La prepotenza dell’übercapitalism: lo Stato servo del mercato

Le elezioni le ha vinte Donald Trump, il governo americano lo ha vinto Elon Musk. Giorno dopo giorno, mentre ci si allontana dalla data del 5 novembre, l’opacizzazione della...

Le elezioni le ha vinte Donald Trump, il governo americano lo ha vinto Elon Musk. Giorno dopo giorno, mentre ci si allontana dalla data del 5 novembre, l’opacizzazione della troppa vicinanza ai fatti elettorali si rarefà e si mette meglio a fuoco ciò che è avvenuto in America: rispetto a cinque alla sua prima elezione, l’ex e futuro nuovo Presidente degli Stati Uniti ha guadagnato “soltanto” mezzo milione di voti. Ma Kamala Harris, rispetto a Joe Biden, ne ha persi dieci di milioni di consensi. Elettori che avrebbero potuto andare alle urne e che non l’hanno fatto.

Ma il travaso di voti da una all’altra parte dello schema bipolare statunitense non si è concretizzato, non ha preso forma prima nei sondaggi e nemmeno dopo nel voto popolare e nell’assegnazione successiva dei grandi elettori. Quindi è andata in frantumi la capacità dei democratici di essere percepiti come diretta espressione politica della middle quanto della working class. E si è rotto il giocattolo dell’incantamento tra sinistra liberale (e liberista) e bisogni, diritti, frustrazioni di almeno un terzo della popolazione che vive nella sopravvivenza della crescente indigenza.

Paradossale, ma nemmeno tanto, è poi il fatto che i peggiori complottisti rintracciabili su piazza, tutti elettori convintissimi del duo Trump-Vance, conservatori, membri delle lobbies delle armi, della sicurezza fai da te, del complesso paraideologico sintetizzato nell’acronimo del movimento che spinge il trumpismo verso le vette più elevate della sua parabola storica, il MAGA, sono disposti ad applaudire uno di coloro che rientra nella cerchia dei “controllori” del mondo, oltre le dinamiche statali, oltre la sovranità del popolo: il miliardarissimo per eccellenza Elon Musk.

La triade è perfetta: Trump governa, Musk tira i fili degli interessi delle sue grandi aziende che hanno decine, centinaia di altre industrie che collaborano con lui e “referenti” ovunque. Anche in Italia. A sentirne le dichiarazioni sembrano somigliare più a degli ambasciatori di qualche Stato-virtuale; salvo poi ricordarsi che, tra qualche settimana, il miliardarissimo sarà nella compagine di governo a stelle e strisce e, quindi, anche questa terzietà verrà meno nel quadro, opportunamente citato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in risposta ai tweet del magnate sui nostri giudici, delle reciproche relazioni tra Stati sovrani.

In realtà, siamo soltanto alle premesse di una generale, intenzionale, coscientissima confusione di ruoli che permetta lo sdoganamento del tutto per tutto, oltre quello che un tempo si poteva chiamare “galateo istituzionale” e che, se proprio non era la garanzia del rispetto della sostanza, quanto meno salvaguardava la forma delle relazioni tra governi, capi di Stato, paesi, nazioni e popoli. La destra moderna, altamente ispirata da un linguaggi muscolarissimo, mascellare, pieno di insulti più o meno marcati, sta riscrivendo anche le regole del comportamento.

Quindi siamo davanti ad una fase di riconsiderazione anche dei rapporti politici, ma soprattutto di ridefinizione dei rapporti sociali in nome di una cultura della prepotenza, della prevaricazione, dell’alzamento dei toni: come se la voce più alta dovesse avere ragione a prescindere, proprio perché riesce a farsi sentire al di sopra delle altre e a soffocarne il più elementare diritto di pari espressione, anche solamente – e sarebbe già un ribasso grave – di tribuna in mezzo ai colossi della disinformazione e dell’omologazione sistemica a quelle che vengono definite le “narrazioni mainstream“.

