Qualunque impegno internazionale di un qualunque capo di governo (e di Stato in questo caso) finisce con l’avere una connessione implicita con le questioni che riguardano internamente il proprio paese.
E’ così, irrimediabilmente, anche per la Francia e per Macron che visita Xi Jinping, che si propone come mediatore per l’apertura di un canale diplomatico-telefonico tra Pechino e Kiev e che, nel mentre, prospetta un ruolo da “terzo polo” per un’Europa che valuta troppo condiscendente e subalterna agli Stati Uniti d’America.
L’affermazione è tanto intempestiva quanto spropositata: avviene in un momento in cui la diplomazia registra il suo minimo storico e, soprattutto, in una Europa che – caso mai il presidente francese non se ne fosse avveduto – è assolutamente schierata, senza se e senza ma, con la linea atlantista e, quindi, con quella dettata da Washington.
Macron può anche provare a smarcare la Francia, in un momento in cui per l’appunto internamente per lui le cose non vanno proprio bene, da un quadro di alleanze europee viste come troppo intransigenti soprattutto sul piano economico, dalla parte di un liberismo feroce che intende favorirsi colpendo principalmente i ceti meno tutelati, lasciando intoccabili quelli abbienti e privilegiati; ma non può pensare di far credere ai francesi, e nemmeno a noi a dire il vero…, che all’improvviso si è scoperto altro dal polo occidentale, da quello che fa la guerra per procura e sostiene una economia letteralmente di guerra.
La sopravvalutazione dell’ingenuità popolare è un primo errore clamoroso, se di errore si tratta, da parte di Macron. La tattica con cui vuole mettere in pratica una strategia forse di più lungo corso (ha parlato di anni e anni per creare quell’Europa autonoma e indipendente dai desiderata statunitensi…) è il secondo errore e non meno eclatante rispetto al primo: la Germania non segue la Francia in questa avventura diplomatica, in questa ricerca di un ruolo interdipendente tra i poli del capitalismo mondiale, tra ovest ed est, tra USA e l’asse dei BRICS.
In una specie di perfetta solitudine, che sembra essersi dato per superare il difficilissimo momento nazionale che riguarda la controriforma pensionistica e il movimento di protesta antiliberista che dilaga ben oltre la rivendicazione del ritiro dal lavoro a 60 anni di età, Emmanuel Macron fa una mossa azzardata, pure imprevista: la fa mentre l’Ucraina si rivolge all’India e ad una serie di cosiddetti “paesi non allineati” nel conflitto per superare una fase di difficoltà manifesta.
La fa mentre i cinesi sono in assetto sempre più di guerra attorno a Taiwan, mentre gli Stati Uniti dispiegano le loro forze navali e provocano la reazione di Pechino. Il gioco si fa molto, molto pericoloso e assume i contorni veri di una guerra mondiale, al momento sfalsata per piani e per tempi, ma il rischio che tutto questo subisca una profonda accelerazione e si allineino tanto gli interessi diversi quanto i tatticismi comuni, più che altro legati dalla legge del “nemico del mio nemico“, c’è.
L’Europa a guida von der Leyen è rigorosamente subordinata ad un liberismo e ad un militarismo che nemmeno Macron intende mettere in discussione. Il presidente vuole un ruolo diverso per il suo paese e questo, almeno viste le reazioni di Berlino, contrasta con una trazione tedesca anche in questo caso e non solamente più sul terreno prettamente economico e finanziario, su un legame con la Cina sul percorso della nuova Via della Seta.
Difficile immaginare una contesa tra Francia e Germania in questa fase di sommovimento generale dei rapporti di forza politici, economici e militari tanto in Europa quanto nel Sud-Est asiatico. Tuttavia possono essere proprio le difficoltà interne a spingere l’Eliseo ad una partita a scacchi dai contorni imprecisi, dal tentativo di mettere in discussione una unità di politica estera europea, condivisa e convergente.
