Almeno la politica italiana non manca di dialettica, non è immobile, priva di tatticismo e la frenesia per la formazione del nuovo governo scuote persino una certa scolastica sulla Costituzione, tanto da ricordare che l’articolo 92 della Carta assegna al Capo dello Stato un ruolo nella formazione degli esecutivi, facendolo uscire da quel torpore rappresentativo che gli attribuisce invece un immaginifico e stereotipato ruolo di mero garante e, come molti hanno annotato e lo stesso Mattarella ha precisato, di “notaio”.
E’ un bene per la Repubblica che queste dinamiche si sviluppino e che ogni tanto ci ricordino che non esiste una trafila meccanicistica da seguire, un preordinato ordine di protocollo ma che tutto può essere stravolto, posto e ricomposto proprio perché esistono delle regole che impediscono, se non di evitare l’abbraccio mortale con i poteri forti da difendere sempre e comunque, almeno di esercitare un arbitrio di qualunque genere sulla formalità istituzionale.
Una formalità che è poi diretta conseguenza della delega parlamentare data con il voto e, quindi, a cascata il voto non è del tutto inutile ma conserva un suo potenziale di influenza – seppur minimo – nelle scelte cosiddette “democratiche” delle forze politiche nella formazione di un governo.
Però in tutto ciò, oggi più che mai, va tenuto presente come fondamentale il distinguo tra politica sociale e politica istituzionale, senza separazioni tra i due modi di esprimere l’azione per il bene comune nella Repubblica ma avendo chiara la funzione di non equipollenza che le caratterizza laddove si può e si deve parlare di azione incisiva popolare nella politique politicienne.
Questo ha tentato di fare la sinistra che si è ritentato di costruire in vista delle ultime politiche del 4 marzo scorso: riavvicinare parte sociale e parte istituzionale e, insieme, mostrare che la politica con la P maiuscola era nuovamente reinterpretabile da parte di una forza di cambiamento che, pur non caratterizzandosi nominalmente come “anticapitalista”, quanto meno anche soltanto “antiliberista”, interpretasse la necessità dello stravolgimento a centottanta gradi della società del mercato e dell’alta finanza.
Dunque, una accelerazione di formazione di una sinistra radicalmente di opposizione al sistema e a tutte le altre proposte politiche in campo è corrisposta all’accelerazione subita dal sistema stesso della rappresentanza, fuori anche dalle regole costituzionali, con una legge elettorale che ha impedito dualismi e confronti all’arma bianca, ma che ha costretto tutte e tutti a trincerarsi dietro steccati di vecchie case diroccate per spararsi, in più direzioni, i colpi della proposta programmatica dando precise traiettorie per una chiara distinzione tra le ipotesi in campo.
Impossibile, dunque, ridurre anche oggi tutto e soltanto agli schematismi ormai noti: centrosinistra, centrodestra, centro, sinistra.
Quale sarebbe il centrosinistra? Forse il PD con la coalizione “Biancaneve”?
Quale sarebbe il centrodestra? Forse quella Lega che è pronta a governare con i grillini mantenendo un filo di continuità con Forza Italia e Meloni per salire sulla scialuppa di salvataggio in caso di nuove elezioni?
E quale sarebbe il centro, disperso come luogo politico ma presente praticamente ovunque in quanto vecchia pratica democristiana del posizionamento un po’ ovunque per condizionare maggiormente i rapporti politici sia a destra sia a sinistra…?
E, infine, quale sarebbe mai la sinistra, residuale, scomparsa, irriconoscibile rispetto anche solo a dieci anni fa. Paiono un’eternità ormai. Liberi e Uguali sarà un partito? Se lo sarà è ancora tutto nel grembo di Giove il perimetro stesso di composizione del partito socialdemocratiggiante che ne nascerà e che, incredibilmente, afferma con Speranza (perdonate il gioco involontario di parole…) che il rapporto di LeU col PD dipende dal PD.
