All’improvviso in libreria è scoppiato il boom dei saggi dedicati alla memoria del PCI.
Nelle pagine culturali de “la Repubblica” ne ha scritto Siegmund Ginzberg recensendo tre volumi di carattere biografico dedicati, naturalmente da autori diversi, a personaggi molto particolari che avevano attraversato il mondo comunista negli anni di fuoco dai ’30 ai ’50.
Patrick Kelsen ha pubblicato: “Vittorio Vidali, vita di uno stalinista”; Giorgio Vecchio “Emilio Sereni, l’intellettuale e il politico”; Elia Baffoni e Peter Kammerer “Aldo Natoli. Un comunista senza partito”.
Non entro qui nel merito delle specifiche argomentazioni riservate da Ginzberg a ogni singola opera: nel testo è citato anche l’importante “Il tramonto dell’avvenire” di Paolo Franchi che ricostruisce le vicende della sinistra italiana dal 1976 a oggi.
Riprendo soltanto il punto finale utile a consentirmi anche un’osservazione legata alla realtà locale savonese e ad alcune iniziative che proprio alla memoria del PCI sono state dedicate nel corso degli ultimi mesi.
Ginzberg conclude il suo articolo con queste parole:
“Nostalgia di questo tipo di partito? Certo che no. Ma forse un po’ sì. Con una cautela. La convinzione di essere geneticamente, moralmente superiori agli altri può essere una risorsa. Ma è anche autoinganno. Rischia di alimentare fanatismi. E soprattutto rende più difficile fare politica, cioè interagire con gli altri”.
In queste parole sembra tornare nemmeno troppo sottotraccia il tema di una “diversità”.
La “diversità”: quel tratto distintivo che si volle cancellare con la svolta in nome dello “sblocco del sistema politico” e che oggi, attraverso la memorialistica, sembrerebbe tornare, in una qualche misura, sulla scena delle possibilità di espressione d’identità politica.
Per una combinazione del tutto fortuita proprio mentre queste biografie di rivoluzionari (ma non solo) arrivavano in libreria, nella periferica e provinciale Savona ci si misurava proprio con quella memoria e con l’identità che il PCI aveva mantenuto nel corso degli anni del fulgore nella presenza politica del Partito.
Sabato 28 ottobre, dopo che già si erano svolte altre due iniziative legate alla realtà che fu rappresentata dal PCI e maggiormente legate alla realtà savonese, un centinaio di militanti ha partecipato a una discussione incentrata proprio su “Memoria e Identità del Partito Comunista Italiano”.
Da quel consesso si può dire che, in maniera del tutto involontaria, sia arrivata una risposta al tema sollevato da Ginzberg nel merito della superiorità morale e della (tanto temuta) “diversità”.
Il confronto savonese, infatti, ha girato attorno a due punti:
1) il peso del filtro della concezione di classe nell’agire politico posto anche rispetto al punto riguardante l’intendere della “questione morale” come “piena questione politica”;
2) l’intreccio tra politica e cultura. Un intreccio che partiva da una concezione della cultura di tipo classico, di studi robusti e solidi. Un’impostazione che fu anche all’origine di ritardi nel riconoscere il ruolo di determinate avanguardie ma che consentì di realizzare un’inimitabile selezione dei quadri dirigenti e di consentire un incontro, sicuramente tormentato e complesso, ma comunque realizzato con i movimenti.
Toccando questi due punti il convegno savonese, pur nella modestia di una realtà periferica, ha dunque affrontato per intero l’oggetto della preoccupazione di Ginzberg: se si pensa alla memoria del PCI come punto di ritorno sulla scena del dibattito politico di una connessione tra politica e cultura per favorire una “presenza etica” allora si può ben dire che vale la pena di riprendere ciò che è stato senza timori di nostalgie di un’élite rinchiusa in una diversità quasi come se si trattasse di una torre d’avorio.
Un punto di riflessione che forse può essere utile se ancora si vuol pensare a un processo di ricostruzione a sinistra.
FRANCO ASTENGO
4 ottobre 2019