La trascuratezza e la superficialità con le quali vengono trattati i temi di politica estera forniscono la misura del degrado nel quale si trova l’intera vita politica italiana, non soltanto dell’assolutamente deficitaria azione di governo.
La dimostrazione di ciò la si trova proprio nell’attualità di questi giorni: da un lato il disastro libico, un teatro nel quale il nostro Paese non solo è rimasto isolato all’interno di una complicatissima situazione militare che ha pesanti risvolti su nodi molto delicati come quello relativo al flusso dei migranti e quello riguardante l’approvvigionamento energetico ma anche compiuto atti di provocatoria insensatezza come quella della velleitaria apertura dell’ambasciata a Tripoli; dall’altro, punto apparentemente minore ma non è vero, la disinvoltura al limite del comico con la quale si è mosso il M5S (secondo o primo partito italiano) nella vicenda del mancato mutamento di gruppo al Parlamento Europeo.
In sostanza sono tre gli elementi che, in questa fase, dovrebbero essere presi in primaria considerazione e sui quali l’Italia non appare in grado di esprimere, nell’insieme del suo sistema politico e non soltanto da parte dell’azione di governo, un’iniziativa coerente e accettabilmente consapevole:
1) Il nuovo quadro mondiale così come si sta disegnando nella fase di arretramento della globalizzazione, di pratico scioglimento del ventilato asse tra i cosiddetti BRICS, della ripresa del bipolarismo tra le due superpotenze alla vigilia dell’insediamento della nuova amministrazione USA. Un’amministrazione quella che si insedierà il prossimo 20 Gennaio che promette (e in parte, buona parte, manterrà) un mutamento radicale nell’impostazione guerrafondaia portata avanti in continuità dalle amministrazioni Clinton, Bush, Obama (calcolare il numero delle guerre aperte e non chiuse almeno dal 2000 in avanti in Europa, Asia, Africa). Non che ci sia da aspettarsi un’iniziativa pacifista da parte dell’amministrazione Trump, beninteso, ma comunque un mutamento di rotta e il tentativo di chiudere determinati scenari anche al prezzo di lasciare il campo alla Russia: vedi Siria, Ucraina, rapporto con la Turchia (e relative conseguenze sia rispetto alla questione curda, sia al riguardo del Califfato) oltre all’abbandono dei trattati commerciali atlantici e nell’area del pacifico, il parziale disimpegno verso la NATO e l’ambiguità nei confronti dei trattati già stipulati al riguardo delle questioni climatiche e delle emissioni industriali inquinanti;
2) L’incertezza evidente accumulata in particolare durante il governo Renzi circa il trattare le vicende relative all’Unione Europea nell’incertezza si trattasse di politica interna oppure di politica estera. Il governo Renzi in un vero e proprio delirio di dilettantismo ha pensato di impugnare i temi europei come semplice moltiplicatore di consenso elettorale, nella logica degli “annunci” che ne ha caratterizzato la breve ma molto infelice esperienza. Data per assodata l’assoluta inutilità dell’acquisizione da parte dell’Italia del ruolo di rappresentante di un’inesistente politica estera europea, è evidente che nei prossimi mesi ci si troverà di fronte all’eventualità non remota di uno scioglimento dell’Unione così com’è e di ricontrattazione complessiva nei termini della convivenza all’interno del Vecchio Continente. Saranno due i fattori all’ordine del giorno: il primo riguarderà la concretizzazione del processo relativo alla Brexit; il secondo il riemergere della linea di faglia tra Est ed Ovest (secondo il tracciato della vecchia cortina di ferro, tenuto conto anche dei sommovimenti in atto nella vecchia area della DDR all’interno della RFT, laddove crescono spinte di natura neonazista) sulla questione dei migranti, cui ad Est si sta rispondendo con l’assunzione del potere da parte di forze di destra nazionalista come in Polonia e in Ungheria: due paesi assolutamente decisivi al riguardo di quello scacchiere, fin da Poznan’53 a Budapest ’56;
3) La già citata vicenda libica. Nella prima occasione di un’iniziativa autonoma, fuori dalla cuccia del belligerantismo USA, da parte della politica estera Italia, il disastro annunciato si sta già compiendo. Non solo si è fatta una scelta sbagliata collocando la provinciale Italia ( in un rigurgito di colonialismo anni’10 del XX secolo) dalla parte di uno dei molteplici contendenti ma si sono compiuti anche atti del tutto provocatori rispetto alla situazione: atti che hanno provocato un rincrudimento oggettivo della situazione di guerra (senza contare le tensioni con l’Egitto, paese verso il quale è apparentemente ancora aperto il contenzioso riguardante la morte di Regeni).
Un quadro fosco, com’è fosco il quadro complessivo della situazione italiana, foriero di ulteriori peggioramenti verso coinvolgimenti bellici nell’Africa del Nord in particolare.
Escalation bellica che andrebbe assolutamente evitata: tra l’altro ai punti già citati andrebbe aggiunto quello relativo all’assoluta incapacità di lettura al riguardo delle cosiddette “Primavere Arabe”) in particolare.
Sul piano teorico si pongono questi di grande spessore e interrogativi pesanti tra lo stabilire a che punto è il preventivato (e affrettato) processo di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”
Tutti elementi sui quali non solo riflettere ma anche agire, assumendo però anche da parte di un’eventuale opposizione di sinistra il superamento di “ambiguità storiche” avviando un’azione fondata sulle ragioni della pace , dell’ affrontamento dell’approfondirsi del solco tra le diverse parti del mondo, del riequilibrio nell’avanzamento del processo di disuguaglianze sociali, del contrasto al progredire della schiavitù e dello sfruttamento non solo in termini di contraddizione “principale” ma di ambiente e di sopraffazione di genere, che ha caratterizzato la fase reaganian – tachteriana dagli anni’80 ad oggi.
FRANCO ASTENGO
redazionale
15 gennaio 2017
foto tratta da Pixabay