Leggo sul tema del “fine vita” e della relativa sentenza della Corte molte dotte argomentazioni di carattere giuridico, sui vincoli che sono stati posti e quant’altro.
Mi pare sfugga o non sia sufficientemente richiamato il tema etico che dovrebbe risiedere a fondamento di tutto questo.
Forse ci si limita a considerare il dato “esterno” della maggiore libertà ma meno pare si pensi al “vincolo interno”: a ciò che a noi stessi, nella nostra sensibilità soggettiva si pone sul piano morale in frangenti di questo genere.
Non disponendo delle capacità culturali sufficienti ma allo scopo di esprimere una volontà di contribuire ad una riflessione comune, mi è parso necessario argomentare una definizione della “morale della pietà” attraverso una citazione di Schopenhauer.
Poche parole per cercare di contribuire a una riflessione posta fuori e al di là del mero contesto giuridico che pure risulta assolutamente decisivo da affrontare:
“Perciò è necessario che io partecipi del suo dolore come tale, che io senta il suo dolore come di solito sento il mio, e che perciò io voglia direttamente il suo bene come di solito voglio il mio. Ma ciò esige che io mi identifichi in qualche modo a lui, cioè che ogni differenza tra me e un altro, sulla quale si fonda il mio egoismo, sia, almeno in un certo grado, soppressa.
Questo complesso di pensieri qui analizzato non è né fantastico, né campato in aria, ma è realissimo e nemmeno raro: è il fenomeno della pietà, cioè della partecipazione, immediata e incondizionata, ai dolori altrui, e perciò alla cessazione o alla eliminazione di questi dolori, nella quale consiste ogni contentezza, ogni benessere e felicità.
Questa pietà è l’unica base effettiva di una giustizia spontanea e di ogni carità genuina.
Appena questa pietà si fa viva, il bene e il male degli altri mi stanno immediatamente a cuore allo stesso modo, se non proprio allo stesso grado, del mio stesso bene: cosí ogni differenza fra lui e me non esiste più.
Questo evento è misterioso: è un fatto, di cui la ragione non può render conto direttamente e le cui cause non si possono scoprire mediante la esperienza. […] “
(Schopenhauer, Il fondamento della morale)
Affidare, attraverso il passaggio supremo della morte la conclusione di una sofferenza irreversibilmente senza sollievo è probabilmente il massimo della pietà disponibile al fondo dell’animo umano: almeno così mi sento di riflettere cercando di leggere nella realtà di scelte estreme ma necessarie.
FRANCO ASTENGO
27 settembre 2019
foto tratta da Pixabay