Arrivati a un passo dall’abisso, vicini a una rottura sulla prescrizione che sul Colle viene considerata assurda e improbabile ma non impossibile, Sergio Mattarella ha usato la sola arma a disposizione per intervenire sulla situazione senza esorbitare neppure in minima misura dalle proprie prerogative istituzionali. Ha fatto filtrare voci informate sulla sua indisponibilità a tentare l’azzardo di nuove maggioranze a fronte di una eventuale crisi. È possibile, anzi probabile, che non si sia limitato a inviare segnali indiretti ma abbia trovato modo di mettere al corrente della situazione direttamente Renzi, ben sapendo che solo il rischio di arrivare a elezioni che in questo momento sono l’ultimo dei suoi desideri può spingerlo alla resa di fronte alla rigidità di Bonafede e dei 5S.
Il problema, ritiene il capo dello Stato, non riguarda la legittimità di una maggioranza alternativa o del parlamento dopo il probabile passaggio del taglio dei parlamentari. La legittimità ci sarebbe tutta. Ma l’opportunità è un’altra cosa. Per quella sarebbe necessario mettere in campo una maggioranza solida, con garanzie di tenuta, non raccogliticcia. Insomma qualcosa di molto diverso dalla maggioranza rappezzata, con pezzi di Forza Italia e aree del M5S, che ha in mente Renzi. Certo, se a proporre un nuovo governo di unità nazionale fossero Salvini e Zingaretti il capo dello Stato non potrebbe dire niente. Se fosse l’intero centrodestra più Italia viva, ipotesi che gode di larga circolazione ma che è in realtà quasi surreale, non potrebbe chiudere il discorso senza approfondire. Ma di fronte a una maggioranza Frankenstein assicura che lo farebbe, mancando le condizioni minime di stabilità garantita.
Era la sola carta che il Colle poteva giocare con un Renzi che non ha mai nascosto l’intenzione di liberarsi di Conte il prima possibile e che vede ora l’occasione perfetta per farlo e per accreditarsi come nuovo leader dell’elettorato ex azzurro. Mattarella la ha giocata, sia pure con tutta la prudenza e l’attenzione istituzionale che lo caratterizzano. Però, almeno sino al vertice di ieri sera, il colpo sembra essere andato a vuoto. Renzi conferma l’intenzione di strappare senza un cedimento di Bonafede almeno sul rinvio di un anno della sua legge. Non è che gli sia passata la paura di un esiziale voto anticipato. Però l’ex premier è convinto che questo parlamento, pur di non andare a casa e pur di non dover affrontare elezioni che sarebbero per tutta la maggioranza e non solo per Iv un disastro, una soluzione sarà costretto a trovarla. È una scommessa e un azzardo, ma se c’è una cosa che nessuno può negare a Renzi è il coraggio e la politica lui l’ha sempre intesa anche come gioco d’azzardo.
Gli elementi su cui conta ci sono davvero. Non si limitano al panico diffuso da urne aperte. Nei corridoi delle camere viene ormai dato per quasi certo che in aprile i 5S arriveranno a una spaccatura anche formale, si divideranno in forze politiche diverse. Lo stesso irrigidimento su vitalizi e prescrizione di due leader che sono in realtà schieratissime a favore dell’intesa col Pd, Roberta Lombardi e Paola Taverna, indica soprattutto che, in presenza di un corposo rischio di scissione, quell’area non può lasciare agli autonomisti la palma di chi difende sul serio le bandiere storiche dei 5S.
Una scissione del Movimento sarebbe di per sé uno tsunami. Costringerebbe a ripensare per intero la maggioranza, nella quale a quel punto entrerebbe di certo una parte di Fi. Con questo quadro di fronte, Renzi, anche dopo l’intervento del Colle, pare rimasto pronto a giocarsi tutto.
ANDREA COLOMBO
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