La natura si difende solo con l’anticapitalismo

In risposta ai socialdemocratici che avevano scritto il programma del loro partito, Marx, di rimando, consegna all’opinione pubblica e, prima di tutto, proprio a costoro, ai “lassalliani“, una serie...

In risposta ai socialdemocratici che avevano scritto il programma del loro partito, Marx, di rimando, consegna all’opinione pubblica e, prima di tutto, proprio a costoro, ai “lassalliani“, una serie di osservazioni che mostrano e dimostrano non solo l’insufficienza complessiva dei propositi riformisti davanti al crescente sfruttamento del lavoro operato dal capitalismo in emersione in Germania, ma principalmente i clamorosi errori culturali, ideologici e quindi anche pragmatici cui va incontro il movimento che vorrebbe contrastare quello che oggi definiremmo un po’ restrittivamente come “il sistema“.

Lassalle e compagni, che si reputano grandi sovvertitori del regime economico vigente, scrivono, ad esempio, che “il lavoro è la fonte di ogni ricchezza”.

Marx li corregge: non è il lavoro la fonte di ogni ricchezza, bensì la natura. Il lavoro trasforma solamente le materie prime naturali in merci da far circolare, così da stabilizzare l’economia capitalista e garantire agiati profitti ai padroni, agli sfruttatori del lavoro altrui.

Una citazione ed un excursus storico-politico che servono per capire quanto avviene in questi tempi, in cui milioni di giovani si accorgono del pericolo che corre il nostro Pianeta, la “fonte di ogni ricchezza” per dirla con il Moro, schiacciato dal perseverante sfruttamento di ogni bene comune e naturale presente su esso, in esso stesso.

Terra, acqua, vegetazione, aria, combustibili, miniere: il capitalismo ha generato e genera tutt’oggi le condizioni non mediabili, assolute, per perpetuare la sua esistenza, il suo radicamento globale sul pianeta e, pertanto, il conseguente utilizzo del medesimo agli scopi che gli sono più congeniali. Non esiste “etica” del capitale: non può esservi alcuna “etica” del contenimento dello sfruttamento delle risorse naturali se queste servono alla sopravvivenza del sistema del privato, del profitto, dell’accumulazione del capitale, dell’impoverimento di miliardi di persone e del mantenimento nello splendido lusso di moderni giardini pensili babilonesi sparsi un po’ ovunque vi sia un recettore dei dividendi delle grandi multinazionali.

E’ presto per affermare, come fa oggi Norma Rangeri dalle colonne de “il manifesto“, che quello in atto sia un nuovo ’68, una nuova rivolta giovanile contro, per l’appunto, “il sistema“: lo è perché dobbiamo comprendere quanta coscienza vi sia in queste giovani generazioni in merito al ruolo che il capitalismo svolge in questa società.

E’ difficile poter scorgere una trascendenza, una separabilità di qualcosa che nel mondo vive, esiste, viene utilizzata per gli scopi più differenti e, per l’appunto, “il sistema” che l’ha generata e che la comprende, che la include in sé stesso.

Nulla è alienabile dal capitalismo: lo è l’albero? No, perché diventa merce tanto quanto un diamante. Lo è l’acqua? No, perché se privatizzata e venduta in cestelli da sei bottiglie di plastica o distribuita da acquedotti sottratti alla gestione pubblica, è sempre e comunque una merce.

Lo è la terra? Nemmeno. Le principali deforestazioni sono state concesse e ordinate per far spazio a settori di mercato che oggi producono dagli allevamenti di bestiame, che danno carne ai panini che anche molti giovani in piazza ieri hanno poi mangiato in catene alimentari presenti ovunque nel mondo e che impiegano quantitativi di acqua tali per il loro mantenimento da far impallidire qualunque irrigazione di grandi piantagioni ed aziende agricole.

Ha ben ragione chi scrive che è più antiecologico un allevamento di mucche per farne carne da hamburgher del gettare una bottiglia di plastica nel contenitore sbagliato della raccolta differenziata o di una discarica abusiva nel bel mezzo di un bosco.

