona fede (forse ingenua, forse frutto di una ignoranza complessivamente dettata da un disinteresse per la complessità del funzionamento della macchina istituzionale), ma lui è e resta un qualunquista, un politico che da comico fascistizza le categorie e distrugge le differenze in nome di una rivoluzione che non sa e che non può fare.
Non può farla perché invece di reclamare un governo per il Paese, accetta e propone la proroga dei poteri dell’attuale governo Monti in nome del funzionamento della macchina parlamentare. Ma questa macchina dovrebbe funzionare al massimo del suo regime proprio in sintonia con un esecutivo nuovo, che corrisponde infatti sempre all’inizio di una nuova legislatura; non invece isolando il Parlamento dal resto dei poteri della Repubblica.
Come può un “rivoluzionario” come Grillo accettare il liberismo di Monti e predicare i lavacri della purificazione per il resto del corpo istituzionale? Può farlo perché il suo scopo non è dare al Paese un governo progressista, magari sostenendo il tentativo di Bersani che si è rivelato inconcludente anche e proprio per la chiusura di una forza politica che d’un solo colpo ha ottenuto oltre 160 parlamentari con il 25% dei suffragi.
Può farlo perché un Parlamento che fa finta di essere un Parlamento è per lui più utile di un Parlamento vero, che svolge le sue funzioni in consonanza con il governo.
Paradossalmente, l’interesse grillino si lega a quello dei mercati. La telefonata di Mario Draghi è lì a confermarlo. Anche al capitalismo interessa avere, al contrario ma parallelamente a Grillo, un governo che governa e un Parlamento che non essendo nel pieno delle sue funzioni non ha autorevolezza nei confronti dell’esecutivo.
L’organo più debole, dimissionario e che dovrebbe occuparsi della mera amministrazione quotidiana dello Stato, oggi è quello più forte e il più certo di rimanere ancora in sella per qualche tempo.
I saggi servono solamente a traghettare nella giusta direzione, con una linea politica dettata dal Quirinale, l’azione di governo da Monti al suo successore senza che il Parlamento abbia voce in capitolo.
L’eversione, in fondo, sta tutta qui. E sta ai massimi vertici della Repubblica. Se non fosse terribile da dire e da scrivere, verrebbe da dire che l’eversione è la Repubblica e che la garanzia di stabilità della democrazia è fuori dalla Repubblica propriamente detta e sta ancora una volta nella sua Costituzione. Un corpo e un’anima separati… E nemmeno Freud saprebbe come risolvere il bipolarismo cui si troverebbe davanti. Ma per fortuna una scissione di questo genere è difficile da trovare in una mente umana. Solo molte menti possono guidare un processo così perverso come quello cui stiamo assistendo e ci uccide un po’ tutti… A poco a poco… Diceva, in fondo, Fabrizio De Andrè: “Tutti morimmo a stento…”.
MARCO SFERINI
3 aprile 2013