Musk bacchetta i giudici italiani, li definisce parte di una autocrazia che, quindi, nel non avere il consenso popolare (poiché non sono eletti, a differenza della maggioranza meloniana sua amica), dovrebbero andarsene. Tenore diverso ma non meno grave nei confronti della ONG “Sea Watch” che scruta il Mediterraneo per salvare i migranti che lo attraversano sui barchini e sui gommoni: «È un’organizzazione criminale». Spontanee verrebbero due considerazioni, tutt’altro che retoriche: chi ha eletto Musk? Chi gli consente di ingerire nelle questioni della Repubblica italiana?

E ancora: è più criminale chi salva vite umane nel mare o chi sfrutta il lavoro altrui per arricchirsi ad una dismisura tale da far impallidire il PIL di intere nazioni, se non di interi continenti? La risposta dovrebbe essere scontata, ma, in realtà, non lo è affatto visto che MAGA, sovranisti, populisti e destre di ogni tipo raccolgono consensi al di qua e al di là dell’oceano in numero tale da avere il potere politico per cambiare il quadro complessivo della scena globale. Se non è una vittoria totale della teorizzazione ultraliberista degli anni Settanta del Novecento sullo Stato completamente al servizio del capitale, poco ci manca.

Siamo, oggettivamente, ad un nuovo punto di involuzione antisociale e di evoluzione privatistica e monopolistica di una globalizzazione che, tuttavia, non risponde più ad un unipolarismo post-Guerra fredda, ma ad un multipolarismo in cui la quadra per la stabilità è molto al di qua dall’essere concretamente trovata. Le esternazioni di Musk sono, quindi, un antipasto del pantagruelico divoramento delle tutele civili, sociali, umane proprie del compromesso interpretato dalle democrazie liberali tra mondo dell’impresa e mondo del lavoro.

Il Presidente Mattarella interviene con sobrietà e rigore al tempo stesso, rimarca i confini dello Stato di diritto, dello Stato appunto democratico e civile, di una sovranità che non può essere travalicata dalla potenza delle multinazionali che si pensano, del resto, per quello che sono: la struttura su cui si erige tutto il resto della società. Stati, governi, istituzioni comprese. Però, esiste un limite che persino il capitalismo ha provato a rispettare nel corso della sua storia: quella “pace sociale” complice dello sviluppo produttivo, dell’aumento esponenziale dei profitti a discapito dei salariati.

Trump, Vance, Musk, Orbán, Milei e altri pessimi elementi dell’ultra destra di governo non nascondono di mettere al primo posto delle loro agende di governo la rimodulazione dei rapporti tra impresa e amministrazione pubblica, per favorire ancora di più gli interessi privati e ridimensionare la spesa pubblica al punto tale da esacerbare la lotta per la sopravvivenza tra gli indigenti, abbassando ancora di più i salari, aumentando il livello di concorrenza sleale e di scontro nella classe degli sfruttati. Prima di ogni altra esigenza viene l’aziendalizzazione dello Stato, totalmente al servizio del capitale.

Trump ha una delega popolare ad esercitare il governo degli Stati Uniti. Musk ha un potere che non scade dopo quattro anni, salvo un tracollo finanziario che, proprio assicurandosi il beneplacito della Casa Bianca, intende mantenere in un rapporto di esclusiva reciprocità. E per questo può permettersi di dire e fare tutto ciò che vuole, senza che il governo italiano abbia da rispondergli parimenti a come fatto dal Capo dello Stato. Salvo qualche dichiarazione di prammatica, nessuno dice a Musk di stare al suo posto, tranne il Quirinale.

Anzi, applausi sperticati gli arrivano dai suoi sostenitori neonazionalisti della Lega. Così mentre Mattarella prova a difendere l’indipendenza dell’Italia dalle ingerenze muskiane, Salvini diffonde sui social queste parole: «Quella di Musk non è una interferenza perché da New York ha dato una valutazione come fanno tanti americani da una parte e dall’altra». Trascurando il fatto che si tratta dell’uomo più ricco del mondo e non di uno dei tanti statunitensi presi a caso a cui viene chiesto che ne pensa della giustizia italiana. Musk viene in soccorso di Giorgia Meloni che non può esprimersi in quei termini, ma che certamente condivide molto di più le parole del miliardarissimo rispetto a quelle del Presidente della Repubblica.

