La nascita di una psicosi collettiva non è mai frutto dell’opera di un singolo individuo. Le potenzialità espansive di una falsa notizia che dilaga e diventa, questa sì, un virus che si espande senza nessuna possibilità di messa in quarantena e di protezione per chi anche ne rimarrebbe immune, sono affidate essenzialmente a megafoni molto più potenti della voce di un semplice impaurito fino a quella di un meschino divulgatore di allarmi sociali.
Non si può nemmeno affermare che sia colpa dei giornali: semmai lo è dei “social network” che sono la più rapida e incontrollabile forma di tam tam moderno per trasmettere tanto una notizia quanto una falsa notizia da un capo all’altro del mondo.
Avremmo dovuto prevedere tutto questo, conoscendo l’indole umana, la sua tendenza a portarsi spesso e volentieri all’eccesso negativo, alla contrarietà rispetto al bene comune, per maniacale genialità, per perversione mentale, per sfizio, per sadismo e, in larga parte per fortuna (perché è l’unico alibi che l’essere umano può accampare in questi casi), per manifesta ignoranza e conseguente – volontaria o meno che sia – stupidità.
La celebre locuzione latina “crescit eundo” che pure partendo dalla descrizione del comportamento del fulmine che prende lo slancio da lontano per accrescere il suo vigore, la sua velocità, è genericamente riferita a situazioni di carattere intellettuale, a correnti filosofiche che prendono a poco a poco piede e si espandono, può rendere bene l’idea di come anche oggi – come del resto al tempo di Lucrezio – la forza di una singola parola possa avere un carattere dirompente. Esattamente come una saetta.
Ciò che sembra accrescersi, piuttosto che tendere alla diminuzione una volta che gli stessi mezzi di comunicazione di massa ne discutono in compassati salotti televisivi (molto meno in quelli dove ormai si fa del villano avanspettacolo da operetaccia di quart’ordine (avrebbe sintetizzato Carmelo Bene con la sua sprezzante e utile ironia), molto meglio – va detto – nelle trasmissioni radiofoniche dove la qualità delle interviste è notevolmente superiore a quella della tv e, nemmeno a dirlo, nessuna pagina Facebook o nessun commento su Twitter o Instagram può reggere il confronto.
La radio impone un ascolto molto profondo, che abbisogna di uno sforzo in più rispetto alle distrazioni visive che concede la televisione: c’è anche una sorta di “fascino dei tempi” radiofonici, dove le voci non possono assolutamente accavallarsi come nei tanto celebrati e celeberrimi “talk show“: se con la tv, infatti, l’occhio supplice alla mancata comprensione da parte dell’orecchio e recupera incomprensibile, seppur in misura minore rispetto alla totalità delle parole che si potrebbero ascoltare unitamente alle immagini, con la radio invece ci si deve disporre alla calma, alla pazienza, al ritmo decelerante dei ragionamenti.
A meno che non si tratti di trasmissioni volutamente provocatorie come “La Zanzara“, dove invece si replica il peggio di un Paese reale che finisce per sembrare l’unico Paese realmente esistente e che è invece il concentrato delle peggiori patologie derivanti da pregiudizi e giudizi tutti in odore di assolutismo, di ragionevolezza esclusiva ed escludente.
Se la stragrande maggioranza delle emittenti radiofoniche che orientano il loro palinsesto su programmi di approfondimento e di cultura è salva dal tritacarne delle idee e del gettare all’ammasso il cervello, altrettanto non si può dire per gli altri mezzi di comunicazione di massa: esistono quotidiani che ogni giorno di mestiere altro non fanno se non diseducare, riempire le teste (vuote o meno che siano) di stereotipi intrisi di pregiudizialità, di stigmi fondati sulle differenze etniche, pieni di cliché stantii e, proprio per questo, in prima fila nella lotta contro la capacità di ragionare autonomamente, altrimenti chiamata spregiativamente “buonismo“.
