Nemmeno ventiquattro ore fa si poteva scrivere, senza particolari doti di preveggenza, che la protesta vaticana inviata al governo italiano sul DDL Zan avrebbe finito per inquinare il dibattito parlamentare. E così è stato.
Anche se le dichiarazioni di mezzo (ma giusto mezzo) mondo politico e quelle più autorevolmente istituzionali hanno inteso difendere l’indipendenza del nostro Paese e la sovranità del Parlamento della Repubblica su tutto ciò che riguarda i cittadini italiani, il cardinale Ruini ha rincarato la dose asserendo che non si tratta di ingerenza vaticana, bensì di un dovere che ha la Chiesa verso i fedeli.
Un dovere di tutela del pensiero, dell’integrità morale dei cattolici che – a detta degli alti prelati pontifici – sarebbero minacciati dalla Legge Zan. La richiesta di discussione in merito riguarderebbe essenzialmente la disposizione prevista dalla Legge Zan per le scuole di organizzare, nella Giornata contro l’omo-transfobia, delle attività a tema, per sensibilizzare ragazze e ragazzi, per evitare magari episodi di discriminazione, di bullizzazione, di vera e propria violenza.
La Chiesa cattolica apostolica romana ritiene tutto ciò disdicevole perché contrasterebbe con la dottrina, con l’insegnamento delle e nelle loro scuole private che percepiscono dallo Stato italiano fior fior di soldi ogni anno. Soldi pubblici che il Vaticano si guarda bene dal rifiutare, nonostante siano di tutti i cittadini, agnostici, atei e credenti non cattolici compresi.
E’ la prima volta, a memoria, che la Curia romana apre un fronte di questa portata con l’Italia negli ultimi venti, trent’anni. Probabilmente uno scontro simile è paragonabile ai tempi del referendum sull’aborto, quando il Paese si spaccò letteralmente in due, con discussioni che coinvolsero ogni ambito sociale e familiare.
E’ sempre stato un bene per la democrazia che si determinassero dibattiti così draconianamente aspri e netti nel sostengo delle reciproche posizioni. Il livello culturale della popolazione, soprattutto quella coinvolta politicamente, è cresciuto proprio grazie a grandi temi messi all’ordine del giorno da una agenda politica che stava ricostruendo le basi civili e anche morali di una nazione fatta a pezzi dall’autoritarismo ultraventennale fascista.
Dunque, i tentativi di intromissione nelle questioni riguardanti la vita degli italiani, regolamentate dalle istituzioni repubblicane, da parte del Vaticano non sono una novità ma non per questo devono essere vissute con leggerezza, pensando che la nostra “modernità” di pensiero ci preservi in qualche modo da quello che un tempo si sarebbe definito come “oscurantismo clericale“.
Fin dai tempi di don Sturzo, pur in un rapporto non sempre lineare e condiviso con le gerarchie ecclesiastiche, gli italiani cattolici hanno provato a rimettere nel circolo istituzionale tutto ciò che fosse possibile inserire per fare dell’Italia un Paese in cui il tema della laicità fosse quanto meno marginale e marginalizzato: nel nome della bimillenaria tradizione e cultura crisitana, nel riferimento a Roma come città di imperatori e papi.
I Patti Lateranensi prima e la loro revisione con gli Accordi di Villa Madama poi (per intenderci quelli firmati da Bettino Craxi e dal cardinale Agostino Casaroli), hanno rappresentato un doppio tentativo di regolamentazione dei rapporti tra la Repubblica Italaina e lo Stato della Città del Vaticano rifacendosi tanto al principio cavouriano del «Libera Chiesa in libero Stato» quanto ad un più stretto pragmatismo dettato dall’evolvere dei tempi e delle contigenze: compresi i rapporti internazionali del nostro Paese ed anche quelli della Santa Sede.
La sancita “libera organizzazione ecclesiastica in Italia“, all’articolo 3 del testo di revisione del Concordato, comprende una serie di tutele e di reciproci rispetti che investono tanto l’ambito religiosamente o laicamente spirituale di ognuno di noi quanto la vera e propria espressione materiali degli atti che sono volti a proteggere da un lato i culti mediante cui esprimere la propria fede e, dall’altro, il carattere a-confessionale della Repubblica.
