Dopo la frenata registrata nel primo trimestre (-5,4%), nel secondo trimestre 2020 l’economia italiana ha subito una contrazione senza precedenti (-12,4%) sul trimestre precedente e del 17,3% del Prodotto interno lordo (PIL) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. È il primo effetto della recessione innescata dalle politiche adottate per contenere la diffusione della pandemia del Covid. Il dato reso noto ieri dall’ISTAT è il valore più basso registrato dal primo trimestre 1995, l’anno in cui è iniziata l’attuale serie storica. Crolli analoghi, e persino superiori, del PIL sono stati registrati negli ultimi giorni negli Stati Uniti con il record del meno 32% trimestrale e anche in tutte le altre economie europee.
In Germania si parla di un’inedita diminuzione dell’11,7% tendenziale. In Francia e in Spagna la situazione è peggiore. Rispettivamente hanno registrato meno 19% e meno 22,1%. Per quanto riguarda il nostro paese la stima preliminare calcolata dall’ISTAT è peggiore di quella prospettata dal governo nel Documento di Economia e Finanza (DEF). Allora si era parlato di una flessione più contenuta pari a un meno 10,5%. Il crollo è stato nettamente peggiore di quasi due punti in più.
Nella relazione finale il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha prospettato una stima che oscilla da un minimo del nove per cento a un massimo del 13 per cento di perdita del Pil. Sebbene l’ISTAT abbia registrato il principio di una ripresa in alcuni settori, nei prossimi mesi gli effetti della recessione potrebbe incidere in maniera ancora più aggressiva sull’andamento complessivo dell’economia. Ad esempio, ieri il Centro Studi di Confindustria la produzione industriale è in rotta verso una diminuzione di circa il 15% sul 2019. Visti in maniera diversa, questi indicatori macroeconomici parlano di una perdita di valore pari, tra aprile e giugno, a oltre 50 miliardi e 289 milioni di euro nel confronto con i primi tre mesi dell’anno. In generale il valore trimestrale del PIL si è fermato a 356 miliardi e 647 milioni di euro.
Questi dati inediti nella storia più recente dell’economia capitalistica sono il risultato di una crisi che colpito in maniera devastante sia la domanda sia l’offerta, bloccando all’improvviso una parte significativa della produzione a livello nazionale, inducendo una specie di infarto nelle catene del valore a livello internazionale. Man mano che passano le settimane le conseguenze di questo evento si stanno rivelando sempre più profonde e diffuse. Un simile scenario, non certo sconosciuto anche nel nostro paese, è stato descritto dal bollettino economico diffuso l’altro ieri dalla Banca Centrale Europea (BCE) in cui è stata confermata l’esistenza di una«contrazione senza precedenti dell’economia mondiale nel primo semestre del 2020. Anche in questa sede sono stati intravisti segnali di un’inversione di tendenza che non vanno sopravvalutati. La ripresa, ha sostenuto la BCE, sarà lenta e incerta, perché legata l’andamento dell’epidemia in corso. Ciò condizionerà anche i comportamenti dei consumatori che, come accade in queste circostanze, preferiscono risparmiare e non spendere. Il recupero dei consumi sarà “lento e fragile” e, così, condizionerà il rimbalzo che il PIL potrà avere nei prossimi anni. Ci sarà, ma sarà insufficiente per recuperare i livelli di prima della pandemia.
I dati dell’ISTAT hanno dunque registrato una diminuzione del valore aggiunto in tutti i comparti produttivi, primario, secondario. è interessante osservare quali sono i comportati che vanno meglio e peggio. Per quanto riguarda i primi si parla di un vero e proprio boom nel settore del commercio eletronico: l’aumento delle vendite è stato del 53,5% su base annua. Aumenta il settore dell’informatica, telecomunicazioni, telefonia (+15,1%), quello dei mobili, articoli tessili e arredamento (+10,4%). Le flessioni più marcate si evidenziano per calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-12,8%) e abbigliamento e pellicceria (-12,3%). Calano i settori della grande distribuzione con l’1,8%. Le vendite al di fuori dei negozi calano del 5,9%.
Per il ministro dell’economia Roberto Gualtieri le stime dell’ISTAT «indicano una flessione meno grave di quanto atteso dalla maggior parte delle previsioni (la stima media era di un ribasso superiore al 15%)». Questo giudizio sarebbe confermato dall’andamento delle vendite al dettaglio. In realtà i dati mostrano la prevalenza del settore elettronico, segno che la crisi sta facendo bene al capitalismo delle piattaforme digitali. Per Gualtieri è invece il segno della «solidità degli interventi messi in campo dal governo». La controprova arriverà già dall’autunno. L’analisi andrà ricordata nel 2021. Potrebbe essere diversa.
ROBERTO CICCARELLI
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