Io direi che dipende anche da LeU a meno che LeU stessa non si pensi come una propaggine del PD a seconda del PD che è: renziano, martiniano, cuperliano e via dicendo…
Forse la sinistra può essere Potere al Popolo!? Non fosse altro che per il rispetto alla grande storia della sinistra italiana dal dopoguerra ad oggi (ed anche precedentemente nel lungo periodo della clandestinità imposta dal regime fascista), si fa davvero fatica ad intravedere in un anche coraggioso esperimento quello slancio di ripresa dei rapporti di dialogo tra singoli, associazioni e partiti che dovrebbe determinare una rinascita non di un contenitore ma di una coscienza critica fondata sul comunismo come “movimento reale” vero e proprio per chi è comunista, senza il timore di definirsi tale e sull’alleanza con chi si definisce magari socialista di sinistra, libertario e imposta magari su un punto di vista differente dal nostro la critica al sistema ma ne condivide il cardine fondamentale: l’antiliberismo come unico salto possibile da fare qui ed ora, per evitare un “Hic Rhodus, hic salta” che sarebbe anche altisonante come proclama ma che, alla prova dei fatti, non produrrebbe niente in termini di ricongiungimento tra sinistra di alternativa e moderno proletariato incosciente.
Nel sommovimento generale della politica italiana, dove tutto è indefinito e indefinibile, dove si alleano forze di destra estrema con forze prive di una autoconnotazione nominale in quanto a definizione ultima di idee o di ideologie (per carita! Non nominate a Di Maio le ideologie!), la sinistra comunista, socialista e libertaria deve ritrovare una unità prima di tutto nel dialogo, senza escludere nessuno, senza apriorismi, senza veti contrapposti.
C’è la necessità di essere interpreti della Costituzione, se davvero vogliamo rappresentarla plasticamente in una azione dopo averla difesa a parole e nei fatti con il voto del dicembre di alcuni anni fa, mettendo insieme anche qui un processo dialettico, fortemente critico sul medio passato appena divenuto presente nel dopo-voto con i sessanta e più giorni trascorsi nel rimpallo delle alleanze possibili di governo, tutte le formazioni di sinistra e progressiste per confrontare le reciproche difficoltà e, partendo dall’abisso in cui siamo precipitati, trovare insieme un modo per offrire ai lavoratori, ai precari, agli studenti, ai pensionati, a tutti gli sfruttati un punto di appoggio che dimostri che noi, a differenza dei grillini, un accordo con la Lega non lo avremmo fatto mai.
Per dimostra, altresì, che noi, a differenza dei grillini, non faremmo accordi con nessuna forza politica razzista, xenofoba, omofoba e rappresentante comunque il padronato e l’alta finanza.
Socialisti moderni e comunisti moderni possono ricostruire la sinistra di alternativa in questo Paese, ma lo possono fare soltanto al prezzo del compromesso (mai della compromissione), abbandonando da un lato la tentazione di legarsi al PD “a seconda di quale PD possa essere” e dall’altro lato una tentazione parimenti pericolosa: quella di individuare nella sola politica sociale la chiave di volta e di svolta per influenzare la politica istituzionale.
Separandole, mostrando disprezzo per la rappresentanza parlamentare, irridendola, considerando una vittoria l’1%, alimentando la speranza che solo dal mutualismo nasce una nuova cultura sociale della e per la sinistra, non si fa che dividere ciò che non deve essere diviso: potere popolare e potere rappresentativo, istituzionale.
Una sinistra che aspira al solo potere popolare è condannata o ad abbattere quello istituzionale o all’irrilevanza permanente, ad una testimonianza priva di senso per una critica dialettica dell’esistente.
Del resto, una sinistra che aspira invece solo al ruolo istituzionale e governativo, lo abbiamo già visto, si consuma in una inedia tutta protesa alla gestione del potere e non al suo impossessamento. Fa la mosca cocchiera per altri, la serva sciocca per forze politiche che invece veramente rappresentano gli interessi del grande capitale.
Ecco, serve una terza sinistra: una sinistra che sia mediana tra questi due eccessi, tra queste due cecità.
Serve una sinistra di alternativa che sia marxista nell’essere dialettica, che non sia ortodossa nell’essere dogmatica e che accetti soprattutto il confronto in sé stessa, senza irrigidirsi, senza prodursi in purisimi che sono divisivi, esclusivi e che sono un pugnale invisibile conficcato alla schiena della voglia, ancora una volta, di cambiare la vita da sopravvivenza a dignità umana.
MARCO SFERINI
13 maggio 2018
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