Mi dicono alcuni amici, certamente più “uomini di mondo” rispetto a me in questi tempi, che il cosiddetto “black friday” è stato importato dagli Stati Uniti, o comunque dal mondo anglosassone genericamente inteso, già da alcuni anni.
Confesso che non ne avevo mai e poi mai sentito parlare e che in questi giorni, grazie al potere della televisione e di Internet, sono venuto a conoscenza dal bombardamento pubblicitario tra un primo e un secondo tempo di alcuni film del fatto che anche per me d’ora in avanti sarebbe esistito questo appuntamento consumistico generale: un “venerdì nero”.
Curiosa denominazione, forse autoironica per le grandi multinazionali che intendono smerciare prodotti a bassi costi rispetto a tutto il resto (o quasi) dell’anno: sembra di sentire i vecchi venditori ambulanti dire “Oggi mi rovino, regalo tutto!”, intendendo ovviamente non la frase alla lettera ma semmai un ribasso così forte dei prezzi da considerare tutto ciò quasi un dono e non una vendita.
Dunque, la riduzione generalizzata dei prezzi è, ho appreso in seguito, la data di inizio delle compere pre-natalizie. Una sorta di inaugurazione di un periodo di spendi, spandi, effendi, per dirla con Rino Gaetano. Le associazioni del commercio stimano che gli italiani oggi e nei prossimi giorni spenderanno a testa circa 108 euro per far festa con acquisti deprezzati: un saldo stagionale così bello, benevolo da far lacrimare gli occhi.
Come devono apparire buone queste catene di commercio su scala intercontinentale: tutti a “regalare” offerte, a dimezzare ciò che è intero, a venirci incontro per farci felici.
E’ la bontà di un mercato capitalistico che punta proprio sulla crisi economica per incentivare ulteriormente il prelievo apparentemente non forzoso dalle tasche della povera gente ancora contanti, prelievi bancari e assegni.
Non spenderebbero se non fossero incentivati dalle rate e dal “black friday”: dai tassi ad interesse zero fino alle giornate del “mi rovino”, “vi regalo”, “solamente oggi e domani”.
E’ la bontà del Gatto e la Volpe: mostrare amicizia per riuscire ad ottenere maggiori introiti. Nessuna truffa, per carità, in tutto ciò. Anche perché, a differenza del Gatto e della Volpe di Collodi, qui la truffa sta a monte e, anche se non si vede, si chiama sempre e solo “capitalismo”. Tra virgolette, sì, perché occorre evidenziarne il nome, provare a rimettere al centro dell’analisi sociale l’antisociale che deve contenere come consapevolezza di ciò che sta alla base delle disgrazie più o meno distribuite che investono i lavoratori, i precari, i disoccupati e quanti vivono in stato di indigenza permanente.
Così passa in secondo piano la serie di dati che ci da l’Osservatorio sul precariato dell’INPS: più dell’80% della nuova occupazione (soprattutto giovanile) risulta essere precaria e a termine e gli effetti positivi del Jobs act si fanno sentire ma solo per i padroni che con i soldi pubblici creano assunzioni soltanto di tal fatta e nessun contratto è mai stabile, a tempo indeterminato.
Tutto si crea e tutto si distrugge, nulla si trasforma in più garanzie e più diritti sociali. Anzi, la tendenza è esattamente l’opposto: dal lavoro a tempo indeterminato si passa sovente al lavoro precario, instabile. E il Jobs act mutila i diritti anche quando sono sussistenze e surrogati del salario: il crollo della riscossione della Cassa integrazione è quasi del 40% negli ultimi dieci mesi del corrente anno. Motivazione? I lavoratori non la possono riscuotere per via delle variazioni contrattuali che non consentono di avere i requisiti tali per accedere a quello che un tempo era un semplice ammortizzatore sociale e che oggi diventa un privilegio.
Qualche segnale però di rivolta in questo senso s’è avvertito con il grande sciopero indetto dai lavoratori e dai precari di Amazon. Un momento di rivendicazione salariale che ha destato scalpore perché colpisce una azienda che punta moltissimo proprio sul “venerdì nero” e che rischia di rimanerne danneggiata per il fatto di considerare i salari dei propri dipendenti sopra la media di quelli del comparto della distribuzione e, quindi, non suscettibili di aumento.
Per fortuna un po’ di coscienza di classe ogni tanto riemerge. Almeno così pare. Fino a che le lotte non si estendono e non si saldano fra loro, è molto complicato poter dire quale sia il livello della coscienza dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto al ruolo che occupano: lo sfruttamento delle loro braccia e delle loro menti per creare profitto per altri. Chi vive queste condizioni di lavoro ha un vantaggio in più rispetto a chi ne è estraneo: forse arriva a comprendere che il sistema non sta lì per farci felici ma solo per usarci, per accrescere le ricchezze smisurate di pochi, i dividendi degli azionisti e non certo per migliorare la vita di chi lavora.
Ma, tuttavia, non c’è da temere, oggi parte il “black friday” e a tutti sembrerà ancora una volta di essere ricchi perché i televisori costeranno il 25% in meno, i tablet pure e magari potremo comperarci un divano nuovo su cui rilassarci nei giorni in cui il lavoro non ci sarà più ma al suo posto resterà soltanto un comodo (si spera) cuscino…
MARCO SFERINI
24 novembre 2017
foto tratta da Pixabay