Serve, dunque, capire il livello di coscienza che il grande movimento mondiale “Fridays for future” si porta appresso: se rimane un movimento votato alla distinzione tra sé stesso e la politica che lo può e lo deve rappresentare, allora sarà un misero ’68 di nuovo modello. Non tanto per la scostante idiosincrasia con i movimenti anticapitalisti e comunisti che devono invece sostenere questa presa d’atto (di coscienza è un passo ulteriore che, come stiamo scrivendo, va ancora del tutto verificato), semmai per una generale visione del problema ecologico presuntuosamente pensato come separabile dal contesto politico.

Chi asserisce che il movimento “FFF” non è “politico” lo mortifica, ne fa una riduzione ad una semplice protesta che finisce così per non mettere radici nella concretezza della rappresentanza politica e, quindi, evita di compiere l’ulteriore passo di crescita e di presa di coscienza del fatto che senza una traduzione contestuale di tanti bei slogan, ironici e sarcastici, non si produce un avanzamento delle rivendicazioni ma le si mortifica.

Le si mortifica perché si presuppone che “politica” sia soltanto quella degli intrighi di palazzo, delle scissioni telecomandate dalla formazione dei governi, delle maggioranze e delle minoranze.

Invece “fare politica” è vivere e vivere è “essere politici“, far parte della “polis“, della città, della società. Marx afferma che l’essere umano è un “animale politico“, un individuo che nasce, cresce e si sviluppa non nella solitudine di una contemplazione solipsistica ma nel divenire comunità, nel farsi società continuamente, in un progressivo sviluppo della storia che contempla la “modernità” che oggi noi contestiamo ma di cui, oggettivamente, non possiamo nemmeno fare a meno.

Possiamo divenire dei “puristi” dell’ecologismo e rinunciare ad ogni compromesso con l’esistente che ci circonda e ingloba? Possiamo fare a meno dei telefoni cellulari prodotti con materiali che arrivano da miniere africane dove bambini ridotti in schiavitù scavano per raccogliere quelle pietruzzole necessarie a farci chattare nella sempre più crescente alienazione prodotta dal “dover controllare” i messaggi arrivati su questo o quel social network?

Possiamo fare a meno di televisioni, tablet, lavatrici, frigoriferi, condizionatori d’aria, automobili e moto? No di certo. Ma possiamo, come giustamente hanno scritto in migliaia di cartelloni i ragazzi e le ragazze che hanno compreso il legame indissolubile (purtroppo) tra capitalismo e progressivo depauperamento della natura e crisi globale dell’ecosistema, “cambiare il sistema e non il clima” e che, soprattutto, “il capitalismo non è verde“, quindi non è riformabile nemmeno dal punto di vista ecologico.

O si abbatte il sistema economico in cui viviamo o le condizioni naturali del pianeta saranno inevitabilmente portate al peggioramento progressivo e nessuna coraggiosa Greta Thunberg, nessun movimento di milioni di giovani potrà fermare il corso degli eventi se non ci sarà un impegno politico in merito, se non si formerà un nuovo grande movimento anticapitalista mondiale, una quinta, sesta Internazionale (chiamiamola pure come vogliamo…) che unisca la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del salario alla liberazione della natura dallo sfruttamento intensivo generato dalla “naturale” accumulazione di profitto da parte dei grandi poteri economici, del grande padronato.

Alcuni passi avanti sono stati fatti: una presa d’atto mondiale del problema da parte di grandi masse di individui, soprattutto da parte delle giovani generazioni e, non meno importante, un inizio di collegamento tra problematica ecologica e problematica economica.

Senza questo legame nessuna benevola lotta in favore dell’ambiente libererà mai il mondo dalla fonte prima di tutto questo sfacelo, di tutta questa distruzione: il sistema di produzione capitalistico.

Non abbiamo un pianeta B, hanno scritto i ragazzi sui loro cartelli, ma attenti: c’è sempre invece un capitalismo B, C, D… un nuovo modello che si adatta ai tempi e che solo la natura stessa, se non lo faranno gli esseri umani, travolgerà con immani catastrofi perché alla fine cesserà la possibilità di sfruttare quelle risorse che non sono eterne. Ma prima che questo accada, la nostra specie sarà già stata irrimediabilmente compromessa nella sua esistenza che ancora troppe volte consideriamo “naturale” e “normale” all’interno di questo sistema terricida.

MARCO SFERINI

28 settembre 2019

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