La strumentalizzazione dei fatti di cronaca non dovrebbe essere, ed infatti non è, una novità. Tipico esercizio di una politica dell’esasperazione degli animi, volto ad esacerbare tutti quei sottili nervi di confine tra la capacità di discernimento delle cause e l’analisi successiva degli effetti.
Sta lì l’insidia, proprio in mezzo al rapporto tra motivazioni di un gesto e il gesto stesso, tra “atto e azione“, per citare il CB nazionale impropriamente (ne chiediamo venia posticipatamente, ormai…), un punto debole probabilmente, sfruttato con abilità dal lato cinico della politica che tutto cannibalizza e tutto introita per poter eccellere nella raccolta dei consensi facili, quelli che, per l’appunto, non hanno bisogno di tante elucubrazioni per diventare voti certi, ma che abbisognano soltanto di qualche frase urlata, ad effetto e che sono, visto l’avanzato stato di incultura del Paese, la maggioranza relativa (si spera, almeno questa) degli aventi diritto a recarsi alle urne.
Siccome questa volta non è possibile gridare al migrante assassino, si punta sulla “sicurezza” nella capitale, su presunti spacci di droga… Qualche elemento per generare un vortice di commenti con alla sola base delle mere illazioni, si trova sempre.
Del resto, l’arte della propaganda, quella sapientemente distorta e volutamente schierata come arma di distrazione di massa, protesi di una politica fatta di menzogne dall’inizio alla fine del proprio abbecedario, ha un lunghissimo corso di esperienze che insegnano e che possono istruire qualunque nuovo cattivo maestro.
Ma il cattivo maestro può anche non essere identificabile in una unica persona, in un genio della mistificazione come Goebbels, tanto per citare la punta estrema cui è giunta nel Novecento la simbiosi tra estremizzazione verbale e progetto politico criminale: il cattivo maestro può assumere tranquillamente le sembianze di un collettivo, di una sorta di spontaneismo di pseudo-massa che invade le strade di piccoli comuni della Repubblica al sentore di un duplice, feroce omicidio nelle valli piemontesi, tanto tempo fa.
Sobillati da forze politiche allora secessioniste, gli abitanti del paesino presero le fiaccole e fecero una marcia anti-extracomunitari (allora il termine “migrante” non era in voga: oggi è più elegante come definizione, così come è elegante lasciare affogare in mare degli esseri umani nel nome della sicurezza nazionale, dell’orgoglio patriottico, del privilegio dei diritti riservati agli autoctoni).
Poi, nemmeno ventiquattro ore dopo la scoperta dell’atroce duplice omicidio, si venne a sapere che a compierlo erano stati la figlia della vittima e il suo fidanzatino. Tutto il paesino sussultò, l’Italia intera si espresse in gemiti e sguardi orrorifici, ma dimenticò presto di aver già lapidato altri per quel delitto e di averlo fatto pregiudizialmente, con una condanna preventiva: non si sa mai… chi volete potesse mai commettere quel turpe delitto? Potevano mai dei nostri similissimi (connazionali, leggasi…) essere capaci di tanto?
Sì, potevano. Uno shock simile a quello che gli psicologi americani ebbero quando, nell’interrogare i gerarchi nazisti a Norimberga, scoprirono che non esisteva alcuna patologia comune tra Goering, Doenitz, Keitel, Jodl e Speer. Nemmeno tra Kaltenbrunner e Hess che pure parevano quelli affetti da nervosismi del tutto evidenti. E allora ne convennero che si trovavano innanzi ad uomini tali e quali loro stessi che li stavano esaminando e che il grande dramma nazista sull’Europa e sul mondo era stato provocato da esseri umani e non da esseri umani modificati geneticamente da qualche possessione demoniaca.
Lo ripeté anche Anna Harendt e scandalizzò milioni di ebrei asserendo che Adolf Heichmann altro non era che un uomo privo di empatia, al pari di Himmler, con una sola ossessione: compiere adeguatamente il lavoro per cui era stato scelto, con precisione e meticolosità ineccepibili.
La propaganda di allora fece tutto il resto nel presentare alle nazioni dei nemici che non erano tali e delle cause false del tracollo economico teutonico dopo la prima guerra mondiale: false poiché attribuite a persone che avevano un ruolo nella produzione della ricchezza, ma che erano anch’esse inserite negli effetti devastanti del periodo postbellico.
Ma è molto facile credere alla più vuota banalità piuttosto che alla concretezza di un ragionamento fondato su cifre, dati, fatti evidenti. Purtroppo l’evidenza, in questi casi, è la prima vittima e, al tempo stesso, la prima clava da impugnare per picchiare forte contro chi cerca di allargare le maglie della consapevolezza comune, del “senso comune“, della cosiddetta “opinione pubblica“.
L’omicidio del ragazzo venticinquenne a Roma è solo l’ultimo (ma non sarà l’ultimo…) episodio di una interminabile sequela di esercizi retorici di una politica priva di scrupoli, fatta di volgari aspirazioni al potere tramite sensazionalismi conditi da un cinismo esasperato all’ennesima potenza.
Non chiedetevi come tutto questo sia possibile: chiedetevi semmai come tutto questo sia evitabile, contenibile in un minoritarismo che, per essere tale, esige una rialfabetizzazione di massa, un riappropriarsi della cultura sociale, civile di un Paese la cui moralità è spesso messa in dubbio. Non soltanto per il diffuso costume dell’utilizzo delle regole solo e fino a quando non intaccano i nostri privatissimi interessi, ma soprattutto per la facilità con cui, proprio in virtù di un semplicismo disarmante, gran parte della popolazione è pronta a salire sul carro del vincitore ad ogni propizia occasione.
Bisogna dare atto, nella storia di altre nazioni, che questo è un fenomeno tristemente tipico del nostro amato, contraddittorio, e pur sempre Bel Paese.
Finché siamo in tempo, leggiamo, spremiamo le meningi e proviamo a capire. Basta fermarsi sulla soglia dei pensieri.
MARCO SFERINI
26 ottobre 2019
foto tratta da Pixabay