Non sarebbe una novità una qualche lacerazione sui rapporti tra la UE e il resto del mondo. I paesi del cosiddetto “blocco di Visegrad” primeggiano in questo contenzioso perenne con Bruxelles e Strasburgo: non si tratta solamente di questioni che riguardano i rapporti internazionali riguardanti i flussi migratori, i diritti umani e civili.
Le interpretazioni fattive di tutte queste congiunture si sono tramutate in politiche interne repressive e discriminatorie in Ungheria, Polonia, Slovacchia, Cechia (a differenza però dei “paesi frugali” del Nord Europa), mentre nel merito della guerra in Ucraina le posizioni divergono e l’Europa rientra in gioco in un contesto davvero machiavellico e per niente rassicurante.
Non è un “liberi tutti“, ma vi somiglia molto. Ufficialmente la linea di politica estera della UE sulla guerra è il sostegno pieno e totale alla guerra per procura della NATO e degli USA. In realtà le divisioni interne sono tante e tali da consentire a Scholz di inviare carri armati, a Praga e Bratislava di mandare i primi aerei da guerra e alla Francia di tessere delle specie di relazioni diplomatiche con una Pechino che fa, al momento, la sola parte del “paese terzo“, pur non essendolo affatto.
La guerra in Ucraina sta diventando quello che era apparso essere pochi mesi dopo il suo violentissimo scoppio: un banco di prova globale per un riposizionamento altrettanto tale degli interessi delle grandi potenze esistenti, per quelle emergenti e coinvolge in questo rimescolamento di carte le poche, miserrime certezze di una Europa finanziaria che fatica a trovare una stabilità politica a causa dell’impoverimento progressivo di larghissime fasce di popolazione.
La situazione politica e sociale francese ne è un esempio veramente paradigmatico. Dovrebbe indurre anche l’Italia dei sindacati, delle forze politiche di sinistra (o presunte tali) a muoversi in direzione di un per di più maggiore coinvolgimento popolare nella costruzione di una alternativa che leghi il NO alla guerra e al riarmo con un NO alle politiche aggressive nei confronti del mondo del lavoro e delle pensioni, della scuola e della sanità, contro un regionalismo separatore, contro una svolta presidenzialista a dir poco inquietante.
La ricerca macroniana di un “terzo polo” liberista tra i liberisti, tra i contenditori delle grandi ricchezze mondiali da stabilizzare su un equilibrio trilaterale piuttosto che bipolare, è l’indice tanto delle tribolazioni interne alla Francia dell’inquilino dell’Eliseo quanto della evidente e conclamata insufficienza europea nel darsi una linea comune che vada dalla politica estera al rapporto quindi anche economico con il resto del pianeta.
Il che vorrebbe dire, anzitutto, avere una voce unica e non la polifonia di contraddizioni che emerge ogni volta che l’Unione deve parlare a nome di tutti con qualche gigante mondiale o, molto più flebilmente, con i signori delle rotte dei migranti, con quegli agglomerati di associazioni paramilitari e politiche che comprano la loro garanzia di continuità da una Europa che paga la Turchia per trannere i disperati della Terra ai bordi della presunta fortezza del Vecchio Continente e, nel mentre, tratta con governi compromessi nella disumanità più totale.
E’ questo il ruolo autonomo che, tra gli altri, anche Macron esige per l’Europa moderna? E’ questo il polo transnazionale che l’Eliseo immagina come mediatore per la guerra ormai quasi mondiale che divampa dal Donbass a Taiwan, mentre la colonizzazione cinese prosegue in Africa, mentre le armate putiniane regolano i conti in contesti di vera e propria desertificazione dei diritti e della vita nella babele di conflitti che affligge la faccia subsaharina (in cui la Francia ha avuto, ed ha tutt’ora, un ruolo di rilievo postcoloniale)?
Pechino può promettere a Parigi qualunque impegno nel telefonare un giorno a Volodymyr Zelens’kyj per aprire un canale di mediazione. Al momento sembra che Macron torni in patria con qualche accordo commerciale in più e con ancora un pizzico di credibilità in meno.
MARCO SFERINI
11 aprile 2023
foto: elaborazione propria da screenshot