Sommando “social network“, giornali depensanti (non nell’egregio significato di abbandonarsi al vuoto del pensiero, di lasciarsi andare ad una alta incosapevolezza dell'”abbandono“, ma nell’esatto contrario…) e cattivi maestri televisivi, ce n’è abbastanza per non sorprendersi molto quando si legge, sempre il giorno dopo aver alimentato gli istinti più bassi e reconditi dell’essere (dis)umano, che vengono affissi cartelli nei bar con scritte che invitano i cinesi a stare alla larga; oppure ancora, quando una coppia di turisti si sente rimbrottare malamente come veri e propri untori; infine quando a Torino una ragazza viene invitata ad abbandonare l’autobus su cui viaggiava, sempre e soltanto perché cinese.
Alla disposizione del nostro cervello nel trattare le infezioni, le epidemie e tutto ciò che ci può “contaminare” senza un filtro di ragionevolezza, ma cadendo sempre sul fianco dell’ipocondria isterica, frutto di vere e proprie xenofobie, quindi irrazionali paure fondate sull’origine delle persone, va sommato il lavaggio del cervello fatto dai “mass media” che scientemente addestrano i più indifesi culturalmente ad assorbire tutta una serie di scempiaggini che diventano un pericoloso bagaglio di vera e propria analfabetizzazione incivile, immorale e anticivica.
L’unica difesa possibile viene dalla verità scientifica: non c’è politica, quindi non c’è argomentazione sensata, umana, solidale che possa far retrocedere la mentalità di larga parte dei cittadini che seguono le falsità dei sovranisti (questo è il perimetro politico generalmente riscontrabile quando si fa un po’ di inchiesta, anche molto modesta, e si cerca l’origine non massmediologica, ma politica del fenomeno di spargimento delle false notizie, quelle artatamente create per orientare l’opinione pubblica).
Soltanto l’inoppugnabilità dei dati scientifici è la diga di contenimento delle acque psicotiche che investono vallate di anti-pensanti, di odiatori di professione, di esaltatori di stupidità.
Quand’anche, nonostante l’opinione del virologo più impegnato nell’isolamento del tale o del tal altro virus, si finisce per sbattere il grugno addosso al muro di amenità rappresentato dalle “teorie del complotto“: che i governi di mezzo mondo brighino per sporchi affari legati alle loro economie, spinti dal capitalismo in ogni dove del pianeta, è un dato di fatto.
Che la terra sia piatta, che sulla luna non si sia mai andati, che gli ufo rapiscano gli umani o siano nostri progenitori e così via dicendo… si va da verità indimostrabili ma plausibili, come la concretissima possibilità che tra miliardi e miliardi di galassie contenenti miliardi e miliardi di pianeti e stelle come il nostro Sole, esistano specie intelligenti e consapevoli dell’esistenza al pari di noi (speriamo non così degradate dal tentare la propria autodistruzione nel corso di cinquemila anni di cosiddetta “evoluzione“) a divertenti invenzioni come il terrapiattismo, sollazzi utili per creare soltanto enfasi, migliaia di “click” su video in You Tube e curiosità che riempiano la noia quotidiana di ascoltare sempre la solita retorica governativa sulla diminuzione delle tasse e la fine della crisi economica.
Il recupero della razionalità e una gestione non nevrotica delle problematiche umane e della vita in generale, non passano, come abbiamo visto, dalla semplice presa in esame del comportamento reattivo nostro alla paura del contagio.
Passano soprattutto dalla capacità insita in noi di non esacerbare queste paure, scansando gli artifici ben costruiti da chi vuole manipolare le masse, chi le vuole tenere sotto la schiavitù del depensamento, dell’acriticità, del mancato sviluppo di una coscienza civile che è e deve essere parte di una necessaria coscienza sociale capace di scoprire i tanti trucchetti che sono alla base di una falsa consapevolezza dell’esistente considerato come “naturale” e “normale” stile di vita (o di sopravvivenza), mentre ciò in cui siamo, ciò in cui viviamo è l’esatto opposto della libertà individuale e collettiva. In sostanza della vera vita umana, animale e vegetale.
Una armonia che solo superando il capitalismo e tutti le incrostazioni mentali e le distruzioni ambientali che si trascina appresso, sarà possibile un giorno regalare alle future generazioni.
MARCO SFERINI
4 febbraio 2020
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