Il nome del ministro per le Politiche europee, vacante dopo il passaggio di Paolo Savona alla guida della Consob, c’è. «Lo abbiamo proposto a Conte, aspetto l’ok. Noi siamo pronti», annuncia Matteo Salvini senza svelare quale sia il nome del papabile. Forse perché i nomi sono in realtà due. In pole position c’è Alberto Bagnai, l’economista No Euro che è oggi presidente della commissione Finanze del Senato: fosse per Salvini il prossimo ministro sarebbe senza dubbio lui.
Resta però da superare lo scoglio del Quirinale, che potrebbe avanzare obiezioni simili a quelle che, al momento della formazione del governo, sbarrarono la strada a Savona: piazzare uno dei principali sostenitori dell’Italexit alla guida del ministero che dovrà occuparsi dei rapporti con l’Europa potrebbe rivelarsi una scelta presa malissimo a Bruxelles. Anche se, per la verità, Bagnai ha sempre tenuto separate l’attività di economista contrario all’euro e quella di politico, consapevole di non poter oggi suggerire l’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Se il semaforo del Colle fosse rosso, il professore sarebbe sostituito dal secondo nome in campo, Lorenzo Fontana, oggi ministro della Famiglia.
Per Sergio Mattarella la scelta non sarà facile. Da un lato il presidente della repubblica è certamente preoccupato per le ricadute negative che un ministro così fortemente connotato potrebbe avere in Europa. Dall’altro vuole evitare di farsi coinvolgere in un nuovo scontro con la Lega, come quello che portò a un passo da nuove elezioni ai tempi del veto su Savona. Tanto più che in questo caso si tratterebbe di un ministero di ben minor peso. Infine Mattarella dovrà tener conto dell’inevitabile intreccio tra l’indicazione del ministro e quella del commissario europeo, nella consapevolezza che la coppia Bagnai ministro-Giorgetti commissario europeo non sarebbe probabilmente accettata dalla Ue.
Tra una rissa con il sottosegretario pentastellato Spadafora e qualche colpo di becco scambiato col presidente del consiglio Giuseppe Conte, la nomina del ministro è oggi la priorità per Salvini. Sul resto, in particolare l’idea di un rimpasto che quasi certamente costerebbe la poltrona al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, il leghista glissa con il solito «chiedete al Movimento 5 Stelle». Nonostante la polemica acuminata con Vincenzo Spadafora, infatti, il vicepremier è impegnato in una vera «offensiva di pace». Toni pacati sulle autonomie: «Siamo pazienti. Se i 5 Stelle hanno bisogno di capire ulteriormente siamo a disposizione». Ramoscelli d’ulivo per Conte: «Non sono certo geloso perché ha convocato un vertice sull’immigrazione e incontrando le parti sociali per la manovra non gli faccio concorrenza ma posso essere utile». Sino alla rassicurazione di cui Luigi Di Maio ha bisogno come dell’ossigeno: «Il governo non rischia».
Il fatto è che per uscire dall’isolamento in cui si trova in Europa Salvini deve poter contare su una situazione stabile in Italia, almeno come base. E anche questo non basterà. Dunque considera l’idea di non votare contro Usrula von der Leyen – che il 16 luglio a Strasburgo dovrà ottenere il disco verde del parlamento europeo – come fa anche il Movimento 5 Stelle: «Vediamo che idee propone. Certo non è la nuova partenza in cui speravano gli italiani».
La presidente della Commissione Ue è a rischio. I socialisti tedeschi e del nord Europa, come i laburisti inglesi, sono ancora attestati sul no a von der Leyen, le trattative con i Verdi procedono faticosamente. L’appoggio dei partiti di governo italiano potrebbe essere molto utile e rendere più agevole sia la marcia del commissario italiano che la trattativa futura sulla legge di bilancio. Perché su un punto, nonostante i nuovi moniti della commissione europea che tratta apertamente l’Italia da «sorvegliato speciale», Matteo Salvini è irremovibile: «Il taglio delle tasse ci sarà e finanziarlo con l’aumento dell’Iva non esiste».
ANDREA COLOMBO
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