Ci si ricade a ciclo continuo. Perché il ciclo è quello e non se ne esce.
Dentro un’economia liberista che affama, depreda, rende insicure le società, altera gli equilibri ambientali e mette le nazioni le une contro le altre in una assurda competizione per il dominio globale e mondiale, quando un paese registra tassi di inflazione che vanno a sfiorare il 120% tanto da sperare di poter avere il dollaro americano come nuova moneta, non ci si può sorprendere se nuovi esperimenti di destra fanno capolino sulla scena elettorale.
La storia dell’Argentina è quella di una nazione che, da oltre due secoli, ha segnato profondamente quella di tutta l’America Latina. Un po’ come è stato per il Brasile ed anche per la Colombia. Non da meno, certamente, per il Cile e neppure per il Venezuela. Meno protagonismo lo si è avuto, tanto in campo economico quanto politico, da Ecuador, Paraguay e Uruguay.
Ma, nel complesso, come del resto anche in Europa (diversamente nell’America settentrionale e in Asia), ciò che è accaduto in uno dei grandi Stati dell’America meridionale ha inevitabilmente influenzato le politiche interne ed estere dei propri vicini. E non si parla soltanto della voglia di liberazione che nell’800 pervase un po’ tutto il continente.
Qui si intende fare riferimento in particolare agli esperimenti autoritari, autocratici, militaristi e fascisti che hanno tracciato delle pesanti rughe di deterioramento morale, civile e sociale in quello che la “dottrina Monroe” (proprio ad iniziare dalla prima metà dell’800) aveva abituato a definire come “il cortile di casa” della sorgente potenza statunitense.
Ciclicamente, quando la vita diviene sopravvivenza e non si riesce più a campare, le masse vengono fatte oggetto di una attenzione particolare dalle destre più estreme e populiste, consce della seduzione che possono esercitare su milioni di scontenti con i governi che li hanno depredati, disamministrati e ridotti in condizioni miserrime.
La facilità con cui la rabbia popolare diventa tutto tranne che alleata di sé stessa è la conseguenza di una incapacità da parte della sinistra (o dei centrosinistra sparsi per il mondo) di dare risposte di mediazione tra le esigenze sociali e i privilegi pretesi dai capitalisti.
In questo caso si tratta delle pretese del Fondo Monetario Internazionale, che stanno riconducendo l’Argentina ad una sorta di periodo davvero speciale in quanto a tenuta di una economia priva di risorse, incapace di soddisfare i suoi creditori, dove la piaga della delinquenza sta sproporzionando ovunque e, quindi, non c’è di meglio per una nuova destra demagogica, liberistittisma e populista, per poter fare il suo ingresso nella tornata elettorale per le presidenziali di ottobre.
Javier Milei è assimilabile ad un missaggio tra urlatori televisivi, provocatori della peggiore risma, politici anti-sistema e anti-casta, nemici di tutto ciò che è statale: per prima la Banca centrale argentina.
Ma quello che, fino a poco tempo fa, era un economista che voleva “prendere a calci in culo keynesiani e collettivisti“, e che teorizzava la primazia della scuola austriaca di macroeconomia (nota per il suo tratto individualistico) unita alle teorie monetaristiche di Burnanke, facendo così un miscuglio incomprensibile di visioni del mercato e della sua (impossibile) autoregolazione, oggi è il vincitore delle primarie di destra in Argentina e ha la strada, se non proprio spianata, quanto meno molto, molto aperta verso la Casa Rosada.
I giornali fanno a gara a tratteggiarne il carattere, le idee, qualche specie di ideologismo ricavato da una somma di dichiarazioni che paiono smargiassate estemporanee e che, invece, sono i suoi punti di forza anche elettorali.
Ne viene fuori un personaggio certamente stravagante, che si compiace di esserlo e che utilizza le frasi ad effetto, come ogni buon populista, per rinvigorire la rabbia sociale e per incanalarla nella direzione esattamente opposta agli interessi dei più fragili e dei più percossi dalla crisi economica.
Per avere un minimo di contezza sul prossimo candidato della destra estrema alle presidenziali argentine, basterebbe ascoltare alcuni dei suoi discorsi. I giornalisti sono concordi nell’attribuirgli il patentino di “Trump argentino“, appellandolo come Javier “el loco” Milei. Ha la benedizione di Bolsonaro, è vicino ai neofalangisti iberici di Vox e tuona ad ogni comizio contro qualunque forma di giustizia sociale, di diritti sociali, di tutela del lavoro.
E’ un accesissimo ultraliberista, antiabortista, pare favorevole alle unioni omosessuali. Quel tanto per potersi attribuire il marchio di “presidente libertario“. Là, in Argentina, il termine ha un sapore decisamente diverso dall’accostamento anarchico tipicamente europeo. Ma Milei, tra le tante definizioni che inventa per sé stesso e che si lascia volentieri dare dalla stampa e da Internet, spesso evoca quello dall’anarco-capitalista. Un ossimoro che lui rende evidente nel travestimento da “Capitan AnCap“…
Le apparizioni televisive che si possono reperire su You Tube stanno lì a dimostrare il surrealismo con cui l’economista, giornalista e presenzialista tv intende allargare la platea dei suoi elettori.