Il patto costituzionale post-bellico, nel considerare il rapporto con gli enti religiosi e i loro culti, non si ferma al tanto citato “articolo 7“, ma prosegue nel successivo che, a ben vedere, è molto più importante del precedente, visto che tratta dei rapporti tra la Repubblica e i culti religiosi, dei rapporti vicendevoli e dei rapporti degli “altri culti” con quello cattolico verso il quale esiste una attenzione specifica che i Costituenti hanno incluso in una eguale disposizione davanti allo Stato italiano.
L’uguaglianza è alla base del dettato costituzionale. Siccome il nostro punto di riferimento è la Carta del 1948, non certo il diritto canonico, è evidente che ogni osservazione fatta dai rappresentanti dei culti religiosi va tenuta in considerazione: ma non può essere di ostacolo alla libera legislazione da parte del Parlamento che ha già in sé tutti gli strumenti necessari per esprimersi e la delega popolare per poterlo fare pienamente.
Il cardinale Ruini fa il suo mestiere, così come lo fa il papa: asserire che con l’entrata in vigore della Legge Zan verrebbe intaccato il diritto di espressione dei cattolici o il loro libero arbitrio organizzativo, altro non è se non un pretesto tutto politico che strumentalizza non soltanto la morale laica del nostro Paese, ma punta perniciosamente a sopraelevare il mondo cattolico rispetto agli altri culti e ad imporre, ennesimamente, l’etica vaticana come l’unica “naturale” affiancabile (si fa per dire) a quella dello Stato.
L’indignazione è giusta e va accompagna alla richiesta politica non di rivedere, bensì di abolire definitivamente il Concordato che è sempre più un evidente anacronismo, peraltro onerosissimo per la Repubblica: 3 miliardi circa di soldi pubblici italiani vanno alle casse del Vaticano ogni anno. Per rendere efficacemente l’idea di ciò, basti pensare che l’Italia paga persino le utenze classiche di gas, acqua e luce usufruite dalla Santa Sede che, a ben vedere, non è uno Stato povero, che ha ingenti risorse e che è coinvolta in scandali finanziari e in giri di affari denunciati da “Report” con una circostanzialità di cronaca giornalsitica esemplare in una ormai celebre inchiesta: “Lo sterco del diavolo“.
Vedi il video dell’UAAR: “Concordato, non con me: 92 anni di danni“
Insomma, le contraddizioni del mondo cattolico, nel mondo cattolico stesso, sono tante e tali che l’ipotesi dell’esistenza del dio descritto dagli esseri umani è l’ambito di discussione più stimolante e felice che si possa trovare. La questione posta sulla Legge Zan ha un solo tratto positivo: aver riaperto in queste ore la ultrasecolare questione dei rapporti tra Stato e Chiesa che vanno adeguati ai tempi e che, guardando ad una vera realizzazione della laicità nella Repubblica, non possono non concludersi con la fine di un rapporto perverso inaugurato dal fascismo e troppe volte esaltato come una grande conquista di civiltà.
Per garantire al suo movimento quel consenso pontificio che molti altri tiranni avevano cercato nel corso della storia (il primo che viene alla mente, ripercorrendo la storia risorgimentale, è Napoleone III), Mussolini ha fatto strame di quel poco di equidistanza dal cattolicesimo temporale che si era naturalmente creata con la fine dello Stato della Chiesa, con Roma capitale del Regno d’Italia e la scomunica papale ai Savoia e a tutto l’apparato dello Stato.
Il Concordato non è una pagina di eccellenza della storia del nostro Paese: è una pagina veramente ingloriosa, una abdicazione anche soltanto di princìpi liberali a teorizzazioni religiose e confessionali dei rapporti civili e sociali. Considerando che Mussolini era ateo, ciò dimostra quanto opportunismo vi fosse in quell’accordo che istituiva, oltre tutto, l’attuale Stato della Città del Vaticano.
La “questione romana” non è mai veramenta stata completamente risolta. Anzi: è tutt’ora più che aperta. E’ spalancata sul futuro.
MARCO SFERINI
23 giugno 2021
foto: screenshot