Ho rivisto il film “Milk” su Rai Storia, con uno straordinario Sean Penn. Dal 1977 ad oggi sembra che sia passato poco tempo: chi allora viveva “nel buio”, come ripeteva Harvey, il primo gay dichiarato a ricoprire una carica pubblica (consigliere comunale della città di San Francisco), oggi vive a volte nella penombra e a volte si trova a fare i conti con quella violenza brutale che nasce da una incomprensione che è pregiudizio, che si trasforma in odio.
Ciò che non capiamo ci fa arrabbiare, non è vero? E se la sfida, poi, è tra il non comprensibile e l’evidenza dei fatti che dimostrano che è quello che è apparentemente impenetrabile, in realtà è fin troppo facile da capire, allora ci si arrabbia ancora di più. Si diventa aggressivi, si mostra un orgoglio maschile che magari nemmeno si ha o si pensava di possedere.
Violenza e punti di fede. Non sono strettamente correlati, ma l’esasperazione di certi dogmi che dogmi non sono, porta al fanatismo, porta alla difesa ad oltranza di punti di vista contro l’omosessualità che diventa fobia, quindi omofobia.
E le fobie sono sempre, in qualunque caso, manifestazioni cerebrali di una paura immotivata.
Anche nel caso delle unioni civili, la fobia che si fa largo tra le opinioni televisive e quelle internettiane è il dubbio che due uomini o due donne non siano in grado di crescere un figlio secondo i costumi, la morale, l’educazione comune.
Ci sono alcuni che vanno anche oltre e, in un crescendo di voluta confusione della realtà dei fatti tanto scientifici quanto biologici ed etici, affermano che i condizionamenti della sessualità sono impliciti nei figli e che, pertanto, una coppia gay influenzerà le future scelte sessuali del ragazzo.
Ai tempi in cui Harvey Milk divenne consigliere comunale di San Francisco, era forte questa convinzione: gli insegnanti omosessuali – si diceva allora – vogliono “convertire” i ragazzi alla cultura omosessuale e farli diventare quindi gay, lesbiche.
In un dibattito pubblico, Milk ridicolizzò queste amenità sostenendo, quasi aristotelicamente, con la mera logica che se fosse così, essendo le suore adibite all’insegnamento di migliaia di ragazze, non si comprendeva come mai queste non diventassero tutte suore.
Come si vede, la distanza tra l’ieri e l’oggi non è tanta, ma oggi esiste un vantaggio che all’epoca non esisteva: ossia, tutte e tutti sappiamo che siamo uguali e che l’omosessualità non è una malattia, non è una “devianza” di nessun tipo e che è semplicemente quel lato del nostro essere che ci dice, così, senza tanti fronzoli, che ci piacciono istintivamente le persone del nostro stesso sesso.
E non è affatto escluso che un omosessuale, che un eterosessuale possano provare piacere nel corso della loro vita per l’opposto sesso per cui fino ad allora hanno provato attrazione.
Personalmente non ho mai escluso di essere attratto dalle donne. Non è mai accaduto, ma se accadesse non mi sentirei affatto “diverso dall’essere diverso”. E’ soltanto un istinto, qualcosa di non parametrabile con le categorie di una morale, qualunque essa sia.
Eppure in queste ore si valuta una sentenza della Corte Costituzionale che stabilisce che il matrimonio si concretizza e diventa tale soltanto in presenza di due persone di sesso diverso. Si parla proprio di “sesso”, quindi di genere maschile e genere femminile.
E’ una sentenza 138 dell’aprile 2015 dove si legge testualmente: “i coniugi devono essere persone di sesso diverso” nell’atto di contrarre il matrimonio.
Quindi il governo dovrà correre ai ripari e creare con degli emendamenti alla legge un impianto di creazione di un nuovo istituto giuridico che consenta di evitare un annullamento che verrebbe certamente richiesto dalle premurose associazioni che difendono la sacralità di una famiglia che nessuno ha mai voluto intaccare nemmeno minimamente.
Harvey Milk iniziava sempre così i suoi comizi nelle piazze americane: “Mi chiamo Harvey Milk e sono qui per reclutarvi tutti!”. Perché la lotta era ed è grande, in tutti i sensi: è un grande lotta che va fatta per le nostre vite, per quelle di tutte e tutti, per una emancipazione che è una garanzia ulteriore di un non ritorno ad un passato di mortificazione delle emozioni in nome di dio o di una morale cattolica, comunque religiosa, che pretende di essere quella assoluta, ingiudicabile, incontestabile; ed è una lotta grande perché ancora molti sono i passi da fare per affermare un’uguaglianza in più che si accosti a quelle che, con molti difetti, lacune e dimenticanze, si sono affermate nel corso dei millenni.
Ci sono voluti più di cinquemila anni per affermare il diritto universale dell’uomo ad essere libero dalla schiavitù. In molte parti del mondo lo schiavismo esiste ancora: è quello dei bambini costretti a lavorare mattoni da mattina a sera, a cucire palloni e teli come il coraggioso piccolo sindacalista Iqbal Masih; è quello dei bambini soldato in Africa costretti ad uccidere senza sapere nemmeno cosa voglia dire farlo…
Lento è il cammino umano, lo sappiamo, quando deve affermare dei diritti semplici, fondamentali. Tutto ciò che è semplice è sempre difficile da fare: come il comunismo. Ho citato tante volte Brecht a questo proposito. E penso avesse proprio ragione: la difficoltà sta nel realizzare la semplicità.
Ci sono voluti cinquemila anni per immaginare che l’essere umano potesse anche nascere in ogni parte della terra libero e non schiavo: non essere proprietà di nessuno.
Facciamo in modo che non ci vogliano ancora quattromila anni per rendersi conto che l’amore non è discriminabile. Che tutti nasciamo da genitori eterosessuali e che la razza umana non si estinguerà per la presenza della cosiddetta “minoranza” omosessuale nel mondo, ma semmai per la fine della vita del Sole… Dicono gli scienziati tra circa quattro miliardi di anni.
E per allora sarà bene che qualcuno abbia trovato il modo di emigrare altrove… Con buona pace di Salvini, Meloni e di Marine Le Pen.
MARCO SFERINI
19 gennaio 2016
foto tratta da Wikipedia