La rivoluzione economica italiana, ed anche quella politica di conseguenza, non passeranno attraverso un dicastero guidato da un economista illustre che è stato al fianco delle maggiori espressioni del potere tanto economico quanto politico del Paese stesso.
Da dove proviene allora questa “levata di scudi” sul nome di Paolo Savona come futuribile ministro dell’economia? Dalle sue criticità sull’impianto eurocentrico tedesco o, per dirla ancora meglio, su una Europa a trazione germanica: di qui la critica alla sua tesi secondo cui (e c’è del vero, anzi del verissimo) l’Euro sia una gabbia teutonica in cui viene rinchiusa l’intero Vecchio continente dei popoli che dei popoli mai è stato ma che semmai è diventato nei decenni un laboratorio di costruzione di un polo monetario e finanziario alternativo, quindi concorrenziale, rispetto a quello americano ed a quello asiatico.
Che ciò sia vero è indiscutibile. Ma la frase “incriminata” dell’illustre economista già presidente di numerose aziende (Impregilo, Gemina, Aeroporti di Roma, ecc.) e consigliere di amministrazione di altre come TIM e RCS, nonché ministro del governo Ciampi prima (artigianato, industria e commercio) e per il governo Berlusconi III a capo del dipartimento delle politiche comunitarie, sembra alla fine essere questa:
“La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l’idea di imporla militarmente. Per tre volte l’Italia ha subito il fascino della cultura tedesca che ha condizionato la sua storia, non solo economica, con la Triplice alleanza del 1882, il Patto d’acciaio del 1939 e l’Unione europea del 1992. È pur vero che ogni volta fu una nostra scelta. Possibile che non impariamo mai dagli errori?”.
Una ricostruzione storica che meriterebbe un approfondimento di tale natura e non un semplice, banale commento politico con qualche presunzione di analisi economica della moneta unica e del ruolo che ha nel mondo.
L’assunto del professor Savona critica le scelte politiche fatte dal nostro Paese in tre diversi tempi, molto differenti tra loro: legittimamente cerca un filo conduttore tra queste scelte, ma la considerazione più ardita è certamente contenuta nella prima frase laddove si attribuisce alla Germania il ruolo di guida economica dell’Europa sostituitosi alla pretesa nazista di egemonia militare non solo dei territori limitrofi al Terzo Reich ma del mondo pressoché intero.
Ne deriva una critica dunque senza appello, molto dura e inaccettabile per il cancellierato tedesco che ispira le politiche della BCE e che impone il regime di andatura economica proprio all’intero continente: il caso greco ne è ancora un esempio ben lampante. Se non si riesce a correre come la “locomotiva tedesca”, se si resta indietro, si finisce per pagare a suon di debiti il prezzo del fiato corto in economia. A farlo sono chiamati sia governi di destra sia governi di sinistra: a questo proposito il cedimento del governo Tsipras davanti all’ “OXI” espresso dal popolo ellenico sulla trattativa con la UE è una evidenza che dimostra come la pragmaticità della ragion di Stato più prettamente materiale, per la “ragion di sopravvivenza” di tutto un sistema economico nazionale (dentro uno sovranazionale) prevalga anche sulle migliori intenzioni di un uomo di sinistra vera, radicale, intenzionato a cambiare il corso degli eventi della Grecia rispetto alle politiche liberiste del PASOK.
Per questo il professor Savona, blindato come nome per il ministero dell’economia italiano da Lega e Cinquestelle, viene vissuto – a torto o a ragione, forse a prescindere anche da un ruolo meramente politico nemmeno ancora intrapreso – come la punta di diamante di una compagine di governo fortemente “euroscettica”, sorretta da due forze politiche populiste e quindi espressione di un cambiamento che rischia di sbilanciare la protezione politica di una parte dell’Europa economica e, al contempo, di apparire come “rivoluzionario” rispetto al passato fatto di governi dove il ministero dell’economia era garanzia di piena obbedienza alle regole di Bruxelles.
Siamo invece in presenza di una “rivoluzione apparente”, perché tanto le forze che sosterranno l’eventuale esecutivo di Giuseppe Conte quanto le personalità che lo andranno a comporre non sono dei critici del sistema capitalistico, nemmeno lontanamente parlando. Sono liberali nel migliore dei casi, liberisti nel peggiore.
Il governo che si appresta ad essere formato sosterrà con meno convinzione di altri i canoni dell’Unione Europea e i suoi dettami in materia economica: proverà a scalciare un poco per “fare gli interessi degli italiani”, ma alla fine, a meno che non sia l’Italia ad assumere un ruolo egemone nel continente al posto della Germania, sempre in questo brodo di coltura dovrà nascere, crescere e formarsi.
Perché le strade sono solamente due: assumere i toni di un governo stile ungherese oppure diventare un luogo della politica dove si esercita la critica e si mette poi in esecuzione il risultato di trattative dove il cedimento dovrà essere per forza da parte italiana nei confronti dell’Europa. Tsipras è lì a dimostrarlo. Ed è lì a dimostrarlo con un mandato pieno del popolo greco che gli diceva: “No, non devi trattare sul debito”. Eppure, formando un governo di coalizione con una minuscola forza di estrema destra, ha trattato.
Pragmatismo. Necessità. Dovere verso gli italiani. Saranno espressioni, concetti che ricorreranno sovente nei prossimi mesi se prenderà vita il governo del professor Conte. Poi, che possa o meno avere nella sua squadra anche una figura come quella di Paolo Savona è ancora tutto da definire nel grembo di Giove.
Il Quirinale ha fatto sapere che non accetta imposizioni, blindature o diktat sui nomi. E l’Italia non può permettersi, seppure in un regime di “rivoluzione apparente”, di dispiacere in qualche modo alla grande Europa dei mercati.
La sinistra di alternativa in tutto questo non ha alcun ruolo, come si può vedere. Ed è francamente molto imbarazzante doverlo ammettere, scrivere, ripetere. Ma forse è terapeutico. Forse. Per elaborare un lutto che si comprende se sia stato in qualche modo anche solo in parte vissuto per essere veramente compreso a pieno.
Il futuro, probabile, governo Conte, sarà organico al liberismo. Al massimo ritoccheranno qualcosa del recente passato, ma superare o abolire Jobs act e Legge Fornero significherebbe contraddire la missione leghista e pentastellata di conservazione degli interessi del cosiddetto “ceto medio” padronale.
Confindustria non è soddisfatta solamente perché rappresentano una borghesia minore rispetto a quella delle grandissime industrie e aziende difese dalle altre alleanze di centrodestra e centrosinistra.
Ma condivido sostanzialmente alcune preoccupazioni che vengono poste: si può fare politica liberisticamente facendola apparire come quella più sociale possibile, soprattutto laddove la sinistra, che dovrebbe rappresentare il lato sociale della politica e la vita concreta dei più deboli, è priva di significato anche se fa riferimento “al popolo” e pensa di costruire sé stessa senza fare tabula rasa, senza riconsiderarsi daccapo.
MARCO SFERINI
25 maggio 2018
foto tratta da Pixabay