Maurizio Landini ha dato delle risposte molto sensate e più politiche di quello che si può pensare possano essere durante il programma “In 1/2 ora”.
Se riuscisse nell’impresa di ricomporre un tessuto operaio, del mondo del lavoro in senso anche lato, attorno ad un sindacato di classe, tutto questo avvantaggerebbe tantissimo la riscoperta dei valori della sinistra, mettendo nuovamente in luce il ruolo del padronato e quello dei lavoratori. Sfruttatori e sfruttati verrebbero nuovamente a galla, alla luce del sole e alla visione di tane pupille.
Ma parimenti serve una rinascita comunista in questo Paese, una rinascita della sinistra che fiancheggi sul lato prettamente politico e della rappresentanza anche istituzionale il lungo lavoro che attende la Fiom e tutti i sindacati che si sono accorti della gravità dell’attacco antisociale del governo Renzi.
L’incultura, l’antisocialità, l’egoismo singolo e diffuso sono stati interconnessi dalle politiche liberiste e dalle forze politiche che hanno sostenuto tutta una serie di passaggi, che ormai possono essere definiti storici, volti a legittimizzare la deregolamentazione del mondo del lavoro a favore della produttività.
Le parole di Landini sono chiare, nette, pulite e vanno direttamente al cuore dei problemi. Anche a quelli che riguardano, chiamiamola così, la deontologia sindacale e quella politica dei partiti di sinistra. Landini non smentisce che il sindacato faccia politica, anzi lo afferma: e fa bene a sottolineare questo aspetto, perché è necessario che le lavoratrici e i lavoratori si riapproprino di un senso profondo della comunità sociale, quindi anche del fare politica, quindi l’agire per cambiare le cose: per stravolgere quello che Marx chiamava “lo stato di cose presente” e che era la definizione migliore data alla parola “comunismo”.
Le parole fanno ancora paura dopo decenni di condanna delle ideologie come residualità del passato, ancore pesanti che non lasciano salpare le navi del progresso, retaggi desueti e arrugginiti dentro le cassette degli attrezzi di un operaismo che si è disconosciuto da sé stesso per troppo tempo.
Ma l’incantesimo forse sembra essersi rotto proprio con la virulenza con cui Matteo Renzi ha messo in essere un esercito di ministri che hanno prodotto un carnet di proposte economico – politiche che si schiantano senza mediazione alcuna contro quella che invece doveva essere la gestione e quindi la creazione di una moderna pace sociale.
La crisi economica extraeuropea è, diciamolo, ingestibile per un abile tecnico come Mario Monti, lo è stata per un tecnico – politico come Enrico Letta e lo sta diventanto per un istrione tutto politico e per niente tecnico come l’ex sindaco di Firenze.
La rabbia operaia si scontra contro il surrealismo renziano, contro le facilissime promesse fatte a destra e a manca sciorinando parole intrise di sonanti monete e cascami di banconote governative verso i lidi impossibili dei bassi salari, dei cassintegrati, dei precarissimi giovani che emigrano oltralpe, dei disoccupati che aumentano secondo l’Istat mentre il capo del governo sostiene che sono in netta diminuzione.
Renzi ha mentito su tutta la linea, ma del resto scopo delle sue apparizioni pubbliche è la mera rassicurazione verbale condita con immagini e metafore che nemmeno Silvio Berlusconi era capace di creare.
Questo governo, seguendo le politiche liberiste all’ennesima potenza, non ha fatto altro che peggiorare lo stato della crisi favorendo i più ricchi, l’establishment padronale spacciato spudoratamente come “gente che lavora”…
Siamo alla sovversione dei più basilari elementi di macroeconomia, per cui il ruolo dell’imprenditore diventa quello del “datore di lavoro”: che da un lavoro, invece di colui che si prende il lavoro di chi gli fornisce le proprie braccia o il proprio intelletto per fare nuovo, ricco profitto.
Intanto le medie imprese navigano a vista e boccheggiano come il tonno di Pinocchio, con sulla loro schiena il peso di una difesa a tutto spiano del grande capitale e la mortificazione del popolo dell’industria familistica, quella di quel ceto medio che scivola rovinosamente verso nuove povertà inventate da una crisi che non mostra alcuna pietà. Come è giusto e naturale che sia: i numeri sono democratici; i loro effetti molto meno.
E’ necessario, quindi, che il sindacato ritrovi quell’anima di classe che Maurizio Landini è riuscito in questi mesi a dargli, facendogli sentire la necessità delle lotte, scontrandosi senza paura contro un governo presunto “amico” perché formato per la maggiore dal Partito Democratico.
Ma il Partito Democratico di Matteo Renzi è un partito che ha con grande slancio e fretta operato una torsione a destra in tema di rapporti tra politica ed economia e ha abbracciato i peggiori istinti liberisti. Se ne sono accorti anche gli esponenti delle cosiddetta “minoranza interna” come Civati, Bersani, Cuperlo e anche un Massimo D’Alema che ha stigmatizzato più volte i contenuti delle relazioni del premier – segretario nazionale.
Ormai il PD è in un vicolo ciecamente renziano ed è difficile dire quali saranno le scelte della sua “minoranza interna” di (presunta) sinistra. Ciò che possiamo sperare è che l’azione sindacale sia un pungolo per questi democratici non renziani, che li spinga a rompere la più grande anomalia politica europea che si definisce di sinistra e che, nel definirsi tale, mostra tutta la sua mostruosa e ingombrante ipocrisia politica e morale.
MARCO SFERINI
redazionale