Ci sono voluti anni, ma il sistema è ormai strutturato e funziona a pieno regime: i Paesi che vanno dal Marocco, lungo tutta la sponda Sud del Mediterraneo fino alla Turchia, sono al soldo dell’Ue e della Nato per trattenere i migranti, costi quello che costi. Lo stesso avviene d’altronde lungo la rotta balcanica e nei Paesi dell’Est europeo fino alla Polonia.
Ma la spinta dei dannati della terra non può fermarsi, perché sono in fuga da guerre, dittature, regimi corrotti, miseria endemica, sfruttamento di risorse, landgrabbing, carestie, disastri ambientali, crisi, che, in una parola, direttamente o indirettamente siamo noi, mondo occidentale, a provocare: la globalizzazione non è altro che un rapace neocolonialismo globale e la loro miseria non è che l’altra faccia, quella che non vogliamo vedere, della nostra vita di privilegio e spreco.
Tra noi, i nostri diritti, la nostra democrazia e coloro che aspirano ad arrivarci, c’è pur sempre, ultimo ostacolo, il Mediterraneo, che è diventato l’area di confine con maggior numero di morti al mondo, secondo le Nazioni Unite. E non è, si badi bene, per quello che fanno, ma per la loro appartenenza al «popolo migrante», che devono morire. Sono un fattore d’insicurezza, come ripetutamente dichiarato dall’Ue e dalla Nato, non diversamente dal terrorismo, la proliferazione nucleare, la cyberwar… e guai a chi viene definito in questo modo dalla più potente alleanza militare al mondo e dalla più ricca zona di libero scambio.
Questo, perché sono depauperati e, in quanto tali, portatori di bisogni e quindi sovversivi rispetto al neoliberismo che sempre più spinge per la riduzione della spesa pubblica. Questo, perché scuri di pelle, ergo quelle da cui scappano non sono vere guerre, come quella in Ucraina.
E quando muoiono, basta dare la colpa a loro e agli scafisti, come colpevoli erano i passeur e i disperati che affidandosi a loro cercavano di entrare in Svizzera, sotto il nazifascismo. E siamo pure bravi a fare leggi che condannano chi li soccorre.
Basta! È stata varcata la linea rossa dell’intollerabilità del diritto ingiusto e non serve più criticare, condannare, deprecare… Occorre reagire, agire trovando le parole per dirlo: un nuovo crimine contro l’umanità viene da anni sistematicamente attuato.
E questo crimine sono le migliaia di morti, questa nebulosa di fantasmi che dal Mediterraneo risale al cuore dell’Europa, ammesso e non concesso che un cuore non di tenebra ce l’abbia.
Occorre dare un significante a questo sanguinoso significato che sempre più si diffonde e da anni ci è entrato nelle coscienze fino a diventare assuefazione e, ancora oltre, dipendenza: sono le migliaia di sacrifici umani su cui si basa il nostro benessere.
Occorre trovare le parole per identificare a livello giuridico il crimine contro l’umanità che viene quotidianamente commesso intorno a noi e cercare nel diritto esistente, a livello sia nazionale che internazionale, la normativa che possa inchiodare alle loro responsabilità penali le classi politiche che si succedono al governo, sia in Italia che in Europa e nel resto del mondo occidentale. E se non basta il diritto esistente, avventurarsi verso nuove costruzioni giuridiche che rispecchino gli irrinunciabili valori della civiltà, acquisiti da Antigone in poi.
È sicuramente un programma ambizioso, forse visionario, ma occorre strapparsi i paraocchi con cui ci concentrano sul NOI/loro, sul loro che ci fanno la guerra e sul loro che ci invadono, occorre accettare la follia di una diversa prospettiva per ribaltare la routine della violenza e della sua accettazione a livello collettivo.
Un primo passo in tale direzione è quanto si propone il convegno «Migranticidio: un crimine contro l’umanità – Diritto di migrare, diritti dei migranti», promosso da Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia, Giuristi Democratici e Mani Rosse Antirazziste, che, nell’ambito della mostra Roma Periurbana, si terrà sabato 22 aprile presso lo Spazio espositivo MACRO (ex Mattatoio), piazza Orazio Giustiniani, 4, dalle 11 alle 18.
ENRICO CALAMAI
Foto di Ahmed akacha