Più un messaggio è inconcreto, ma urlato, più parla alla pancia delle masse e più ha la possibilità di penetrare anche nei crani ormai vuoti di chi non ha il tempo di pensare ad argute e profonde analisi sul perché tutto questo accade. Sul perché l’inflazione è alle stelle e sul perché una ragazza viene barbaramente assassinata da due coetanei per un cellulare, e così un medico sulla sua porta di casa…
La cronaca nera di queste settimane, in cui gli omicidi per rapina stanno diventando la costante quotidiana delle notizie dei telegiornali, aiuta Milei nel compito di dimostrare come lo Stato sia impotente davanti a tutto ciò e che, quindi, oltre ad essere un ingombro economico e sociale lo è anche sul terreno del securitarismo.
Poi c’è tutto un contorno machista che fa del candidato alla Casa Rosada anche un (sedicente) insegnante di sesso tantrico, che lascia alla “mano invisibile” (del mercato…) di pettinarlo ogni mattina, visto che lui non lo fa da tredici anni (dice…), e che attraverso la sorella – medium parla con l’anima di uno dei suoi amati cani. Ne ha cinque. Mastini, ovviamente, mica dei chihuahua fru fru…
Insomma, il personaggio è questo. Quello che serve ad una crisi economica per mettere poveri contro poveri, Stato contro cittadini, liberismo contro libertà, Fondo Monetario Internazionale contro la democrazia. Gli ingredienti per una vittoria populista a tutto tondo ci sono. Eccome.
Ed è qui il punto su cui ci si dovrebbe chiedere il perché una sinistra progressista non è in grado di sbarrare la strada a questo affabulatore di incoscienze, di ridimensionarne la carica esplosiva tanto nelle parole quanto nei fatti. La storia dell’Argentina è molto più complicata di quella di qualunque paese europeo. Dittature militari, peronismo, nuovamente regimi criminali che hanno decimato l’opposizione e hanno fatto dimenticare per molto tempo cosa fosse la democrazia, non consentono una lettura semplificata dei fatti.
Anzi, ci obbligano ad approfondire le ragioni delle ritorsioni del liberismo in questo subcontinente, parte di un mondo più vasto che, ancora oggi, è un punto di riferimento dell’economia americana, di quella europea e anche di quella asiatica.
Il piano di governo di Milei è quello tipico delle donne e degli uomini di una destra nazionalista che vuole fare, in questo caso, dell’Argentina una potenza mondiale. Lo ha detto chiaramente nel suo ultimo discorso, quello di ringraziamento ai sostenitori per quell’oltre 30% che ha decretato il suo primo posto sul podio delle primarie.
E ha unito al presunto ribellismo nei confronti della dittatura del potere statale e della politica in generale, la sua determinazione ad eliminare la Banca centrale, a liberalizzare il commercio delle armi nonché di quasi tutte le droghe, a ridurre i privilegi della casta. Come è evidente, Milei tiene insieme spinte ultraliberiste, protezionismi dei privilegi imprenditoriali e finanziari con le concessioni su alcuni diritti civili o sull’antiproibizionismo e persino il negazionismo sul cambiamento climatico.
L’interclassismo e l’intersezionalità vengono utilizzati per mettere insieme ciò che altrimenti sarebbe impossibile condividere e far condividere dalla più ampia fetta di elettorato progressista e conservatore al tempo stesso. Il programma di Milei è una macedonia amara che contiene tutto e il contrario di tutto e che viene solennizzato con la chisusura finale dei comizi al grido di: «Viva la libertad, carajo! (Viva la libertà, cazzo!)».
Quello che sta diventando il suo elettorato, si è abituato, ed anzi richiede, l’alzata dei toni, l’uso delle male parole, il riferimento a metafore e concetti che sono lontani milioni di anni luce da un confronto tra una destra democratica e una sinistra moderata.
Non si può nemmeno azzardare che, nel caso di una vittoria di Milei, quest’ultimo si troverebbe comunque circondato da esperienze governative di sinistra: Boric in Cile, Lula in Brasile. Il continente è ancora lontano dal precipitare in una condizione di subalternità completa al liberismo esasperato e al populismo che vi si affianca.
Ma se ogni volta che la crisi preme sulle società dell’inviluppo, la risposta è sempre e soltanto trovata dalla masse nell’esasperante semplificazionismo della destra estrema, ciò vuol dire che la sinistra ha tutt’oggi un problema enorme con la rappresentanza politica e con la comunicazione le dovrebbe essere propria nel mostrare e dimostrare tutti i fallimenti di quel liberismo che Mieli invece propone come unica soluzione (anti)sociale.
La destra prova ovunque a legare autoritarismo e antipubblicismo, non antistatalismo. Si propone come l’alternativa al sistema e allo Stato stesso, ma vuole utilizzare quest’ultimo ancora di più di quanto veniva utilizzato in precedenza dai fallimentari governi di centro (e peronisti). La destra applaude ai golpe ispirati dalla CIA, agli omicidi di candidati presidenti che combattevano contro la corruzione, all’intromissione dell’economia americana nel continente come salvataggio da ogni “pericolo socialista“.
Milei non viene dal nulla. Ha sostegni importanti da parte di uomini e donne che sono parte della buona borghesia imprenditoriale. Mentre il 40% degli argentini è praticamente in uno stato di povertà quasi assoluta. Ecco la saldatura tra interessi privati e disperazione pubblica, collettiva, indiscriminata, che aumenta di giorno in giorno e che non trova una risposta progressista.
Il partito di Milei si chiama “La Libertad Avanza“. Non c’è bisogno di tradurne il nome. Ma, a seconda di come si leggono gli eventi, e non prendendo alla lettera il significato, si potrebbe pensare che voglia lasciare intendere: la libertà è un eccesso, avanza, non è necessaria. Viste le premesse, le conseguenze di una vittoria di questo personaggio potrebbero essere proprio quelle.
MARCO SFERINI
17 agosto 2023
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