Pur in presenza di una crisi economica che, con altalenanza, mostra i suoi picchi di acutezza soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, salvo poi attenuarsi nell’impatto sui dati occupazionali di mese in mese nelle rilevazioni Istat, quindi avendo davanti tutte le più elementari e palesi manifestazioni di uno scontro di classe, esistono commenti e commentatori che negano il medesimo.
Lo possono fare perché la contrapposizione tra sfruttati e sfruttatori non risulta evidente laddove manca una coscienza di classe nella classe stessa: qui si intende la classe dei salariati, quindi dei moderni proletari, dunque dei modernissimi sfruttati.
La guerra al mondo del lavoro la fanno le circolazioni di capitali, le speculazioni finanziarie, la concorrenza tra settori industriali e la produzione di merci sempre a più basso costo con tagli che incombono sulla sicurezza nei cantieri, nelle fabbriche e non solo.
Del resto, i dati dell’INAIL parlano chiaramente: non solo aumentano i morti sul lavoro, ma anche gli stessi infortuni hanno una curva ascendente di anno in anno. Nel 2018 le denunce per incidenti sono state 641.261, quasi l’1% in più rispetto all’anno precedente.
I cosiddetti “casi mortali” sono stati 1.133 nel 2018, con un aumento di 104 casi rispetto al 2017, e genera una particolare attenzione il dato agostano: 132 decessi in un solo mese, con un aumento del 70% rispetto al 2017. Segno evidente che determinati lavori tipicamente e solo estivi hanno provocato una incidenza maggiore di infortuni letali.
Di tutte queste morti non ve ne è nessuna riferibile all’ambito padronale: a morire sono sempre e solo i dipendenti, i lavoratori, gli sfruttati. Per carità, nessuno si augura la morte dello sfruttatore, il così elegantemente definito “imprenditore”. Una sorta di moderno luddismo rivolto alla classe padronale non sarebbe espressione di lotta di classe ma solo infantilismo politico e persino sindacale.
E’ però chiaro che il livello di rischio in fabbrica, nei cantieri e ovunque si lavori è praticamente tutto rivolto ai lavoratori stessi e non ai “datori” di lavoro. I motivi sono per l’appunto la mancanza di prevenzione e, spesso, l’assoluta trascuratezza delle più elementari norme di sicurezza che causano banalissimi incidenti.
A questo scenario “classico” del mondo del lavoro, invariabilmente tale da molti decenni, nonostante la creazione di moderne clausole di salvaguardia della vita introdotte nella produzione di macchinari e nonostante, vanno aggiunte tutta una serie di sviluppi di “malattie professionali” che, sempre nel confronto tra 2017 e 2018, sono aumentate invertendo una tendenza alla diminuzione registrata negli ultimi lustri: le denunce in questo caso sono state 59.585 lo scorso anno e riguardano per la maggior parte patologie muscolari, articolari e del “tessuto connettivo”.
In aumento sono anche le malattie nervose, tra le quali la sindrome del tunnel carpale e danni all’udito, seguite dai danni causati da agenti chimici (soprattutto nelle aziende tessili e in quelle di produzione di solventi, vernici, ecc.) all’apparato respiratorio e, infine, dai tumori.
Abbiamo visto come l’INAIL fotografi molto dettagliatamente la situazione di invalidità temporanea o permanente o, addirittura, di decesso nel moderno mondo lavorativo. Abbiamo appreso che la totale incidenza di tutte queste disgrazie (se così possono essere definite…) è a carico dei dipendenti, della “forza-lavoro”, e che il “rischio di impresa” rimane solo apparentemente sulle spalle del padrone che, fa pagare qualunque incidente di percorso nell’accunulazione del profitto ai lavoratori stessi: dall’incidente tecnico alla dispersione di capitali e alla conseguente consegna dei libri contabili in tribunale quando l’azienda fallisce e nemmeno gli ammortizzatori sociali sono in grado di riparare alle scelte scellerate delle grandi menti padronali.
Il padrone reclama il suo ruolo solo e sempre in fortuna: in disgrazia addio orgoglio e addio virtù di comando. La colpa è genericamente attribuita alle giravolte del mercato e mai assunta in piena responsabilità come elemento soggettivo che incarna un ruolo preciso nel sistema capitalistico.
Seppure abbia un ruolo sovrastrutturale, la politica di governo dovrebbe ottemperare i doveri costituzionali e venire in aiuto ai lavoratori.
Dice infatti la nostra Costituzione all’articolo 38:
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituzioni preposti o integrati allo Stato.
L’assistenza privata è libera.“.
Compiti, infatti, che sono prerogativa dell’INAIL a cui il governo recentemente ha tagliato i costi di impresa in merito, sgravando gli imprenditori dal versamento all’ente statale delle quote suddette per un sostanzioso 30% in meno.
Una politica lungimirante, soprattutto molto “sociale” per una forza politica che si picca di essere “popolare”: ma esserlo non vuol dire, infatti, stare dalla parte dei lavoratori, degli sfruttati, ma stare dalla parte di tutto il popolo che, come è ovvio, comprende anche il padronato.
Per accattivarsi ulteriormente le simpatie confindustriali, il governo, sempre per bocca del Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro del Lavoro Luigi Di Maio, rimbrotta il Segretario generale della CGIL Maurizio Landini sulla “patrimoniale”, manifestazione di un bolscevismo impensabile per l’esecutivo giallo-verde.
Tassare i ricchi è impensabile e ciò non avverrà mai durante il regno pentastellato e leghista. Il “governo del popolo”, il “governo del cambiamento” è molto gattopardesco e coerente con il contratto tra le due parti che naviga nella vaghezza (punto 14 del programma siglato da M5S e Lega) di una generica applicazione dell’articolo 36 della Costituzione: garantire un salario “dignitoso” per una vita altrettanto “dignitosa” della lavoratrice e del lavoratore.
Ma se gli strumenti per farlo sono il taglio del 30% ai fondi INAIL per la prevenzione degli infortuni e il NO secco alla patrimoniale, allora evidentemente il governo interpreta l’articolo della Carta da un punto di vista esattamente opposto a quello dei lavoratori. Coerenza perfetta col liberismo incarnato dalla Lega e con il traccheggiamento pentastellato in merito.
Intanto si continuerà a morire di lavoro, sul lavoro, mentre i padroni avranno in compenso sgravi fiscali. Qualcuno trovi le differenze tra i comportamenti dei governi precedenti e l’eccellentissimo “governo del popolo”…
MARCO SFERINI
5 marzo 2019
foto tratta da Pixabay