Se non fosse così, sarebbe quanto meno sorprendente. Il silenzio della Presidente del Consiglio induce a pensare, quindi, che sia proprio così e che il copione d’ora in poi sarà questo: Meloni media tra interessi europei e partenariato nordatlantico per l’Italia, mentre altri intervengono per dare la linea extra-istituzionale al popolo che la segue e che pensa stia facendo gli interessi del Paese. Di una parte del Paese, certamente. Ma di quella parte sempre più piccola che ha sempre maggiori ricchezze per le mani e nei conti correnti aperti al di là delle Alpi.

Progetto muskiano è, entro i confini della Repubblica stellata, quello di depotenziare le agenzie statali che controllano le aziende e che dovrebbero controbilanciare gli eccessi di quello che, tra gli altri, Bernie Sanders ha definito l’übercapitalism come fase ulteriore di acutizzazione dei processi antisociali del sistema capitalistico in un contesto di completa deregolamentazione per il mondo delle imprese, defiscalizzazione accelerata e consapevole sottostima delle esigenze del moderno, articolato mondo del lavoro statunitense. Il MAGA, quindi, ha il suo triumvirato: Trump al vertice del governo, Vance come allievo che supererà il maestro e Musk che sovraintende.

Gli americani sono sono consegnati nelle mani di un trittico che intende subordinare democrazia e valori fondamentali dell’uomo e del cittadino alle priorità del mercato, rendendo il tutto una variabile dipendente dell’andamento azionistico delle enormi industrie del big-tech, del GAFAM (altro acronimo che mette insieme le più importanti multinazionali delle comunicazioni e delle vendite tramite Internet), così come di quelle che producono auto, satelliti, carri armati, armi di ogni tipo e che trasformano le materie prime sottratte ai paesi più poveri del pianeta, lasciati in uno stato di inedia irrefrenabile.

Può mai importare a questi capitalisti il valore della democrazia che è sinonimo di civilizzazione, di equilibrio tra i poteri, di dialogo e di interazione e rispetto, di compromesso tra pubblico e privato? La risposta è, qui sì, retorica: ovviamente no. Perché i veri interessi dell’umanità, quelli che la farebbero uscire da un sistema di deprivazione dei beni essenziali e di neopauperismo, dalla crisi economica quanto dalla gravissima crisi ambientale, sono letteralmente opposti a quelli di Musk come di altri ipermiliardari globali.

La difesa della democrazia sostanziale passa soltanto attraverso una presa di coscienza sociale, di una critica altrettanto tale e di una rivolta che non potrà sempre essere pacifica: perché la violenza dell’übercapitalism è sistemica, ogni giorno uccide milioni di persone con fame, guerre, disastri ambientali provocati dall’inquinamento, dalle farse delle conferenze mondiali per la riduzione delle emissioni, dallo sfruttamento di tutte le risorse naturali e di ogni essere vivente e senziente che si trovi a tentare di vivere su questo pianeta senza possedere le risorse dei paperonissimi.

Urge una reazione davvero rivoluzionaria internazionale e locale al contempo. Fermare le destre, aprire nuove contraddizioni nei campi progressisti e portare avanti dinamiche di lotta e di critica che rimettano al centro il conflitto tra capitale e lavoro, tra capitale e ambiente, tra capitale e diritti tutti. Qui sta l’u-topos del momento, effetto di eccessive propensioni governiste da un lato e di torsioni ipersettarie dall’altro. Il socialismo del nuovo millennio o riparte da qui o non ha speranze di essere la salvezza degli oltre due miliardi e mezzo di salariati e di tutti gli sfruttati di questo “meraviglioso” mondo moderno…

MARCO SFERINI

14 novembre 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

categorie
Marco Sferini

altri articoli