Fu nella notte dell’11 settembre del 1943 che arrivarono sul lago Maggiore le prime compagnie della divisione corazzata denominata «Leibstandarte – SS Adolf Hitler» (Guardia del corpo di Adolf Hitler).
Un reparto d’élite, formato esclusivamente da volontari selezionati sulla base della fedeltà ideologica e della prestanza fisica, il cui compito era di occupare le zone di confine tra l’Italia e la Svizzera, dopo l’armistizio dell’8 settembre, soprattutto per impedire la fuga di soldati italiani.
La divisione proveniva direttamente dal fronte russo dove aveva subito perdite notevoli ma si era anche distinta per la ferocia nelle rappresaglie. A Geigova nel 1942, nella zona di Kherson, aveva sterminato ben quattromila prigionieri per vendicare la morte di quattro soldati tedeschi.
In quei mesi i paesi del lago Maggiore erano affollati di milanesi che cercavano riparo dai bombardamenti, ma anche da molti ebrei, provenienti da diverse parti d’Europa, che tentavano di sottrarsi alle deportazioni di massa nei campi di sterminio.
Fu qui, tra il 15 settembre e l’11 ottobre del 1943, che si compì la strage. Sulla sponda occidentale del lago Maggiore, tra Arona, Meina, Baveno, Stresa, Intra, Mergozzo, Orta e Pian di Nava. Almeno 54 le vittime. Ebrei non solamente italiani, ma anche ungheresi, polacchi, greci e bulgari, che cercavano una via per salvarsi, per raggiungere la Svizzera, in quei giorni spesso con le frontiere sbarrate.
Gli ordini di Himmler
Quella del lago Maggiore fu la prima strage di ebrei commessa da tedeschi in Italia. Le formazioni delle SS li rastrellarono nelle case e negli alberghi, assassinandoli poi con un colpo d’arma da fuoco alla nuca o affogandoli di notte. Torture e stupri precedettero spesso l’esecuzione. Molti dei corpi non furono nemmeno più ritrovati. Altri corpi delle vittime, riaffiorati dalle acque, furono lungamente forati con le baionette e nuovamente inabissati con pesanti pietre. A Intra i cadaveri di una famiglia di quattro persone furono smembrati e bruciati in una stufa.
Particolare orrore suscitò la fine di 16 ebrei, alcuni giovanissimi, originari di Salonicco, trattenuti per una settimana all’hotel Meina, in una stanza all’ultimo piano.
Passarono il 23 settembre a gesticolare dalle finestre che davano sulla piazza della cittadina. La popolazione si limitò a osservarli impotente, fino a quando sparirono, di notte, gettati nel lago e storditi a colpi di remo.
Tutte le vittime furono depredate dei loro averi, così le case e le ville, anche degli ebrei che, avvisati per tempo, riuscirono a mettersi in salvo.
Già dal 12 settembre Heinrich Himmler, il capo supremo delle SS, aveva dato incarico al plenipotenziario del Reich nel nostro Paese, l’ambasciatore a Roma Rudolf Rhan, di procedere alla “soluzione finale” anche in Italia.
Il compito fu enormemente facilitato dall’utilizzo delle liste, predisposte con le leggi razziali del 1938, raccolte in ben quattro diversi tipi di archivio: nei registri dei Comuni, in quelli dei precettati per il lavoro civile, nelle liste politiche della polizia, presso l’ufficio Demografia e Razza.
Il processo
Nel gennaio del 1968 a Osnabrück, in Sassonia, iniziò un processo contro alcuni ufficiali della “Leibstandarte Adolf Hitler”, per la strage del lago Maggiore. Il procedimento, originato da un’iniziativa del governo federale tedesco, si protrasse per 61 udienze, mentre ben 180 furono i testimoni ascoltati. Si riuscì anche ad appurare che tutti i documenti in possesso dei nazisti erano stati deliberatamente distrutti.
Alla fine tre ufficiali furono condannati all’ergastolo, ma solo due anni dopo, nel 1970, la Corte Suprema di Berlino annullò la sentenza, sostenendo la prescrizione dei reati.
Ammazzare, con l’unica motivazione dell’odio razziale, uomini inermi, donne, vecchi e bambini, fu derubricato a semplice atto di guerra.
La memoria
Con l’eccidio di Boves, in provincia di Cuneo, del 19 settembre 1943 (350 le case incendiate e 25 le persone massacrate, alcune arse vive), la strage sul lago Maggiore anticipò i caratteri dell’occupazione nazista dell’Italia. Pochissimi gli studi su quest’ultima. Hotel Meina. La prima strage di ebrei in Italia di Marco Nozza (Mondadori) risale al 1993, poi rieditato nel 2005 e nel 2008 (da Il Saggiatore). Anni dopo, nel 2003 furono pubblicati gli atti di un convegno La strage dimenticata. Meina settembre 1943, il primo eccidio di ebrei in Italia (Interlinea Edizioni) con la testimonianza di Becky Behar, figlia del proprietario dell’Hotel Meina, sopravissuta alla strage. Nel 2007 uscì anche, nelle sale cinematografiche, Hotel Meina di Carlo Lizzani, il suo ultimo film. Quasi un lascito.
L’albergo non c’è più e a ricordare l’eccidio oggi sono visibili sul lungolago, attorno a una pietra doppia che riporta le circostanze della morte, 16 pietre d’inciampo.
SAVERIO FERRARI
foto tratta da Pixabay